La evocatio degli dei assediati

La guerra per gli antichi romani non aveva solo aspetti puramente politico-militari. Essa era anzitutto un fatto religioso. Bisognava, infatti, assicurarsi, come prima cosa, di invitare correttamente i numi tutelari della città nemica ad abbandonarla al suo destino, in modo da non averli come nemici nel corso delle operazioni d’assedio, ma anche di non averli maldisposti prigionieri una volta che la guerra fosse stata ultimata vittoriosamente. Assumeva così un’importanza cruciale la evocatio degli dei assediati.

Roma era piena di templi innalzati ad una infinità di divinità. Probabilmente ciò era dovuto anche alle guerre che i romani avevano condotto contro popolazioni ostili. La benevolenza degli dei stranieri, infatti, era sollecitata attraverso una invocazione e suggellata dalla promessa di erigere un tempio, a loro dedicato, entro il perimetro romano. Tutto è raccontato da Macrobio, erudito del IV secolo d.C., che addirittura ci tramanda la formula evocativa usata nel corso delle guerre puniche.

Scrive Macrobio: “Tutte le città sono sotto la protezione di qualche dio e i romani avevano un rituale segreto con cui, nel cingere d’assedio una città nemica, chiamavano a sé gli dei tutelari. Fecevan questo perché credevano che altrimenti non fosse possibile prendere la città, o comunque perché ritenevano sacrilego impossessarsi di divinità prigioniere. Proprio per questa ragione infatti, i romani vollero che rimanessero segreti sia il dio sotto la cui protezione si trovava Roma, sia anche il nome latino della città… Questo era persino ignorato dalle persone più colte perché i romani temevano che, se si fosse diffuso il nome del loro protettore, avrebbero potuto subire essi pure, a seguito di rituali nemici, subire ciò che avevano più volte fatto contro le città nemiche…”.

Il rapporto tra divinità e umanità non era compreso secondo principi di fedeltà assoluta e unicità, come invece tra gli ebrei. I romani reputavano ogni dio degno di rispetto e culto perché riconoscevano in lui il controllo di un aspetto del reale. Nessun dio assommava in sé tutti gli aspetti del sacro. Bisognava dunque accattivarsi le simpatie di ogni dio perché l’insuccesso e la sventura non piombassero a distruggere progetti concreti come, per esempio, una conquista militare. Per tali ragioni Roma vide, accanto alle sue divinità, anche gli dei dei popoli conquistati.

Ecco la formula tramandataci in Saturnalia III, 9, 2-8: “Se c’è un dio o una dea che protegge il popolo dei cartaginesi e tu in particolare che hai assunto la tutela di questa città e di questo popolo, vi prego, vi scongiuro e vi supplico di abbandonare il popolo e lo Stato cartaginese, di lasciare il loro territorio, i loro templi, le loro cerimonie e le loro città, di andarvene via da loro, di gettare quel popolo nella paura e nel terrore e di venire propizi a Roma da me e dai miei, di trovare i nostri territori, i nostri templi, le nostre cerimonie, la nostra città più graditi e più accetti, di essere propizi a me, al popolo romano e ai miei soldati. Se farete questo in modo che noi siamo certi e convinti, io faccio voto di costruire templi e di allestire giochi in vostro onore”.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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