Il generale Ameglio e l’occupazione di Rodi
L’isola di Rodi fu occupata dagli italiani nel 1912 e restò all’Italia per oltre trent’anni. L’occupazione avvenne nell’ambito della Guerra Italo-Turca. Così annunciava il fatto il rapporto del generale Ameglio diramato dall’Agenzia Stefani il 20 maggio del 1912.
…Appena adunque assicurata la tranquillità in Rodi e sistemati convenientemente i servizi pubblici, lasciato alla base un presidio conveniente composto di fanteria e di marinai, appoggiati da un gruppo di artiglieria da campagna e dalle navi di guerra, disposti in ridotte ben fortificate mossi improvvisamente, il 15 a sera alle ore 19, con tutte le forze disposte su tre colonne.
La colonna principale ai miei ordini diretti seguì l’itinerario Asguro, Apfandos Stusvurudiu con obiettivo Psitos, 40 chilometri di aspro e faticoso terreno di montagna.
Le altre colonne vennero imbarcate a Rodi nel pomeriggio del 15 e sbarcate fra le ore 21 e 24 una sulla rada di Calavarda ad ovest, l’altra sulla rada di Malona ad est dell’isola, superando col concorso della R. Marina le non mai tentate difficoltà di sbarchi notturni, senza luna ed a fanali spenti, sopra una spiaggia aperta e nemica. La colonna di Calavarda, formata dai bersaglieri e da due sezioni mitragliatrici doveva se guire l’itinerario con primo obiettivo Calopetra, forte posizione di sbarramento, e secondo obiettivo Psitos, km. 30, sopra terreno di montagna molto difficile.
La colonna di Malona, composta di alpini, con una sezione mitragliatrici, percorse l’itinerario Malona-Platania con primo obiettivo le alture a nord-est di Acripoli e secondo obiettivo Psitos, km. 30 di terreno come sopra.
Alle ore 9 del giorno 16, raggiunto il preciso collegamento tattico fra le tre colonne, il nemico sorpreso dall’improvviso accerchiamento tenta energicamente e ripetutamente di aprirsi il passo verso Calopetra, ma fu respinto dai bersaglieri. Non potendo gettarsi verso Calamone-Maritza, perchè battuto dall’artiglieria delle navi, il nemico contrattaccò.
Senonchè, minacciato di avvolgimento su la destra dai bersaglieri, premuto sul fronte dagli alpini e dal 57o fucilieri con una batteria da montagna, vivamente attaccato ed aggirato sulla sinistra dal 34° fucilieri e due batterie da montagna, impossibilitato a trincerarsi nel villaggio, perchè fulminato dal fuoco concentrato di tre batterie e dei fucili, il nemico fece una disperata e valorosa difesa, spostando ripetutamente una sezione di artiglieria da montagna. Poi vistosi perduto, si sbandò a gruppi attraverso i burroni in direzione del monte Leucopoda, riuscendo ancora a mettere la sezione di artiglieria in posizione sulle falde meridionali di detto monte.
Non ostante la stanchezza delle truppe, continuarono gli inseguimenti fino a tarda ora, quando il nemico disgregato si precipitò per i burroni verso Maritza, dove decisi di dargli il colpo definitivo il giorno seguente.
Alle ore 23, invece, un parlamentario turco venne ad offrirmi la resa che accettai alle condizioni già telegrafate, e che ebbe luogo la mattina del 17 alle ore 9.
Il totale dei prigionieri è di trentatre ufficiali fra cui il comandante in capo, di novecentocinquanta soldati, che, sommati coi morti e coi prigionieri inviati in Italia, danno una cifra che si approssima a quella delle forze turche esistenti nell’isola al momento del nostro sbarco.
Rimangono i dispersi che continuano a presentarsi.
Sono stati presi sei pezzi da montagna con munizioni, muletti e bardature, duecento casse di cartucce e circa settecento fucili, oltre quelli che si vanno raccogliendo nei burroni presso Psitos.
La condotta delle truppe è stata superiore ad ogni encomio ed il morale è elevatissimo. Lascio considerare quale sia stata la loro resistenza, se, dopo quattordici ore di marcia combatterono manovrando per circa altre nove ore, e dopo adiaccio sui sassi poterono eseguire la lunga marcia di ritorno a Rodi.