Il terremoto di Messina

Alle ore 5,20 del 28 dicembre del 1908, un terremoto spaventoso distrusse Messina.

Il comandante dell’Alfonwen, un prioscafo ingelse che era appena uscito dal porto siciliano, avrebbe ricordato: “…dal fodo mai propagò un fremito cupo, rumoroso, e, subito dopo esplose u boato terrificaatt. L’equipaggio si è precipitato in coperta. Le luci di Messi, cche pueggiavano la riva, eraao smparse. Dalla parte opposta, ache luci di Reggio, di Villa San Giovani, di Palmi non scintillavano più. Abbiamo capito che era successo qualcosa di tremendo. E appena ho ordinato di invertire la rotta e di tornare a Messina, le onde hanno cominciato a sbattere con inusitata violenza contro le murate della nave, rovesciandosi gigantesche sulla coperta come non avevo mai visto, in nessuna tempesta. Il mare era impazzito. Nelle acque del porto, che avevano invaso le strade circostanti per centinaia di metri, giacevano mezzo affondati velieri, piroscafi, rimorchiatori. Cominciava ad albeggiare. Il lungomare era una fila spaventosa di macerie…”.

La scossa tellurica era durata appena trentadue secondi ma aveva fatto tabula rasa di un’area abitata da trecentoquarantamila persone, lasciandone quasi la metà sotto le macerie. Gaetano Salvemini, professore di storia contemporanea presso l’ateneo messinese, perse la moglie, i cinque figli e la sorella, rimanendo l’unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia. Il disastro fu reso ancor più pesante dai delitti e dai saccheggi commessi dai quattrocento detenuti fuggiti dal carcere cittadino.

I siciliani, come i calabresi, vennero immediatamente soccorsi, dalle navi russe “Makaroff”, “Guilak”, “Korietz”, “Bogatir”, “Slava” e “Cesarevič” e da quelle britanniche “Sutley”, “Minerva”, “Lancaster”, “Exmouth”, “Duncan” e “Euryalus”, che erano alla fonda a Siracusa e ad Augusta, mentre gli aiuti italiani arrivarono poco dopo. Nel golfo si trovava l’incrociatore “Piemonte”. Il suo comandante, a terra con la famiglia, fu tra le vittime ed il comando fu assunto dal secondo, Alessandro Ciano, futuro zio di Galeazzo. Ciano assunse la direzione dei primi soccorsi in attesa dei piroscafi che mossero da Napoli.

Messina era distrutta interamente, le rovine fumanti corpivano l’orizzonte con le grida ed i lamenti. Ai danni provocati dalle scosse sismiche ed a quello degli incendi si aggiunsero quelli causati dal conseguente maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo
Stretto di Messina con ondate devastanti stimate dai sei ai dodici metri di altezza. Bande di detenuti presero ad armarsi per ricattare coloro che imploravano aiuto sotto le macerie. Solo rivelando dove tenevano nascosto il proprio denaro avrebbero avuto salva la vita.

La visita dei reali fece luce su questa vergognosa realtà. Duecento banditi vennero fucilati subito dai russi. La Regina Elena di Savoia, eroicamente, si impegnò nei soccorsi e nell’assistenza ai sopravvissuti. La si ricorda ancora in lacrime, fornire parole di conforto ai sopravvissuti che guidava sulle navi di soccorso. Andò poi in mezzo alle rovine coordinando salvataggi e medicamenti. Tornata a Roma iniziò a confezionare vestiti per i terremotati.

In pochi giorni, a Messina, apparvero le antenate delle baraccopoli cui ci hanno abituati i terremoti italiani del secondo dopoguerra: le “michelopoli”, volute dal deputato Giuseppe Micheli.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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