Il fascismo visto da Clara Zetkin

Ad un anno dalla marcia su Roma, la rivoluzionaria tedesca Clara Zetkin si interrogò sulle caratteristiche del fascismo, soffermandosi sulle condizioni della sua ascesa, sulla sua composizione sociale e sul programma di governo. Femminista ed esponente del KPD, pubblicò un interessante scritto sul Labour Monthly, il giornale dei comunisti inglesi, dal titolo semplice: “Fascism”.

L’aspetto interessante della sua osservazione fu il capovolgimento delle premesse tipiche dell’analisi dei socialisti riformisti secondo cui il fascismo era la risposta alla paura generata dalla rivoluzione, in particolare da quella russa, e la conseguenza dell’indebolimento del movimento dei lavoratori in seguito alle scissioni generate dai comunisti: «Fino ad oggi, i riformisti considerano il fascismo solo come violenza cruda, una reazione contro la violenza iniziata dal proletariato. Per i riformisti, la rivoluzione russa è stata come l’atto di Adamo ed Eva che mordono la mela nel Giardino dell’Eden. I riformisti vedono nel fascismo solo una conseguenza della rivoluzione russa. Nulla al di là di questo è stato affermato da Otto Bauer al Congresso dell’Unità di Amburgo quando ha dichiarato che gran parte della colpa del fascismo è dei comunisti, che hanno indebolito la forza del proletariato attraverso continue divisioni. Nel dire ciò, ignorano completamente il fatto che i socialdemocratici tedeschi si erano separati dai comunisti molto prima di questo “esempio demoralizzante” che sarebbe la rivoluzione russa». Clara Zetkin, però, si rese anche conto che l’analisi comunista del fascismo era stata scorretta e deficitaria: «gli errori del Partito Comunista consistevano nel considerare il fascismo solo come un movimento militarista e terroristico senza una base sociale profonda». Bisognava riconoscere la base sociale del fascismo e capire come riconquistarla: «Dobbiamo capire che il fascismo è un movimento dei delusi e di coloro la cui esistenza è rovinata. Pertanto, dobbiamo sforzarci di conquistare o neutralizzare quelle masse che ora sono nel campo fascista. Voglio sottolineare l’importanza che comprendiamo che dobbiamo combattere ideologicamente per i cuori e le menti di queste masse. Dobbiamo capire che non stanno solo cercando di sfuggire alle loro attuali sofferenze, ma desiderano anche una nuova filosofia. Dobbiamo uscire dai limiti angusti della nostra attuale attività».

Il fascismo «non è altro che l’espressione della disintegrazione e del declino dell’economia capitalista e il sintomo della dissoluzione dello Stato borghese». La crisi dello stato borghese fu acuita dalla Prima Guerra Mondiale. La propaganda bellica aveva ottenuto i consensi delle masse suggerendo un generale miglioramento delle condizioni materiale di proletariato, piccola borghesia e contadini, «al contrario, un gran numero di ex classi medie divenne proletario, perdendo completamente la propria sicurezza economica. Questi ranghi erano formati da grandi masse di ex ufficiali, che ora sono disperati. Fu tra questi elementi che il fascismo reclutò un consistente contingente. La sua composizione è anche la ragione per cui il fascismo in alcuni paesi è francamente di carattere monarchico». La seconda ragione della nascita del fascismo stava nel ritardo della “rivoluzione mondiale” che Zetkin imputava al riformismo. La disaffezione popolare verso i partiti socialisti, accondiscendenti con le politiche capitalistiche, aveva pure trasformato il fascismo «in una specie di rifugio per i politicamente indifesi».

L’esempio fornito dall’Italia era emblematico. Nel fascismo italiano Zetkin vide l’incontro tra l’esigenza della borghesia di ricostruire l’economia capitalista, l’impossibilità di servirsi dei socialisti che ormai avevano perso presa sul proletariato e lo slittare delle masse deluse verso il fascismo che agitava all’epoca rivendicazioni popolari: «Il capitale industriale in Italia non era abbastanza forte per ricostruire un’economia in bancarotta. Lo stato non avrebbe dovuto intervenire per aumentare il potere e le possibilità materiali del capitale industriale del nord Italia. Lo Stato dedicava tutta la sua attenzione al capitale agrario e al piccolo capitale finanziario. Le industrie pesanti che erano state stimolate artificialmente durante la guerra crollarono e quando la guerra finì, scoppiò un’ondata di disoccupazione senza precedenti. Le promesse fatte ai soldati non potevano essere mantenute. Tutte queste circostanze hanno creato una situazione estremamente rivoluzionaria. Questa situazione rivoluzionaria produsse nell’estate del 1920 l’occupazione delle fabbriche. In questa occasione si dimostrò che le condizioni rivoluzionarie mature erano solo per una piccola minoranza del proletariato. L’occupazione delle fabbriche, invece di essere il punto di partenza per uno sviluppo rivoluzionario, era dunque destinata a una tremenda sconfitta. I dirigenti riformisti dei sindacati agivano come ignominiosi traditori e, allo stesso tempo, il proletariato mostrava di non possedere né la volontà né il potere di marciare direttamente verso la rivoluzione. Nonostante l’influenza riformista, c’erano forze all’opera nel proletariato che potevano disturbare la borghesia. Le elezioni comunali, in cui i socialdemocratici vinsero un terzo di tutti i consigli, furono un segnale d’allarme per la borghesia, che iniziò subito a promuovere una forza in grado di combattere il proletariato rivoluzionario. Fu in questo periodo che Mussolini acquisì una certa importanza accanto al fascismo. Dopo la sconfitta del proletariato nell’occupazione delle fabbriche, il numero dei fascisti superò il migliaio e grandi masse del proletariato si unirono all’organizzazione di Mussolini. D’altra parte, grandi masse del proletariato erano cadute in uno stato di indifferenza. La causa del primo successo del fascismo fu che iniziò con un gesto rivoluzionario. Il loro presunto obiettivo era quello di lottare per mantenere le conquiste rivoluzionarie della guerra rivoluzionaria, e per questo esigevano uno Stato forte, capace di proteggere quei frutti rivoluzionari della vittoria contro gli interessi ostili delle varie classi sociali rappresentate dal “vecchio Stato”. Le sue parole di comando erano dirette contro tutti gli sfruttatori, e quindi anche contro la borghesia. Il fascismo a quel tempo era così radicale da richiedere l’esecuzione di Giolitti e la detronizzazione della dinastia italiana. Nonostante ciò Giolitti si astenne accuratamente dall’usare la violenza contro il fascismo, che gli sembrava il male minore. Per soddisfare queste grida fasciste, sciolse il parlamento italiano. Mussolini in quel momento si fingeva repubblicano e in un’intervista dichiarò che la fazione fascista non avrebbe potuto assistere all’apertura del parlamento italiano a causa della cerimonia monarchica che l’accompagnava. Quelle affermazioni provocarono una crisi nel Movimento Fascista, che era stato costituito come partito dalla fusione dei sostenitori di Mussolini e dei rappresentanti dell’organizzazione monarchica, e la direzione esecutiva del nuovo partito era composta da un numero pari di membri di entrambe le fazioni».

Nel fascismo dunque confluirono due anime, una reazionaria-aristocratica ed una socialista-proletaria, mentre i settori della classe operaia ostili e non inquadrabili nei sindacati fascisti, furono oggetto del terrore delle squadre punitive. Conquistato il potere, però, il fascismo palesò il suo vero volto: «Esamineremo ora ciò che il fascismo ha fatto dalla conquista del potere per la realizzazione del suo preteso programma rivoluzionario, per la realizzazione della sua promessa di formare uno Stato senza classi. Il fascismo creò la promessa di una nuova e migliore legge elettorale e di pari suffragio per le donne. La nuova legge sul suffragio di Mussolini è in realtà la peggiore restrizione della legge sul suffragio a favore del movimento fascista. Secondo tale legge, due terzi di tutti i seggi devono essere detenuti dal partito più forte e tutti gli altri partiti insieme devono avere solo un terzo. Il suffragio femminile è stato totalmente eliminato. Il diritto di voto spetta solo a un ristretto gruppo di donne proprietarie e alle cosiddette “vedove dei generali”. Non si parla minimamente di un parlamento economico e dell’Assemblea nazionale, né dell’abolizione del Senato, promessa solo dai fascisti. Lo stesso si può dire delle promesse fatte nella sfera sociale. I fascisti avevano scritto nel loro programma la giornata di otto ore, ma il disegno di legge da loro presentato ha così tante eccezioni che non deve esserci una sola persona che lavori otto ore in Italia. Nulla si è visto nemmeno della promessa garanzia di salario. La distruzione dei sindacati ha consentito ai datori di lavoro di effettuare riduzioni salariali dal 20% al 30% e, in alcuni casi, dal 50% al 60%. Il fascismo ha promesso pensioni di vecchiaia e invalidità, ma in pratica il governo fascista, in nome delle esigenze dell’economia, tagliò le misere 50.000.000 di lire stanziate a tal fine in bilancio. Ai lavoratori è stato promesso il diritto alla partecipazione tecnica alla gestione delle fabbriche, ma oggi c’è una legge in Italia che vieta completamente i consigli di fabbrica. Le società statali stanno passando nelle mani di capitali privati. Il programma fascista conteneva una disposizione per l’imposta progressiva sul reddito sul capitale, che era in una certa misura un atto di espropriazione. In realtà, è stato fatto il contrario. Varie tasse sul lusso furono abolite, come la tassa sugli autoveicoli, con la presunta ragione che avrebbe limitato la produzione interna. Le imposte indirette sono state aumentate perché ciò ridurrebbe il consumo interno e quindi migliorerebbe le possibilità di esportazione. Il governo fascista revocò anche la legge che stabiliva la registrazione del trasferimento dei titoli, introducendo così il sistema al portatore e aprendo le porte all’evasione fiscale. Le scuole furono consegnate al clero. Prima di conquistare lo Stato, Mussolini chiese una commissione per indagare sui profitti di guerra, di cui l’85% doveva essere restituito allo Stato. Quando questa commissione divenne scomoda per i suoi promotori finanziari, gli industriali pesanti, ordinò che la commissione gli presentasse solo il rapporto e chiunque avesse pubblicato qualsiasi cosa fosse successo in quella commissione sarebbe stato condannato a sei mesi di carcere. Anche in materia militare, il fascismo non ha mantenuto le sue promesse. Prometteva che l’azione dell’esercito si sarebbe limitata alla difesa del territorio. In effetti, la durata del servizio militare permanente fu aumentata da otto a dieci mesi, il che significava l’aumento delle forze armate da 250.000 a 350.000. Le Guardie Reali furono abolite perché troppo democratiche per soddisfare Mussolini! D’altra parte, i carabinieri sono stati aumentati da 65.000 a 90.000 e tutte le truppe di polizia sono state raddoppiate. Le organizzazioni fasciste si sono trasformate in una specie di milizia nazionale, che secondo gli ultimi resoconti ha già raggiunto il numero di 500.000. Tuttavia, le differenze sociali introdurranno nell’esercito un elemento di contrasto politico che dovrebbe portare al crollo definitivo del fascismo».

Il fascismo, dunque, non era animato dalla borghesia reazionaria, ma da larghi strati sociali proletari, operai, contadini, disoccupati, persino di elementi rivoluzionari, abbindolati da un programma pseudorivoluzionario e condotti alla difesa ed alla ricostruzione dello stato borghese in crisi. Le prospettive della Zetkin tuttavia erano fallaci. Aveva troppa fiducia nella mobilitazione dei lavoratori ed accentuava l’incapacità del fascismo di tenere insieme le forze che l’avevano portato al potere. Vide l’ascesa delle forze di destra in Spagna ed in Germania e conobbe l’esilio in Unione Sovietica.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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