La Concessione italiana di Tientsin

Intervenuta nella repressione della Rivolta dei Boxer, l’Italia si vide riconoscere un possedimento coloniale in Cina, la Concessione di Tientsin. Ce ne parla R. Ciasca in Storia coloniale dell’Italia contemporanea.

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Nel giugno 1900, quelle sette buddiste, spinte da cieco odio contro gli stranieri, si dettero a massacrare ferocemente cristiani europei, distrussero non poche Legazioni straniere, assassinarono il ministro tedesco a Pechino von Ketteler, strinsero di assedio negli edifici della Legazione inglese i rappresentanti diplomatici, costrinsero l’Imperatore e l’Imperatrice a fuggire dalla capitale, incitarono il popolo alla rivolta contro gli stranieri, accusandoli di avvelenare pozzi e fonti, di umiliare la dinastia.

Alla spedizione internazionale, concertata dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Giappone, l’Italia partecipò con duemila uomini e due (poi sei) navi da guerra, per “difendere”, come affermò Re Umberto I il 19 luglio 1900 salutando a Napoli le truppe partenti per l’Estremo Oriente, il “sacro diritto delle genti e dell’umanità calpestata”, difendere la vita e gli interessi di nostri connazionali, “tener alto il prestigio dell’esercito italiano e l’onore del nostro Paese”. Le nostre navi bombardarono i forti di Ta-Ku; il nostro contingente sbarcato sulla foce del Pei-Ho, a 40 km. da Tien-Tsin, partecipò all’occupazione di questa, all’assedio delle Legazioni e del Petang per punire i colpevoli dei massacri colà avvenuti, infine alla presa di Pechino (settembre 1900), e poi ad operazioni militari su Pao-Tuig-Fu, Cu-Nan-Shien e Kalgan, ai confini della Mongolia.

Conseguenza di tale intervento, fu che, rialzatosi il nostro prestifio militare e politico, si addivenne facilmente all’accordo del 7 giugno 1902, col quale la Cina ci riconosceva, anche formalmente, il settlement di Tien-Tsin, cioè i terreni situati sulla sinistra del Pei-Ho, limitrofi a concessioni di altre Potenze, che erano stati occupati dalle nostre truppe il 27 gennaio 1901, mentre si svolgevano le trattative di pace. Per virtù di quell’accordo, il Governo cinese cedeva in perpetuità al Governo italiano, a titolo di “affitto” e verso un canone annuo di circa 2800 lire oro, un terreno di quasi 46 Km. quadri con 17.000 abitanti, posti nel sobborgo della città cinese di Tien-Tsin, compreso fra le concessioni russa e austriaca, la sponda sinistra del Pei-Ho e le proprietà delle ferrovie internazionali cinesi; e su di esso riconosceva la piena giurisdizione italiana alla pari delle altre concessioni, per “favorire lo sviluppo del commercio italiano nel nord della Cina”.

 

 

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