Il matrimonio tra Umberto II di Savoia e Maria Josè del Belgio

Nel 1929 la corte del Belgio annunciò solennemente il fidanzamento dell’unica figlia del re Alberto, la principessa Maria José, con il principe ereditario d’Italia, Umberto. Il matrimonio si celebrò al Palazzo del Quirinale a Roma, l’8 gennaio 1930, data che, secondo il desiderio dello sposo, coincise con il cinquantasettesimo compleanno di sua madre, la regina Elena d’Italia. Fu una giornata frenetica.
Il matrimonio era stato preparto da tempo. Il primo incontro tra i due ragazzi si era avuto addirittura nel 1916, a Battaglia Terme, presso Padova, durante la Grande Guerra. Il principe aveva dodici anni, la principessa dieci. Lui vestiva un abito da marinaretto con il berretto della Regia Nave Duilio, lei era uscita, per l’occasione, dal collegio fiorentino della Santissima Annunziata, dove suo padre Alberto, re del Belgio, l’aveva iscritta perché imparasse la cultura e la lingua italiana. Scortata a Battaglia Terme dal conte Vittorio Solaro del Borgo, Maria José vide per la prima volta il suo futuro marito e ne restò colpita.

Tornò in Belgio dopo tre anni e continuò a dedicarsi allo studio dell’italiano con una insegnatne fissa, Amelia Licari Barberini, il fidanzato invece lo rivide a diciassette anni, quando, con la scusa di una visita al fratello Leopoldo, giunse al castello di Laeken. Si presentò alla fidanzata bello ed elegante. L’anno dopo i Savoia invitarono lei a Racconigi per le vacanza e allora gli incontri con Umberto diventarono quotidiani. I due si innammorarono, andavano d’accordo, erano felici sulle spiagge di Forte dei Marmi e visitarono insieme Pisa, Carrara, Lucca, Livorno. La principessa scrisse in seguito: “Fin dalla giovinezza fui allevata nell’idea che un giorno avrei sposato Umberto, l’erede al trono d’Italia. Tale prospettiva aveva assunto nella mia mente di fanciulla la forma di un sogno dorato, di una fiaba. Mia madre nutriva la mia speranza. Mi parlava dell’affascinante principe in termini tanto seducenti che egli per me incarnò l’apogeo delle perfezioni…”.

Il fidanzamento ufficiale avvenne nel settembre del 1929. Umberto raggiunse in automobile il Belgio, accompagnato dal conte di Santorre di Santarosa. La proposta avvenne nei boschi rossi di Losanges. Lei era troppo innamorata per accorgersi che l’atteggiamento compito e distaccato del giovane principe italiano era figlio del disinteresse e di una scelta impostagli controvoglia dal padre. Gli amici che erano con lui prima della partenza per il Belgio, sul lago di Como, ospiti nella villa di Luchino Visconti, colsero subito la tristezza sul suo volto dopo una telefonata di Vittorio Emanuele III. Il principe aveva salutato tutti ed era andato via, nelle Ardenne, per ubbidire al richiamo del padre ai doveri istituzionali.

Dopo un paio di giorni di sosta a Francoforte, sotto il falso nome di conte di Saint-Maurice, giunse finalmente in Belgio, ospite a Bastogne, nel castello di Losanges, della contessa Van den Steen de Jehay, dama di corte della regina Elisabetta. Maria José era giunta lì sin dal giorno prima. I due si salutarono, fecero una passeggiata, al ritorno comunicarono ai presenti il loro legame. Forse la giovane desiderava qualcosa di diverso, per Umberto era solo un affare di stato.

Il 24 ottobre, anniversario del matrimonio tra i genitori d’Umberto, il fidanzamento fu annunciato e si stabilirono le nozze per l’8 gennaio del 1930, a Roma. La giovane giunse in treno da Bruxelles – era partita il giorno 3 – con la sua famiglia. A Trastevere salì sul vagone reale lo sposo in uniforme da colonnello, portando tra le braccia un grande fascio di rose per la suocera. Tutto sembrava perfetto.

Il rito fu celebrato nella Cappella Paolina del Quirinale dal cardinale Aurelio Maffi, arcivescovo di Pisa. Testimoni per Umberto furono il duca Emanuele Filiberto d’Aosta e il conte Vittorio Emanuele di Torino; per Maria Josè lo furono i suoi frelli Leopoldo e Carlo. Sebbene la giovane belga si fosse alzata molto presto al mattino, stava per arrivare tardi all’altare. Sfidando le superstizioni, Umberto era andato a trovarla confermando la sua grande attenzione per i dettagli ed esigendo un perfezionismo estetico che in seguito Maria José trovò frustrante. Umberto si lamentò nel vedere che le maniche del vestito della sposa erano state cucite nel modo sbagliato e impose, alla fine, che le maniche fossero completamente rimosse e sostituite da guanti bianchi. La sposa in realtà non avrebbe neppure voluto indossare quel vestito, preferiva qualcosa di più semplice e moderno, ma il principe di Piemonte aveva insistito su un abito classico e grande, assegnato a manifatture italiane. “Sembro una Vergine in processione!”, avrebbe mormorato Maria Josè. Accumulato un bel ritardo, iniziò la processione nuziale sino alla Cappella Paolina. Secondo la tradizione, quattro principi di Casa Savoia reggevano, largo sugli sposi, un velo, simbolo di purezza e protezione. La futura regina ricordò: “Prima attraversammo una lunga successione di saloni pieni d’altezze, e di re per la maggior parte detronizzati. Fra il pubblico la duchessa Elena d’Aosta stonava, col suo ostentato saluto .Fascista. Quindi entrammo nella cappella: che visione deliziosa! I diademi scintillanti delle dame di corte, e gli abiti gallonati dei dignitari, davano una bellezza mondanissima a quell’oratorio costruito sul modello della Paolina del Vaticano. Benedì la nostra unione il cardinale Maffi, arcivescovo di Pisa. Al momento dello scambio degli anelli dalla piazza del Quirinale furono lasciate andare nel cielo d’Italia centinaia di colombe bianche”. Alle 11.00, Umberto e Maria José erano marito e moglie.

Dopo la cerimonia, gli sposi si trasferirono in un’altra parte del palazzo per firmare i documenti del matrimonio. Mussolini, che era presente, chiese che Maria José usasse la forma italiana del suo nome, “Maria Giuseppina”, ma la giovane donna volitiva, con grande imbarazzo del marito, rifiutò ostinatamente di farlo e da allora firmò sempre con orgoglio “Maria José”. I due novelli sposi si affacciarono, poi, sorridenti al balcone del Quirinale salutando la folla raccolta. Prima di partire per il viaggio di nozze, però, dovettero far fronte ad un lungo programma di cerimonie e festeggiamenti, fatto di sfilate, presentazioni di omaggi, offerte di doni, ricevimenti e spettacoli pubblici. “Uno dei più bei ricordi – scrisse la principessaè per me quello del corteo folcloristico che per tre ore sfilò sulla piazza del Quirinale riccamente pavesata. Scena incantevole: un gruppo di sardi a cavallo, con le spose in groppa, si fermarono dinanzi a noi e deposero ai nostri piedi una culla di legno scolpito, mentre ci lanciavano manciate di riso, in segno di tripudio e come augurio di fecondità”.

La luna di miele l’avrebbero trascorsa a Courmayeur.

 

 

Autore articolo: Angeo D’Ambra
Bibliografia: S. Bertoldi, L’ultimo re, l’ultima regina; G. Oliva, Umberto II. L’ultimo re; Maria José di Savoia, Giovinezza di una regina

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