La campagna austro-ungarica del 1878 in Bosnia-Erzegovina

Conclusasi la guerra russo-turca, al congresso di Berlino del 1878, il ministro degli esteri austro-ungarico Gyula Andrássy conseguì un importante risultato per Vienna. L’Austria-Ungheria poteva occupare la Bosnia-Erzegovina e collocare sue guarnigioni nel Sangiaccato di Novi Pozar, sebbene questi territori restassero nominalmente turchi.

Senza neppure attendere la fine dei negoziati, il governo austriaco passò all’azione. Non rispettò dunque manco l’articolo 25 del trattato che imponeva di concordare ogni passo prima con la Sublime Porta. Poco importò agli osservatori europei perché la Turchia non aveva alcuna forza per muovere obbiezioni. La Bosnia-Erzegovina ed il Sangiaccato di Novi Pozar, pur restando nominalmente soggetta al Sultano, entrarono a far parte della giurisdizione doganale austriaca.

L’intero paese era davvero povero, scarsamente popolato, debole nel campo agricolo, privo di strade e manifatture. Leggermente diversa era la situazione del Sangiaccato di Novi Bazar, sulle rive della Rasca, che era al centro di vari strade verso l’Impero turco. L’unica giustificazione per le mire austriache poteva solo essere la volontà di Vienna di provare a spingersi nell’Egeo, forse gli Asburgo puntavano a Salonicco, e, al contempo, impedire l’estensione dell’influenza russa nei Balcani.

Le autorità ottomane si ritirarono dalla Bosnia il 28 luglio 1878 ed il giorno seguente, quasi centomila uomini e trentunomila cavalli, comandati dal generale Josip Filippovic, si riversarono in Bosnia. Il 13° Corpo, sotto il diretto comando di Filippovic, iniziò le operazioni attraversando il fiume Sava vicino Brod, Kostajnica e Gradiska. La ribellione non tardò a manifestarsi. Filippovic si spostò rapidamente attraverso la Bosnia settentrionale, conquistando Banja, Maglaj e Jajce, andando incontro a diverse imboscate che rallentarono la sua avanzata. In particolare a Maglaj, il 3 agosto, gli insorti bosniaci in un agguato decimarono il quinto squadrone di ussari. La resistenza armata, promossa dal derviscio Hadzi Loja, produsse gravi tensioni e sanguinari combattimenti nel paese. Il 3 agosto una truppa di ussari fu tesa un’imboscata vicino a Maglaj sul fiume Bosna, spingendo Filippovic a istituire la legge marziale. Il 7 agosto fu combattuta una battaglia campale vicino a Jajce e la fanteria austro-ungarica perse 600 uomini. La 18° divisione sotto il comando del generale Stjepan Jovanovic, avanzò invece dalla Dalmazia lungo la Neretva e prese Mostar, il 5 agosto. Il 13 agosto a Ravnice in Erzegovina più di 70 ufficiali e soldati ungheresi sono stati uccisi in azione. In risposta, l’Impero mobilitò il 3 °, 4 ° e 5 ° Corpo. Filippovic si convinse infine di dover sopprimere la resistenza, anche dal punto di vista morale, conquistando Sarajevo.

La città fu bombardata il 19 agosto. Le artiglierie tuonarono dalle colline che circondano la città sin dalle prime ore del mattino, poi la fanteria prese d’assalto la città da Ilidza, affrontando la vivace resistenza dei suoi cittadini, ortodossi e musulmani. Violenti combattimenti infuriarono nelle sue strade. I combattimenti si fecero accaniti nei quartieri più popolosi ed in specie presso la Moschea di Ali Pasha. Anche le donne partecipavano lanciando di tutto dalle finestre. Entro le 13:30 gli austroungarici avevano il controllo della città. La città era stata espugnata. Alle 17.00 Filippovic fece la sua entrata in città e prese possesso della Konak, la residenza del governatore ottomano, iniziando così simbolicamente l’era austro-ungarica in Bosnia. Il giorno prima Filippovic aveva arrestato l’ex governatore ottomano, Hafiz Pasha. Gli occupanti persero 57 morti e 314 feriti dei 13.000 soldati impiegati nell’operazione, ma le stime sulle vittime civili sono prive di riscontri, pare attorno alle 400. Nei giorni seguenti ci furono molte esecuzioni di ribelli accusati a seguito di processi sommari. Il primo dei condannati fu Muhamed Hadzijamakovic, arrestato mentre si stava consegnando a Filippovic, catturato, processato ed impiccato ad una quercia, dopo aver tentato la fuga servendosi di una pistola strappata ai suoi aguzzini.

Sebbene fosse stata l’ultima provincia balcanica ad essere conquistata dai turchi, la Bosnia-Erzegovina subì la loro influenza più duramente della Serbia e della Romania. Ad eccezione dell’Erzegovina meridionale, dove era predominante il cristianesimo, per la vicinanza col Montenegro, l’intera nobiltà abbracciò l’islam e nel giro di un cinquantennio si venne al singolare caso di uno stato musulmano circondato da stati cristiani. I musulmani capirono subito che nella nuova amministrazione i loro privilegi sarebbero scomparsi e ciò alimentò una ribellione generalizzata, al principio sottovalutata dagli asburgici. Andrassy, infatti, aveva presentato l’operazione come una “passeggiata con una banda di ottoni”, invece fu tutt’altro. Alla fine del conflitto, Vienna stimò l’esercito bosniaco composto da 40.000 uomini cui si unirono circa 90.000 insorti. Si trattava in ogni caso di ribelli armati appena di antiquati fucili – pochi a retrocarica, molti a pietra focaia – e del tradizionale handschar. La cosa sorprendente è che un nucleo consistente di ribelli erano ortodossi che desideravano unirsi alla Serbia. Diversa era invece la condizione dei cannoni, circa 77 in dotazione dell’esercito bosniaco, ed in mano ad eccellenti artiglieri albanesi. Le difficoltà trovate dall’esercito austroungarico portarono alla mobilitazione di cinque corpi per un totale di 153.300 soldati e 112 cannoni che furono usati soprattutto nell’assedio di Sarajevo.

Dopo la caduta della città, gli insorti si ritirarono tra le montagne mentre l’esercito asburgico pensò dapprima di ristabilire l’autorità nei territori occupati, di ricostruire i collegamenti stradali e telegrafici, di approvvigionare la capitale stremata dal conflitto. Non mancarono subbugli e violenze perché le requisizioni forzate riaccesero l’ostilità locale.

Il 1° settembre, 40.000 uomini da Zivornik marciarono su Mokro, dandosi ai saccheggi. Da Sarajevo fu inviata la 6° divisione del generale Wilhelm von Tegetthoff per respingere i ribelli e riprendere la città e l’altipiano di Romanja dove essi si erano accampati. L’attacco avvenne il 3 settembre, sotto una pioggia fitta, e con qualche difficoltò si riuscì ad aver ragione dei ribelli, che in realtà erano appena mille e male armati. Le forze asburgiche si erano divise in tre colonne, quella centrale avanzò direttamente su Mokro, come concordato, ma la colonna sinistra completò i movimenti solo nel pomeriggio e la colonna destra solo a sera. Il centro era finito sopraffatto e si era ritirato lasciando l’azione all’artiglieria. I cannoni riuscirono a disperdere i nemici in direzione di Trawnik e Rogatina. A fine giornata gli austriaci si accampano dove prima erano i dissenti, il giorno dopo presero Mokro e s’impegnano nell’erigere fortificazioni. Vi lasciarono a guardia una brigata con artiglieria e cavalleria, poi il generale Tegetthof rientrò a Sarejevo.

Intorno al 12 settembre le truppe di Filippovic, rinforzate, ripresero i movimenti. Il primo obbiettivo fu quello di debellare le bande che si muovevano tra Rogatica, Visegrad, Valsenica e Klandanj. I rastrellamenti della I divisione spensero questi ultimi aneliti di ribellione. Una brigata austriaca con artiglieria si mosse lungo la mulattiera di Han-Dragorade e Olovo su Klandani, e per Mokro su Valsenica. Una seconda brigata fu inviata su Visegrad. Pure la brigata lasciata a Mokro si rimise in marcia verso Rogatica riallacciando le comunicazioni fra le altre due e chiudendo il passo di Gorazda dove i ribelli potevano incunearsi per raggiungere il Sangiaccato. Il 19, le truppe che operavano su Visegrad si trovarono a Mokro. Erano 11 battaglioni, 2 squadroni e 12 pezzi l’artiglieria. Il nemico era invece rinchiuso in quattro campi fortificati nell’area del monte Vitanj, nei dintorni di Odziak. Gli austriaci allora occuparono i declivi attorno al monte nella notte tra il 20 ed il 21 e da quelle postazioni iniziarono l’attacco. La colonna sinistra assalì il fianco destro nemico, e questi, forte di quattro cannoni, finì presto senza munizioni. I musulmani non volevano arrendersi, difesero ad oltranza la posizione brandendo a volte lo handschar contro le baionette austriache. Verso mezzogiorno, perduto Monte Vitanj, si ritirano per Senkovic lasciando sul campo 300 morti. Gli austroungarici persero 87 uomini e contarono 375 feriti. Al termine delle operazioni avevano occupato Visegrad, Goradza, Klandanj e Vlasenica.

Si passò allora a completare l’occupazione della Bosnia e dell’Erzegovina.

Bienerth col 4° corpo d’armata, attraversò la Save, fra Novigrad e Jamina, e prese Samac. Con l’obbiettivo d’inoltrarsi nella Bosnia orientale, mosse la 31° e la 13° divisione verso Tuzla, avanzando concentricamente su Gradacac, dove il castello mostrava una bandiera bianca. In realtà un gruppo di insorti era appostato sulle alture e tenne impegnata l’avanguardia austriaca e le sue artiglierie, prima di disperdersi. I ribelli furono inseguiti a Gracanica dove reparti austriaci guadarono il Lukavac e la Tinja e li presero alle spalle. Nova-Brcka fu presa il 17 settembre dalle truppe del conte Szapary. Fortificata da piccole ridotte e protetta da due cannoni, Nova-Brcka si difese contro 8000 imperiali e tre batterie pesanti, più i grossi calibri del monitor Leita, la grande nave da guerra fluviale della marina asburgica. Presa Nova-Brcka, il 4° corpo marciò sino a Majevica e s’accampò a Han-Sibocica. Da qui mossero verso la valle della Spreca dove si concentrava il nerbo principale dell’insurrezione. Forte di trentanove battaglioni, 64 pezzi da campagna ed 8 da montagna, il 22 settembre Szapary prese Tuzla e Zwornik trovandole senza difese. I ribelli si erano dileguati, nel mentre il 5° corpo era avanzato sino a Brod e Novska senza combattere.

Il barone Javanovic il 7 settembre prese Trebinje, subendo perdite insignificanti, poi attaccò Klonuk dove erano finiti a rinchiudersi 200 insorti nella locale fortezza eretta tra fianchi montuosi imprvi. Per quattro giorni i ribelli risposero al fuoco, dopo tre giorni di silenzio gli austriaci vi inviarono una pattuglia che scalò le mura e la trovò deserta. I suoi difensori, respinta la capitolazione, aiutati da corte, erano fuggiti in Montenegro. Il 28 settembre fu presa Livno, dove altri insorti, scampati ad uno scontro a Han-Prolog, si erano rintanati. Chiusa ogni possibilità di fuga, gli austriaci aprirono il fuoco il 27 al mattino, malgrado nebbia e pioggia. I difensori tentarono di spezzare l’accerchiamento in direzione di Glamoc, ma fu inutile. L’indomani una deputazione musulmana presentò la resa. Le operazioni potevano dirsi complete e Hadzi Loja, che in passato era stato combattuto pure dagli ottomani come brigante, si arrese definitivamente agli austriaci il 3 ottobre nel burrone di Rakitnica. Qualche giorno dopo capitolava anche la fortezza di Velika Kladusa.

La mobilitazione dell’esercito asburgico però continuò. Fu preso il Sangiaccato di Novi Bazar, una lingua di terra tra Serbia e Montenegro, che il Congresso di Berlino preferì affidare a Vienna, per impedire che i nuovi principati divenuti indipendenti potessero fondersi in un unico stato slavo occupandolo. L’occupazione austroungarica Sangiaccato di Novi Bazar avvenne in accordo coi turchi e riguardò esclusivamente i centri Priboj, Prjepolje e Bjelopolje, situati sul Lim. Nel maggio del 1879, l’Austria occupò pure il territorio di Spizza, annettendolo al capitanato distrettuale di Cattaro.

Gli austroungarici contarono 1.200 morti, 2.000 dispersi e 3.980 feriti, mentre ancora oggi non esiste una stima attendibile delle perdite bosniache. Quella che doveva essere una passeggiata si era rivelato un enorme sacrificio di vite che era pure pesato enormemente sulle finanze austriache. Si stima che la campagna di occupazione della Bosnia-Erzegovina sia costata oltre cento milioni di fiorini all’Impero. La regione fu ufficialmente annessa il 6 ottobre 1908, così l’Austria s’intromise nei delicati equilibri balcanici che di lì a poco avrebbero portato all’esplosione di una lunga serie di conflitti culminati poi nella Grande Guerra.

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: L’occupazione della Bosnia e dell’Erzegovina, in Rivista estera; L. Bencze, The Occupation of Bosnia and Herzegovina in 1878

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