Il libro di Mush nel racconto di Antonia Arslan
Il libro di Mush è il più grande manoscritto mai redatto in lingua armena, si tratta di un omeliario di circa 28 chili, formato da 661 fogli di pergamena e alto quasi un metro. Il manufatto è stato realizzato da mani sapienti a Yerznka (Erzincan), nel monastero di Avag, nei primi due anni del Duecento, su commissione del facoltoso mercante Astvatzatur “Deodato”.
Il mecenate che pagò i miniatori non ebbe fortuna e poté godere solo per poco della meraviglia di cui era diventato padrone, perse infatti la vita nel 1203 durante l’invasione mongola. Consci del valore dell’opera, i guerrieri nomadi misero all’asta l’oggetto che avevano razziato e dopo lunghe trattative lo cedettero a caro prezzo al monastero armeno di Surb Arakelots (Santi Apostoli), fondato da Gregorio l’Illuminatore (257 ca.-332 ca.), a una decina di chilometri dal centro di Mush “la nebbiosa” (in armeno mshush significa nebbia), nell’Anatolia orientale.
San Gregorio è considerato l’artefice della fisionomia della cultura armena, è con la sua predicazione che re Tiridate III (225 ca.-324), nel 301 (secondo la datazione tradizionale), proclamò il Cristianesimo religione ufficiale in Armenia, e la costruzione dei Santi Apostoli iniziò verso il 312. Lì il libro fu conservato al sicuro per sette secoli, guadagnandosi fra gli abitanti dell’altopiano la fama di oggetto taumaturgico, tanto che, su richiesta delle famiglie, l’abate e due monaci erano soliti portarlo agli ammalati per cercare di alleviare le loro sofferenze e guarirli.
Nel giugno del 1915 la catastrofe della persecuzione e del genocidio si abbatté ancora una volta sul popolo armeno. «Sempre le madri armene han dovuto far fronte a ciglio asciutto alla morte dei figli, secoli di oppressione e di servaggio glielo hanno insegnato», scrive la narratrice padovana Antonia Arslan, che all’omeliario miracoloso ha dedicato un racconto storico: Il libro di Mush, edito da Skira nel 2012 e ancora in attesa di una ristampa.
Il piccolo volume ripercorre dei fatti reali intrecciandoli con elementi nati dalla fantasia dell’autrice. Tutto ha inizio quanto i militari turchi in ritirata vanno ad acquartierarsi nell’ubertosa piana di Mush «a leccarsi le ferite, a vendicare l’orgoglio maltrattato dal nemico [russo], abituato a muoversi fra le nevi eterne del Caucaso, macinando tra il freddo e la fame un’ira sorda che aspetta un bersaglio. Ed ecco pronto il capro espiatorio, il nemico interno, intento a ordire complotti nell’ombra dei suoi ricchi palazzi, mentre il popolo va a morire: gli armeni».
La fertile valle è irrigata dai soldati ottomani col sangue dei cristiani della regione, ma due donne riescono a scappare dal loro villaggio martoriato portando in salvo il prezioso libro di Mush, che considerano una speranza di sopravvivenza per l’anima della loro gente: «È antico e prezioso, ma non solo; è una prova, una realtà, un prodigio». Gli armeni sanno che difendendo il colossale testo liturgico salveranno loro stessi e questa fiducia sovrannaturale nell’avvenire guida le due eroine tra la disperazione e il dolore della Patria perduta; quello di tramandare la storia è un dovere biblico:
«Ricorda i giorni del tempo antico,
medita gli anni lontani.
Interroga tuo padre e te lo farà sapere,
i tuoi vecchi e te lo diranno» (Deuteronomio 32:7).
Sfiancate, le due donne prendono la decisione di tagliare il libro a metà per dividersi il peso del sacro fardello. Una delle benefattrici riesce ad arrivare sino a Echmiadzin, dove c’è la cattedrale che è il centro di tutta la spiritualità armena, la sede del patriarca supremo, e a consegnare la sua porzione del tomo ai monaci, mentre l’altra donna muore e si fa seppellire con il libro, per proteggerlo anche oltre la vita. La notizia dell’incredibile avventura giunge alle orecchie di un ufficiale zarista, membro dell’esercito che ha conquistato Erzurum, e il buon russo parte per recuperare il tesoro sepolto. Dopo qualche anno le due metà sono ricongiunte.
L’odissea delle intrepide armene si conclude con un lieto fine, quindi, ed è resa ancora più avvincente dal fatto che, ad eccezione dei dettagli delle vicende biografiche dei personaggi, è tutto vero. Oggi la reliquia di Mush è riunita ed è il pezzo più importante della collezione della grande biblioteca Matenadaran di Yerevan, capitale della Repubblica di Armenia.
Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).
Fonte foto: Rodolfo Armenio