La Battaglia di Milazzo descritta da Dumas

Alessandro Dumas, in una lettera al brigadiere Giacinto Carini, ispettore generale di cavalleria, destrisse minutamente la Battaglia di Milazzo. Riportiamo di seguito le parole della sua missiva scritta il 21 luglio 1860.

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Il fuoco cominciò alla sinistra a mezza strada fra Meri e Milazzo. S’incontrarono gli avamposti napolitani nascosti tra i canneti. Dopo un quarto d’ora di moschetteria, sulla sinistra, il centro, alla sua volta, si è trovato in faccia della linea napoletana, e l’ha attaccata e sloggiata dalle prime posizioni. La dritta nel frattempo scacciava i Napolitani dalle case che occupavano. Ma le difficoltà del terreno impedivano ai rinforzi di arrivare. Bosco spinse una massa di 6000 uomini contro i 5 o 600 assalitori ch l’avevano costretto a indietreggiare, e che sopraffatti dal numero erano stati obbligati a indietreggiare alla lor volta. Il generale spedi tosto a pigliar dei rinforzi; arrivati che furono, si attaccò di nuovo il nemico nascosto tra i canneti, e riparato dietro i fichi d’India. Ciò era un grande svantaggio per gl’Italiani che non potevano caricare alla baionetta. Medici, marciando alla testa de suoi uomini, aveva avuto il cavallo ucciso sotto di sè. Cosenz aveva ricevuto una palla morta nel collo ed era caduto a terra; si credeva ferito mortalmente, allorchè si rialzò gridando: Viva l’Italia! la sua ferita era fortunatamente leggiera. Il generale Garibaldi si pose allora alla testa dei carabinieri genovesi, con alcune guide per affrontare i Napoletani ed attaccarli di fianco togliendo così la ritirata ad una parte di essi. Ma si imbattè in una batteria di cannoni che fece ostacolo a siffatta manovra. Missori ed il capitano Statella si spinsero allora con una cinquantina d’uomini, il generale Garibaldi era alla testa e dirigeva la carica; a venti passi il cannone sece fuoco a mitraglia. L’effetto fu terribile, cinque o sei uomini rimasero solamente in piedi, il generale Garibaldi ebbe la suola della scarpa e la staffa portata via da una palla di cannone; il di cui cavallo ferito, divenne indomabile, e fu costretto ad abbandonarlo, lasciandovi il suo revolvers. Il maggior Breda e il suo trombetta furono colpiti ai fianchi. Missori cadeva sul suo cavallo, che era ferito a morte da una scheggia. Statella restava in piedi fra un uragano di mitraglia, tutti gli altri, morti o feriti. A parte di questi particolari da tutti si combatteva e si combatteva valorosamente. Il generale vedendo allora l’impossibilità di prendere il eannone che aveva fatto tutto questo danno di fronte, comanda al colonnello Dunn di scegliere qualche compagnia e di slanciarsi con essa attraverso i canneti raccomandando a Missori, a Statella appena sormontati i canneti di saltare al di sopra del muro, che dovevano trovarsi dinanzi e poscia di slanciarsi sul pezzo di cannone che doveva essere a poca distanza. Il movimento fu eseguito da due ufficiali, e da una cinquantina d’uomini che seguivano con molta compattezza e molto slancio, ma allorchè arrivarono sulla strada la prima persona che vi trovarono era il generale Garibaldi a piede e colla sciabola in pugno. In questo momento il cannone fa fuoco, uccide alcuni uomini, gli altri si slanciano sul pezzo, se ne impadroniscono, e lo portano via dal lato degli Italiani. Allora la fanteria napoletana s’apre e dà il passaggio ad una carica di cavalleria che si avventa per riprendere il pezzo. Gli uomini del colonnello Dunn, poco abituati al fuoco si dividono a due lati della strada in luogo di sostenere la carica alla baionetta, ma a sinistra sono trattenuti dai fichi d’India, a dritta da un muro. La cavalleria passa come un turbine: da due lati i Siciliani allora fanno fuoco – la esitanza d’un momento è svanita. Moschettate a destra e a manca, l’ufficiale napoletano s’arresta e vuol tornare indietro, ma ecco in mezzo alla via serrargli il passo il generale Garibaldi, Missori, Statella e cinque o sei uomini. Il generale salta alla briglia del cavallo dell’ ufficiale gridando: arrendetevi. L’ufficiale per tutta risposta gli tira un fendente, il generale Garibaldi lo para, e d’un colpo di rovescio gli spacca la gola. L’ufficiale vacilla, e vien giù: tre o quattro sciabole sono alzate sul generale, che ferisce uno degli assalitori con un colpo di punta. Missori ne uccide altri due e il cavallo d’un terzo con tre colpi di revolvers. Statella mena le mani dalla sua parte, e ne cade un altro. Un soldato smontato di sella salta alla gola di Missori, che a bruciapelo gli fracassa la testa con un quarto colpo di revolvers. Durante questa lotta di giganti il generale Garibaldi ha rannodato gli uomini sgominati. Egli carica con loro, e mentre riesce a sterminare o a far prigioni i cinquanta cavalieri dal primo fino all’ultimo, incalza alla fine colle baionette secondato dal resto del centro; i Napoletani fuggono: i Bavari e gli Svizzeri tengono fermo un momento, ma fuggono essi pure. La giornata è decisa, la vittoria non è ancora, ma lo sarà, dell’eroe dell’Italia.

 

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