Memorie della Grande Guerra: la Marina italiana

Nell’immaginario collettivo la Grande Guerra si identifica con le trincee eppure il mare e la Regia Marina furono protagonisti di eccezionali imprese.

Anno 1917. L’Italia è in guerra con una flotta composta da cinque corazzate monocalibro e sei di tipo vecchio, 12 incrociatori, 76 fra cacciatorpediniere ed esploratori e 21 sommergibili. Nonostante la sua marina conti forze preponderanti, il regno si trova in una posizione particolarmente critica: la sua conformazione lo proietta su tre mari con quasi ottomila chilometri di coste e ciò rende problematica la difesa. Solo l’assoluta certezza di non avere nemici nel Tirreno può permettere di concentrare i vascelli nell’Adriatico. Il tutto però è complicato dalla necessità di dover tenere solide le comunicazioni con le colonie e c’è pure da tenere in conto che l’intero potenziale navale austriaco è mobilitato direttamente contro quello italiano.

Per evitare che i sommergibili nemici passino dall’Adriatico allo Jonio, il Comando Alleato ha predisposto, all’altezza del Canale d’Otranto, uno sbarramento mobile costruito da un certo numero di piccole unità che in linea di fila trascinano lentamente delle reti sommerse. Gli austriaci tentano un’incursione il 15 maggio del 1917 ma vengono respinti. Tuttavia le due flotte non si scontrarono mai in una aperta battaglia e le perdite di grandi navi durante sono provocate sostanzialmente da sabotaggi.

Nei difficili giorni di Caporetto batterie della Regia Marina vengono piazzate nel settore del Basso Piave par dar man forte ai nostri fanti. Il 16 novembre 1917 le corazzate “Wien” e “Budapest” tentano di bombardare quelle disposte nel settore di Cortellazzo ma un deciso attacco di due nostri MAS le fa desistere.

Il 12 dicembre del 1917 una formazione di due MAS italiani guidata dal tenente di vascello Luigi Rizzo, penetrata nella notte nel porto di Trieste, prima dell’alba attacca con i siluri le corazzate austriache Wien e Budapest. La prima è affondata. Il Motoscafo Armato Silurante è un’imbarcazione leggera, di 5-20 tonnellate, veloce, impiegata come mezzo d’assalto dalla Marina italiana. E’ equipaggiato con una mitraglietta pesante, due siluri e bombe antisommergibile, una decina in tutto gli uomini dell’equipaggio. Le due navi colpite erano tornate a Trieste per appoggiare dal mare l’azione austriaca sulla terraferma. Il successo italiano è clamoroso.

L’azione più audace si registra però l’anno dopo ed è quella di Costanzo Ciano passata alla storia come la Beffa di Buccari. Il 10-11 febbraio del 1918 gli italiani, con tre MAS, penetrano per novanta miglia nelle acque nemiche e lanciano sei siluri contro le navi austriache alla fonda nella rada. Nella baia di Buccari, elusa la sorveglianza austriaca e giunti a distanza di tiro, all’1.20 di notte, i tre MAS colpiscono tre piroscafi da carico e uno passeggeri, poi riguadagnano il largo. Gabriele D’Annunzio, accanto a Ciano e Rizzo nell’operazione, ha aggiunto ai siluri tre bottiglie col messaggio: “In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia”. La Beffa diviene subito il modello di azione bellica all’italiana, avventurosa, irridente, che sa esaltare l’orgoglio nazionale, simbolica di fatto, perché senza effetti concreti, condotta senza spargere l’ombra di una goccia di sangue, eppure di grande risonanza: Vienna è derisa.

Nel giugno del 1918 gli austriaci ci riprovano. Preparano una grossa operazione navale e puntano ad attaccare lo sbarramento navale di Otranto, ingaggiare battaglia con le unità alleate ed attirarle verso il grosso delle proprie forze. A fermarli c’è ancora Luigi Rizzo che al comando di due MAS all’alba del 10 giugno 1918 sta incrociando nelle acque di Premuda. Quando avvista il nemico Rizzo non ha esitazioni. Si infila tra le unità di scorta e lancia da 300 metri due siluri contro la Szent Istvan che, centrata in pieno, si capovolge e cola a picco.

Il colpo di grazia è del 1 novembre, quando affonda una terza corazzata, la Viribus Unitis, a Pola grazie alla mignatta di Paoloccui e Rossetti. Dopo aver superato le ostruzioni del porto, la mignatta si è avvicinata alla Viribus Unitis, alle 4.45 si attaccata, sotto la chiglia, la carica esplosiva che alle 6.30 dovrebbe brillare. Intanto, ritornati sulla mignatta, gli incursori italiani sono scoperti. Decidono allora di aprire le valvole del loro mezzo e di attivare la seconda carica: la mignatta, una volta abbandonata a sé stessa, si arrena in un’insenatura ed il suo scoppio provoca l’affondamento del piroscafo Wien lì ormeggiato. Paoloccui e Rossetti sono catturati e portati a bordo della Viribus Unitis come prigionieri. Avvertono che la corazzata sta per esplodere e l’equipaggio nemico abbandona rapidamente l’imbarcazione salvo poi ritornarvi perché, passate le 6.30, non s’è verificata alcuna esplosione. E’ invece alle 6.44 che la carica brilla davvero e la corazzata austriaca, inclinatasi su un lato, comincia rapidamente ad affondare. Con la grossa unità affondano anche le ultime speranze navali austriache sul Mare Nostrum.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: R. Raja, La Grande Guerra giorno per giorno; Rivista Marittima, Speciale Grande Guerra, Novembre 2018

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