La pittura di Giotto

“Il miglior dipintor del mondo”, così lo definì Boccaccio nel Decamerone. Eppure di lui si sa pochissimo. Lo si vuole figlio di un piccolo proprietario terriero di nome Bondone, nato a Colle di Vespignano, nella valle del Mugello, forse intorno al 1267. Completamente avvolta in una fitta coltre di nebbie è la biografia di Giotto. Non si è riusciti ad ottenere sulla sua vita che sacrse notizie, pure contraddittorie. Fu forse allievo di Cimabue, a Firenze, ma sicuramente è frutto di fantasia il racconto che lo vuole asceso all’attenzione del maestro dopo aver disegnato una delle pecore che stava portando al pascolo su di un sasso.

Tracce di Giotto si trovano a Roma, dove entrò in contatto con Pietro Cavallini, poi ad Assisi, dove prese parte alla decorazione della Chiesa Superiore della Basilica di San Francesco. Tornò a Roma, in occasione del giubileo nel 1300, e poi si segnalò a Padova, dove iniziò gli affreschi della Cappella della famiglia Scrovegni. Sui sono pure affreschi fiorentini nelle cappelle Peruzzi e Bardi, nella Chiesa di Santa Croce, datati 1325, mentre alcune fonti lo vorrebbero, tre anni dopo, al servizio di Roberto d’Angiò, a Napoli. Sicuramente fu responsabile del cantiere di Santa Maria in Fiore, ancora a Firenze, nel 1334. Fu anche a Milano, presso i Visconti, e tornò a Firenze nel 1336, poco prima di morire.

La sua arte sconvolse le scuole pittoriche del tempo, così Cennino Cennini, sul finire del XIV secolo, ne disse: “rimutò l’arte del dipingere di greco in latin oe ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno”. Le storie sacre da lui narrate infransero tutte le convenzioni e i simbolismi della pittura medioevale precedente.

Si prenda ad esempio l’affresco San Francesco che dona il mantello, tra i ventotto realizzati per il ciclo delle Storie di San Francesco, ad Assisi. Vi si evidenziano chiaroscuro e prospettiva in una narrazione che avviene da sinistra a destra, come in un testo scritto. I corpi sembrano quasi emergere dal piano dell’affresco per proiettarsi verso di noi, in una sensazione rafforzata dalla profondità del retrostante paesaggio roccioso, caratterizzato da architetture in prospettiva, quelle di una citta fortificata, verosimilmente Assisi, e quella di un monastero benedettino, forse sul Monte Subasio. Ma questa rottura degli schemi gotico-bizantini, si completa con la ricerca della naturalezza evidenziata dal cavallo, posto sul medesimo piano dei personaggi principali e rappresentato nell’atto  di brucare l’erba. E’ una nota che dona credibilità all’intero dipinto.

 

La capacita giottesca di addentrarsi nella caratterizzazione fisica e psicologica dei personaggi è particolarmente evidente nel cilo di affreschi padovani della Cappella degli Scrovegni. Nel terzo quadro del registro inferiore della parete destra, è rappresentato uno dei momenti di massima maturità di Giotto: Il bacio di Giuda.

Giuda bacia Cristo al centro del dipinto. Lo guarda dritto negli occhi in un momento dammatico. Lo avvolge in un abbraccio che fa delle due figure un unico blocco.  Attorno si agita una folla tumultuosa di guardie che si scagliano sugli apostoli per arretare il Maestro. Non c’è qui alcun riferimento paesaggistico, ma il senso della profondità spaziale è conferito dall’agitarsi di lance e torce e bastoni contro l’intenso cielo azzurro. Un uomo incappucciato ci da le spalle e conferisce un senso di realismo alla scena, ancora una volta in contrasto con i dipinti di scuola gotica e bizantina. Tutti i personaggi sono coinvolti nell’azione ed incuranti di noi spettatori.

Il pittore qui riafferma la sua innovativa concezione realistica e legata alla ricerca di una espressività nuova e vibrante. Mutò anche lo spazio nel quale i corpi si muovevano, non più irreale dai fondi oro, ma naturale, paesaggistico, dotato di profondità. Giotto conferì ai suoi personaggi una verosimiglianza ed un volume nuovi, una libertà di movimento che spezzò per la prima volta la rigidezza dell’arte bizantina. Egualmente i volti non restarono più imperturbabili, ma si piegavano ai sentimenti.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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