Il banchiere Jacob Fugger
Jacob Fugger, detto “Il Ricco”, fu un importante banchiere tedesco che finanziò papi e imperatori sino ai primi del Cinquecento. Il testo che segue è tratto da Les Marchands au XVI siecle, di Pierre Jeannin.
***
Fino a Jacopo il Riccio nulla distingueva i Fugger dalla restante borghesia mercantile di Augusta. Alle origini, un personaggio modesto, un tessitore semplicemente agiato, commerciante e al tempo stesso artigiano: questi muore nel 1409. Dei due rami che ne discesero l’uno raggiunse nel secolo XV una invidiabile prosperità; ma sarà il secondo, quello dei Fugger von der Lilie (dal 1473, dei gigli figurano nel suo stemma borghese), ad illustrarsi nel secolo XVI. FIno alla metà del decennio 1490-1500, il lustro dei gigli resta inferiore a quello del caprifoglio, emblema del primo ramo… I Fugger del caprifoglio commerciano in Italia, e il loro traffico, specialmente a Venezia e a Milano, è nettamente più importante di quello di Jacopo il Vecchio e dei figli al loro inzio. Ma tutto questo si svolge ad un livello raggiunto spesso dalla borghesia mercantile di Augusta: commercio tradizionale con l’Italia, importazione di droghe, sete, cotone, zafferano, esportazione di manufatti tessili e metallurgici. Tuttavia, già compaiono alcuni affari meno banali; nel fallimento di Luca Fugger von Rehl è registrata la perdita di 10.000 fiorini prestati all’imperatore con la grazia della città di Lovanio, che non mantenne l’impegno. Per via di questo fallimento, i discendenti di Luca e i loro parenti – alcuni di essi si trovavano a Norimberga e a Varsavia – saranno soprattuto conosciuti come fattori dei grandi Fugger, dei discendenti cioè di Jacopo il Vecchio, morto nel 1469.
Questi lasciò cinque figli, due dei quali non gli sopravvissero. Il più giovane di tutti, Jacopo, destinato allo stato ecclesiastico, abbandona nel 1473 il suo canonicato per darsi in compagnia dei fratelli Ulrico e Giorgio al commercio, che, dopo alcuni anni di apprendistato in Italia, orienterà su vie nuove. In questo stesso 1473, Ulrico per la prima volta fa un prestito all’imperatore Massimiliano; ma fu Jacopo a concludere nel 1487 con l’arciduca Sigismondo, l’Asburgo del Tirolo, un contratto che sarà di modello a molti altri in garanzia di un prestito importante; Jacopo ottiene la parte che spetta all’arciduca sulla produzione d’argento delle sue miniere. Alcuni anni dopo aver messo il piede in Tirolo, i Fugger penetrano con identici sistemi in Ungheria, associati in un primo tempo ai Thurzo di Cracovia.
La fusione dell’argento e ancora più del rame, lo sfruttamento di miniere, di forge e di fonderie sono un fondamento essenziale della loro fortuna; la banca ne costituisce un secondo. La rete dei loro stabilimenti si estende su tutta l’Europa centrale, nei Paesi Bassi, in Italia ove la fattoria di Roma ha un’importanza di primissimo piano fino al 1527. I trasferimenti di denaro inviati alla curia dagli ecclesiastici di una grande parte delle regioni a settentrione delle Alpi passano attraverso i Fugger.
Per fare un’idea delle loro molteplici attività, non sarebbero sufficienti poche righe; bisognerebbe elencare delle miniere in venti posti, pensare ai gioielli e ai tessuti di lusso che forniscono a diverse corti, dire della loro partecipazione al finanziamento del commercio portoghese delle spezie. Alle volte assumono su di sé delle zecche, come a Roma sotto il pontificato di Giulio II e di Leone X. Nelle loro grandi signorie della regione di Ulm, dopo il 1530, fanno tessere grandi quantità di fustagni – tessuto misto a cotone – vendute sui mercati olandese ed italiano.
Alla testa di queste imprese diverse, un impulso unico, quello di Jacopo, che ha conquistato con strenua lotta l’eguaglianza con i fratelli più anziani e la cui funzione dirigente è visibile già nel contratto di società stipulato tra di essi tre nel 1494, prima carta del “commercio comune”. Il nome della società muterà più volte; ma attraverso le trasformazioni, restano fermi due principi. Le donne ricevono soltanto la dote e in denaro, con esclusione di ogni partecipazione; solo i maschi possono detenere delle parti, e con delle esclusioni in caso di incapacità; così geronimo (1499-1538) è allontanato dallo zio. D’altra parte la direzione non è collegiale; essa spetta ad un capo: dopo Jacopo, morto senza figli nel 1525, il nipote Antonio. tra le circostanze fortuite che hanno favorito la direzione degli affari si possono contare le numerose morti premature che, prima del 1560, limitano a due o tre il numero dei membri della famiglia in condizione di svolgere una funzione nello stesso momento.
E’ tra il 1495 e il 1525, dunque, che i Fugger si affermano come il più grosso nome commerciale e bancario di tutta l’Europa, grazie all’abilità spiegata da Jacopo il Ricco, specialmente in quaità di principale finanziatore degli Asburgo. Il suo intervento nella elezione imperiale di Carlo V, nel 1519, è decisivo: sul totale di 850.000 fiorini che costano i voti degli elettori, i Fugger ne forniscono per loro conto più di 540.000. Poco tempo prima, erano gli agenti dei Fugger che incassavano il prezzo delle indulgenze, la cui predicazione fu l’occasione della rivolta luterana: una metà dell’incasso toccava ad essi per rimborsare il prestito accordato ad Alberto di Brandeburgo quando questi aveva dovuto pagare la sua sede arcivescovile di Magonza. Solo di poco è forzata l’immagine del grande banchiere che tiene sotto la propria dipendenza finanziaria le due metà del mondo, il papa e l’imperatore. Ascoltiamo un cronista di Augusta, degno di fede – il che non sempre capita – perchè dei documenti vengono a rafforzare le sue parole: “I nomi di Jacopo Fuggere e dei suoi nipoti sono stati conosciuti in tutti i regni e i paesi, anche presso i pagani (cioè i non cristiani). Imperatori, re, principi e signori gli hanno mandato delle ambascerie, il papa l’ha ascoltato ed abbracciato come il suo caro figlio, i cardinali si sono alzati in piedi davanti a lui. Tutti i mercanti del mondo l’hanno chiamato un uomo ispirato, ed egli ha stupito i pagani”. Nel destino di Jacopo Fugger la reatà sembra assumere qualcosa di leggendario.