La Battaglia di Magenta

La Battaglia di Magenta fu combattuta il 4 giugno del 1859 dagli eserciti di Francia e del Regno di Sardegna contro l’Impero Austriaco.

La vittoria di Palestro spianò la strada dell’esercito franco-piemontese verso Novara. Ignari di tutto, gli austriaci si ritrovarono il nemico in quell’area, ancora convinti che i francesi avrebbero attaccato da sud. Quando Giulay apprese che oltre 50.000 francesi erano giunti a Novara non poté fare altro che ordinare la ritirata.

L’imperatore Francesco Giuseppe giunse a Verona proprio in quel frangente e quando venne a sapere che il Giulay era intenzionato a ritirarsi dietro il Ticino restò perplesso. Gli inviò il maresciallo Hess, capo dello Stato Maggiore, per capire le ragioni di quella scelta e conoscere le reali condizioni dell’esercito. Hess raggiunse Giulay a Bereguardo. Parte dell’esercito, sotto il comando di Eduard Franz von Lichtenstein, aveva già passato il fiume a Vigevano e si dirigeva a Magenta per unirsi a Eduard Clam Gallas.

Pensavano che i franco-piemontesi li avrebbero attaccati lì oppure nei pressi di Vigevano. In effetti il 3 giugno essi avevano iniziato l’attraversamento del Ticino in due punti, a Turbigo ed a San Martino. Il giorno dopo erano a Magenta.

Le forze dei due eserciti si equilibravano perché erano entrambi incompleti. Si contavano sessantamila uomini in ambo gli schieramenti. Primi ad entrare in azione furono i granatieri della Guardia imperiale francese del generale Regnault de Saint Jean d’Angely. Con loro c’era pure Napoleone III. Il problema fu il tardivo congiungimento dei due corpi che costò ai granatieri un gran numero di perite. Mac-Mahon, che aveva attraversato il Ticino a Turbigo, giunse dopo quattro ore, verso le cinque pomeridiane. Allora i francesi ripresero l’assalto con tutte le loro forze e scacciarono gli austriaci che invece non si erano ricongiunti con la restante parte dell’esercito, comandato da Franz Stadion. Il ricongiungimento del nemico non era avvenuto perché Giulay continuò a pensare possibile un attacco da Vigevano.

Alla battaglia prese parte la divisione del generale sabaudo Manfredo Fanti. Il Fanti era sopraggiunto con Mac-Mahon, a ridosso della Divisione Espinasse, mentre il Durando era rimasto a presidiare i ponti. Giunsero a Magenta quando tutte le truppe di Mac-Mahon erano già impiegate sulla linea di fuoco e non avevano più riserve da sfruttare. Gli italiani garantirono nuovo slancio al combattimento, quello necessario all’assalto finale. I bersaglieri che formavano la testa del corpo sardo, assaltarono alla baionetta abbattendo il cancello della stazione ferroviaria di Magenta, dove gli austroungarici avevano piazzato dei cannoni. Il nemicò abbandonò le posizioni e si ritirò nelle case. Qui cadde il generale Espinasse. Nel pomeriggio giunsero le batterie di Durando a coprire il fianco sinistro dei francesi e poi a partecipare al rastrellamento dell’abitato.

Le perdite subite dagli austriaci furono assai considerevoli. Gli austriaci subirono la perdita di 64 ufficiali e 1370 morti, 4360 furono i feriti e tra essi i generali Reichach, Dierfeld, Liebzeltern, Wetzlar e Bandina, che morì poi in seguito alle ferite. I francesi contarono 564 morti, tra cui i generali Espinasse e Cler ed i colonnelli Da Souneville, Dronhot, De Chabriere e Charlier, e 3.045 feriti. Il generale Mac-Mahon fu proclamato Duca di Magenta. Il nemico iniziò la sua ritirata sul Mincio.

La mossa sgomberò Milano. Nel castello ducale furono inchiodati 41 canni, rimasero munizioni, viveri, e la cassa militare. La mattina dell’8 giugno, Vittorio Emanuele II e Napoleone III fecero il loro ingresso in una città in festa.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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