Il Sacco di Mantova
Il sacco di Mantova avvenne il 18 luglio 1630 ad opera delle truppe dei lanzichenecchi al soldo dell’Imperatore Ferdinando II. Le truppe imperiali si erano fiondate sulla città per toglierla al controllo del figlio del Duca di Nevers quel Carlo, Duca di Rethel, che aveva sposato Maria Gonzaga con un matrimonio che era divenuto il casus belli per la Guerra di Successione di Mantova.
La città resistette a vari assalti, si ritrovò presto decimata dalla peste. La Repubblica di Venezia, alleata del Duca di Nevers in chiave antispagnola, radunò un esercito sul Mincio per portare viveri a Mantova ma subì un rovescio a Valeggio sul Mincio il 25 maggio e le truppe si dispersero. Abbandonata a sè stessa Mantova subì l’orribile sorte del saccheggio.
Nella notte tra il 17 e il 18 luglio gli uomini di Rudolf von Colloredo riuscirono a prendere possesso di Porta San Giorgio.
Mancavano forse due ore all’alba, Mantova dormiva, erano sveglie solo le guardie alle porte, ma nessuno vide le sei barche cariche di armigeri che scivolavano sulle acque. Due di esse puntarono sul Castello di San Giorgio, sfiorarono il ponte per non essere viste e sbarcarono i loro equipaggi. Erano un’ottantina di uomini che andarono ad occupare il giardino di fronte al castello e poi irruppero nel corpo di guardia. Le dieci sentinelle che vi trovano, colte disarmate, non opposero resistenza.
Il ponte levatoio fu abbassato e le truppe imperiali dilagarono nella città. Dalla nube di polvere, che s’alzo dal ponte, tutti s’accorsero di ciò che stava accadnedo e qualcuno corse a suonare le campane. Era ormai troppo tardi. L’avanguardia dell’esercito imperiale invase la città.
Per Mantova furono i giorni più bui della sua storia. Il Duca e la famiglia, colti nel sonno dalle urla dei cameriri, furono costretti ad abbandonarla mentre palazzi e chiese iniziavano ad essere circondati e spogliati dei loro tesori.
Porta Pretella aveva già ceduto, Porta Celeste resistette ancora. Piazza San Pietro fu subito occupata dall’esercito imperiale guidato da Aldringen. L’orrendo sacco durò tre giorni. Andò a ruba tutto ciò che i Gonzaga avevano collezionato durante i loro secoli di governo nel Palazzo Ducale, pitture, suppellettili, statue, vasi, arazzi. In tre giorni di sacco una delle più sontuose regge d’Europa si trasformò in un palazzo spettrale. Tra gli ogetti derubati spiccava “una spada con gli elci d’oro di grossi diamanti gioiellati, di valore di 30.000 ducatoni, la quale fu già da Enrico quarto re di Francia, donata al Duca Vincenzo primo suo cognato”. La soldatesca, presa da spirito di distruzione e di rapina, strappò dalla cornici le bellissime tele, opere di artisti famosi e poi abbandonate. Tristemente famoso è rimasto lo spoglio della biblioteca, che era considerata una delle più ricche d’Italia. Vi erano raccolti manoscritti rarissimi ed edizioni di gran pregio collezionati dai cardinali della casata.
Violenze indicibili subirono i cittadini, torturati, seviziati ed uccisi. I poveri pagarono il maggior tributo di sangue, vivevano in case umili, facili da violare, e se i nobili poterono resistere e provare a scappare, i poveri invece non ebbero scampo. Ogni borgo finì incendiato. Nel ghetto in poche ore agli ebrei fu razziato l’equivalente di 800.000 scudi.
Quando Carlo di Nevers vi rimise piede, la città contava solo 6.000 abitanti e nel contado, di 170.000 ne erano rimasti 43.000.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Vigna, Storia di Mantova; R. Quazza, Mantova attraverso i secoli; B. Arrighi, Storia di Mantova e sua provincia