Il terremoto del 1908
Uno degli eventi più drammatici del Novecento in Italia fu il terremoto calabro–sicuro del 1908. Esso viene ancora oggi ricordato come uno dei flagelli più gravi che abbiano colpito la nostra gente e come una prova che fu superata, sia pure con dolori e non lievi difficoltà, grazie allo spirito di solidarietà. Ne parla Don Leet in Le grandi catastrofi naturali.
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Dal punto di vista puramente sismologico il terremoto non fu uno dei più forti che si siano conosciuti; anche l’area epicentrale generatrice era una piccola parte del fondo dello Stretto di Messina. L’elevato numero di vittime (calcolato in circa 150.000 morti fra Reggio, Messina e dintorni), gli innumerevoli feriti, e danni, ammontanti a molte centinaia di milioni di lire-oro, furono dovuti ad altre cause. Anzitutto, la zona era stata colpita molte volte nel corso dei secoli, e anche nei decenni precedenti questa catastrofe, da svariati terremoti, lievi alcuni, disastrosi altri. Le città erano, all’epoca del cataclisma del 1908, formate da moderni palazzi, troppo elevati forse per una zona fortemente sismica, o forse non bene stabilizzati sulle loro fondamenta, e le case più vecchie erano state danneggiate già precedentemente e male rabberciate. Si sa benissimo poi che anche i bei palazzi moderni avevano muri composti da ciottoli tondeggianti di greto appena amalgamati con cattiva calcina. Inoltre, per essere avvenuto alle primissime ore del mattino, il terremoto trovò gli abitanti ancora a letto e le case crollarono prima che gli occupanti ne scappassero; inoltre, ancora, quando i superstiti con l’orrida immagine delle rovine davanti agli occhi incominciarono appena a destarsi dall’incubo che li avvolgeva, sopravvenne il maremoto che spazzò dalla costa case e macerie, superstiti e vittime.
Ecco una breve ma sufficiente descrizione della scossa da uno scritto dell’epoca ad opera del grande sismologico italiano Padre Alfani: “Preceduto nei giorni più prossimi da debolissime e frequenti scosse, il 28 dicembre 1908 alle ore cinque e venti circa, si iniziò il terribile movimento con una scossa sussultoria piuttosto forte, ma di breve durata. Parve cessare, ma fu un’illusione, o almeno fu una pausa brevissima; riprese allora il moto ondulatorio intenso in una direzione parallela alla costa. Quindi in senso differente dal primo e con rabbia maggiore che compié la strage e il disastro. Furono trenta secondi, tempo estremamente lungo per l’angoscia e il terrore. Tutti i superstiti narrarono concordemente le variazioni successive della direzione del moto, e asseriscono che all’ultimo gruppo di onde sismiche gli edifici crollarono stroncati, sbriciolandosi…”.
Fu un’immensa catastrofe alla quale l’Italia non era preparata. Furono organizzati immediatamente soccorsi, fu un accorrere pietoso di aiuti da ogni parte del mondo, un accorrer di navi da tutte le nazioni: ciononostante molti feriti o addirittura illesi perirono sotto le macerie. Ma come sgombrare in pochi giorni migliaia e migliaia di metri cubi di materiale? I morti venivano seppelliti provvisoriamente sotto le piazze, i feriti ed i superstiti, gente che aveva perduto tutto e tutti, mandati lontano, nella Penisola.
Insigni palazzi e monumentali opere d’arte, industrie e opifici che davano lavoro e vita a migliaia di cittadini, ottime attrezzature portuali, frutto di secoli e secoli di umano lavoro, tutto venne spazzato in quei terribili trenta secondi dalle furie naturali. Si pensava che mai più le città di Reggio e di Messina sarebbero risorte; si pensava di ripristinare solo i nodi ferroviari e lasciar là per i posteri quelle città di rovine… Passarono anni e decenni, due volte la furia della guerra investì l’Italia, la seconda volta riseminando rovine sulle ferite appena rimarginate dal cataclisma: ciononostante Reggio e Messina, rinate e più belle di un tempo, si sorridono ancora, affacciate sui gorghi di Scilla e Cariddi.