La campagna di Grecia ed il fallimento dell’Operazione Barbarossa

Una delle opinioni più diffuse sull’Operazione Barbarossa è che l’intervento tedesco nei Balcani, volto a soccorrere l’esercito italiano impantanato nella disastrosa Campagna di Grecia voluta da Mussolini per la sua dissenata decisione – una delle tante – di condurre una guerra parallela nel Mediterraneo in totale indipendenza dall’alleato tedesco, abbia influito sia sulla tempistica dell’Operazione Barbarossa che, in definitiva, sull’esito della guerra. Gli estratti che proponiamo al lettore, parte dell’opera di Lucio Ceva intitolata “La campagna di Grecia 1940-1941 – Riflessi politici e conseguenze strategiche”, sconfessano questa convinzione. Lo studio di Lucio Ceva, che si avvale di produzioni storiografiche non italiane, dimostra come l’intervento tedesco nei Balcani non influì minimamente né sull’Operazione Barbarossa, né sulla guerra.

Vincenzo Zazzeri

Un ringraziamento all’amico Roberto Manfredi  per aver trovato il saggio di Lucio Ceva

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Venendo alle conseguenze strategiche sulla guerra, essenziale ci sembra sgomberare il campo dalla credenza che l’azione tedesca in Grecia dell’aprile 1941 avrebbe avuto influenza decisiva sui tempi e addirittura sull’esito dell’attacco nazista all’Unione Sovietica dell’estate successiva (operazione Barbarossa). Quest’ultimo sì da annoverare fra le massime cause del crollo tedesco del 1945. Orbene, ammesso — come si deve — che un grande conflitto mondiale sia di per sé un intrico di cause, di concause, di riflessi e di rimbalzi, e che pertanto neppure la più piccola azione od omissione è priva di conseguenze, va detto che la promozione della campagna tedesca dell’aprile 1941 (perfino sommandovi il contemporaneo e imprevisto urto con la Jugoslavia) a fattore determinante del fallimento di Barbarossa è cosa fuori dalla realtà. Qualcuno lo pensò, basandosi sia su una lettura superficiale della famosa direttiva hitleriana del 18 novembre 1940, n. 21, secondo la quale i preparativi per Barbarossa dovevano essere “ultimati al più tardi il 15-V-1941”, sia anche su un passo delle memorie di Winston Churchill, secondo il quale la “nostra resistenza nei Balcani e sopra tutto la rivoluzione Jugoslava” avrebbero imposto a Hitler un fatale ritardo di cinque settimane all’inizio di Barbarossa, salvando Mosca.

Sennonché la direttiva hitleriana fissava al 15 maggio “il compimento dei preparativi, non l’inizio dell’operazione”, non mancando di aggiungere: “il tempo dell’esecuzione non è ancora fissato”. Dunque, anche astraendo dalla reale possibilità di assalire l’Urss a metà maggio, la data d’inizio non era affatto decisa.  Quanto a Churchill (che in ogni caso attribuisce l’asserito ritardo tedesco non alla campagna di Grecia ma ‘sopra tutto’ alla sopravvenuta necessità hitleriana di schiacciare anche la Jugoslavia), bisogna ricordare che — scrivendo in anni vicini ai  fatti, quando i ricordi erano ancora vivi — egli doveva difendersi dalla critiche mossegli per l’inefficace soccorso portato alla Grecia (operazione Lustre). Non solo si  era incassata in Egeo una nuova inutile Dunkerque, ma il cospicuo dirottamento di forze dall’Africa alla Grecia aveva impedito ai generali Archibald Wavell e Richard O’Connor di coronare il loro trionfo sugli italiani con la conquista di Tripoli e dell’intera Libia.

Cosa che, a febbraio 1941, era perfettamente possibile, a condizione di agire subito prevenendo o scoraggiando lo sbarco dei primi reparti tedeschi di Rommel.

Churchill insomma aveva bisogno di attribuire alla sua rischiosa impresa greca (operazione Lustre) un significato militare oltre a quello cavalleresco innegabile.

Consideriamo ora un panorama più ampio, cercando di annoiare il meno possibile i lettori con l’aridità di pur elementari raffronti numerici. È noto che delle 204-205 divisioni (SS comprese) che avrebbero formato l’esercito tedesco alle soglie dell’estate 1941, 58 (di fanteria) dovevano presidiare le conquiste delle precedenti campagne (38 l’Occidente, 1 la Danimarca, 7 la Balcania, 12 la Norvegia), mentre 3 (1 Panzer, 1 “leggera” poi trasformata in corazzata, cui si aggiungerà la 90a di fanteria) dovevano combattere in Libia. Alle rimanenti 144-145 divisioni (al massimo col concorso di 8 delle 12 in Norvegia per un’eventuale operazione Silberfuchs contro Murmansk), competeva l’annientamento dell’Urss. Di queste 144-145 unità, 123 (comprendenti 17 Panzer, 15 motorizzate, 1 di cavalleria e tutte le altre di fanteria o da montagna) avrebbero agito in prima schiera insieme con gli alleati finlandesi, romeni, ungheresi e poi italiani. Le restanti 21 (di cui 2 Panzer) costituivano la riserva da impiegare al bisogno.

Precedentemente, all’inizio del 1941 e in vista del prossimo intervento in Grecia attraverso la Bulgaria, era stata approntata in Romania la 12a armata agli ordini del maresciallo Siegmund Wilhelm von List su 16 divisioni (di cui 4 Panzer, 2 motorizzate, 7 di fanteria e 3 da montagna più alcuni reggimenti non indivisionati). Il progetto dell’operazione contro la Grecia (operazione Marita) cambiò più volte.

Nella versione originaria, doveva mirare solo all’occupazione della costa settentrionale sull’Egeo. Poi, il 17 marzo 1941, in seguito allo sbarco in Grecia di truppe britanniche e quando dal 1° marzo era già in corso l’incontrastata penetrazione tedesca in Bulgaria, Hitler ordinò che l’operazione fosse estesa all’intero paese ellenico, Morea inclusa. Per nessuna di queste due ipotesi era previsto l’impiego dell’intera 12a armata in quanto almeno una sua parte importante (gruppo Kleist con le Panzerdivisionen 5a e 11a) doveva restare schierata in modo da proteggere le spalle da eventuali attacchi dei turchi.

Infine, il 28 marzo 1941, in seguito al colpo di stato di Belgrado del giorno prima e alla conseguente necessità di schiacciare anche la Jugoslavia (operazione n. 25), fu deciso l’impiego di tutta la 12a armata.

La sua parte maggiore doveva attaccare in Macedonia gli jugoslavi (contro i quali altre forze tedesche sarebbero calate dalla Stiria, dalla Carniola e dall’Ungheria), mentre la restante parte doveva, dalla Bulgaria, puntare sulla Grecia (frattanto i compiti di sorveglianza verso la Turchia, già affidati al gruppo Kleist, venivano assunti da una nuova Panzerdivision, la 16a, proveniente dalla Romania).

In concreto, 10 divisioni tedesche della 12a si avventarono sulla Jugoslavia meridionale (Macedonia), mentre in un primo tempo agirono direttamente contro la Grecia le restanti 6 divisioni: 2 di fanteria (164a e 50a) attaccarono la Tracia orientale e altre 3 (72a di fanteria, 5a e 6a da montagna), muovendo dall’area tra i fiumi Struma e Nestos, assalirono il passo Rupel. Il valico fu superato solo grazie all’intervento della 2a Panzer che, sconfinando in Jugoslavia, riuscì ad aggirarlo, puntando quindi su Salonicco che fu occupata il 9 aprile. Dopodiché, scendendo da Bitole nella Macedonia jugoslava, puntarono sulla Grecia per la via di Florina altre 3 divisioni tedesche del gruppo maggiore: la 9a, la 5a Panzer e la motorizzata Leibstanstdarte Adolf Hitler. Nell’insieme dunque 9 divisioni tedesche — di cui 3 Panzer, 1 motorizzata e 5 di fanteria — con fortissimo appoggio aereo (oltre 500 aeroplani), fra il 6 e il 27 aprile, ebbero ragione dell’equivalente di 3 divisioni britanniche e di 6 deboli divisioni greche (infatti il grosso dell’esercito greco, 14 divisioni, continuava intanto a fronteggiare gli italiani in Albania indietreggiando molto lentamente). Il 23 aprile la Grecia si arrendeva ed entro il giorno 29 erano occupate l’Attica con Atene e l’intera Morea, previa azione paracadutista a Corinto. Il corpo britannico era riuscito a reimbarcarsi sia pure con perdite gravi. A detta dei tedeschi, la frazione dell’esercito greco da loro fronteggiata si era battuta con grande valore sopra tutto sui passi montani.

Orbene, su un totale di 152 divisioni tedesche destinate a Barbarossa (123 per la prima ondata, 21 in riserva strategica più il concorso di 8 di quelle dislocate, come già si è detto, in Norvegia per un’eventuale operazione Silberfuchs mirata a Murmansk), solamente 29 (meno di un quinto) ebbero qualche cosa a vedere con la campagna balcanica, tanto con quella di Grecia quanto con quella contro la Jugoslavia che le si era sovrapposta. Di tali 29 divisioni, 2, per quanto avviate verso la Balcania, non avevano avuto nemmeno il tempo di raggiungerla e una terza (19a Panzer) era rimasta addirittura all’oscuro della superiore intenzione di impiegarla in tale regione. Consideriamo le rimanenti 26 divisioni di cui 9 impiegate in Grecia (6 solo in Grecia e 3 anche in Jugoslavia) e altre 17 impegnate unicamente in Jugoslavia. Alle 9 divisioni della Grecia dobbiamo sottrarne 3 (5ª, 6ª da montagna e 164ª di fanteria), a priori estranee a Barbarossa perché già da prima scelte per restare in Grecia con compiti di guarnigione. Inoltre, delle altre 23 divisioni destinate al blitz in Balcania, ben 14 (2 corazzate, 1 motorizzata, 2 alpine e 7 di fanteria) erano sì destinate a successivo impiego in Barbarossa, ma nessuna di esse era compresa nella prima ondata: tutte facevano parte della riserva strategica di Barbarossa, il cui impiego era previsto solo per la fase finale dell’operazione.

Dunque in Balcania (non solo Grecia, ma Grecia più Jugoslavia) furono impiegate soltanto 10 divisioni tedesche di quelle destinate a far parte della prima ondata di Barbarossa. E, di queste 10, quelle che provenivano dalla 12a armata erano solo 6 (9a Panzer, motorizzate SS Adolf Hitler e SS Das Reich, 50a e 72a di fanteria, 4a da montagna), una delle quali (la Das Reich) non aveva operato in Grecia.

Quindi, nel totale della prima ondata di Barbarossa, la percentuale delle truppe reduci dalla Grecia era minima (5 su 123).

E ancora: l’Okh (Comando supremo dell’esercito tedesco) aveva calcolato, con prudente larghezza, che ogni divisione impegnata in Balcania e destinata a Barbarossa avrebbe necessitato in media di dieci giorni per il viaggio di ritorno in Germania più tre settimane per una nuova messa a punto. Ma intanto la durata del blitz in Jugoslavia, prevista di un mese, si era ridotta a soli 11 giorni (6-17 aprile).

Inoltre, i tempi del ritorno, specialmente per le forze nella lontana Grecia, si erano straordinariamente abbreviati grazie alla disponibilità delle strade e della ferrovie jugoslave.

Cosicché tutte le divisioni impiegate in Balcania potevano essere disponibili e a punto entro il 15 maggio 1941 per il Feldzug a Est se mai per tale data fosse stato deciso di scatenarlo.

Fu dunque per ragioni che nulla hanno a vedere con la campagna balcanica se non si attaccò in maggio. È infatti ben documentato che, fino alla terza settimana del giugno 1941, molte delle forze destinate a Barbarossa (e che non avevano avuto nessuna parte nella campagna balcanica) difettavano ancora di vari materiali e che a ciò ci si affrettava a rimediare col bottino di guerra fatto in Francia l’anno precedente.

Il giorno dell’attacco, previsto inizialmente per fine maggio-giugno, venne fissato il 17 giugno, da Hitler in persona, per il 22 di quello stesso mese. Peraltro in nessun caso, nel 1941, sarebbe stato possibile agire prima della terza decade di giugno, a causa della piena del fiume Bug, che cessò del tutto solo ai primi di luglio. Del resto, sul fronte orientale, anche negli anni seguenti le offensive tedesche e le principali sovietiche furono lanciate sempre in piena estate: Fall Blau, 28 giugno 1942; Citadel, 5 luglio 1943. Sul versante russo, il grande colpo d’ariete che nel 1944-1945 portò dalla Polonia a Berlino, a Vienna e a Budapest aveva preso il via proprio il 22 giugno 1944.

Questo per quanto concerne la data d’inizio.

Assolutamente chimeriche sono poi le supposizioni sull’influenza che il blitz balcanico dell’aprile 1941 avrebbe esercitato sull’esito delle operazioni tedesche in Russia.

Per Hitler, Barbarossa, dopo qualche battaglia vinta sulle frontiere, doveva avere solo carattere di marcia d’occupazione estesa fino alla linea Arcangelo-Astrakhan, da raggiungere entro settembre. Era infatti previsto che, già prima della fine delle operazioni all’Est, importanti effettivi tedeschi dovessero trasferirsi a Ovest per la marcia su Gibilterra attraverso la Spagna (operazione Felix Heinrich), alla quale, nella sua precedente versione (operazione Felix), si era dovuto rinunciare nell’inverno precedente. Contemporaneamente doveva iniziarsi la trasformazione dell’intera Wehrmacht per quella lotta finale anche per il dominio del Medio Oriente e del Mediterraneo ed eventualmente contro gli Usa, che più tardi lo storico Hillgruber chiamerà Weltblitzkrieg (guerra lampo mondiale).

Le vere cause del fallimento di Barbarossa sono dunque solo quelle confessate da Halder l’11 agosto 1941: “abbiamo sottovalutato il colosso russo […] quanto a risorse economiche, comunicazioni e potenza militare in senso stretto. Contavamo di ave re a che fare con 200 divisioni russe e ne abbiamo già contate 360”.

A fronte di questo rilievo decisivo, osservazioni secondarie come il logorio imposto a cingoli e motori dei carri della 2a Panzerdivision per la lunga marcia attraverso la Grecia perdono ogni valore decisivo.

Perfino una vittoria sull’Urss realizzata in un tempo superiore ai tre-quattro mesi previsti nel 1941 avrebbe determinato il fallimento degli arrischiati calcoli strategici di Hitler. Questi infatti miravano a una supremazia continentale assoluta e immediata grazie alla quale egli sperava di evitare o di vincere lo scontro finale con gli Stati Uniti.

Il Terzo Reich si era gettato in un’impresa che trascendeva in ogni caso le sue forze economiche, industriali e demografiche. Nemmeno un successo a Mosca nel novembre 1941 avrebbe pesato in modo decisivo su una bilancia che nei quattro anni di guerra avrebbe confermato il suo reale equilibrio di lunga durata.

Nessuno studioso serio dovrebbe ancora lasciarsi ingannare da qualche frasetta spigolata qua e là dal testamento che, stando a Trevor-Roper, Hitler avrebbe dettato il 17 febbraio 1945 quando era rinchiuso nel bunker della Cancelleria alla vigilia del crollo. Penso soprattutto all’asserzione che la campagna balcanica avrebbe causato “un ritardo catastrofico sull’inizio dell’attacco alla Russia”

 

 

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Un pensiero su “La campagna di Grecia ed il fallimento dell’Operazione Barbarossa

  • 27 Gennaio 2023 in 9:16
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    La tesi elaborata dal sig. Ceva non serve, in realtà, ad inficiare la teoria che vorrebbe critirare.
    Al contrario ne rafforza i fondmenti, confermandola.
    La sua elaborazione è controfattuale e postula una serie di conclusioni argomentative alle quali egli perviene partendo da presupposti del tutto eterogenei.
    Afferma che nessuna incidenza vi fu sugli effetti della operazione Barbarossa per causa dell’intervento Balcanico ragionando sulla entità e sulla composizione dell’apparato militare tedesco e sulla aliquota in esso impiegata. Nonché la tempistica dell’ intervento stesso.
    Trascura tuttavia l’elemento fondamentale è cioè il ritardo inevitabile che la stesura della trama di una qualsiasi operazione militare, a maggior ragione inattesa, deve fatalmente provocare nella riorganizzazione di un piano strategico di grande intesa come era il Barbarossa.
    Ed infatti alla stessa conclusione conducono le fonti autentiche di entrambe le parti belligeranti riportate dai due principali e supremi autori e gestori dei fatti in esame.

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