La pittura patriottica di Francesco Saverio Altamura
Molti sono i pittori meridioanli che partecipano ai fatti risorgimentali armi in pugno. Tra le barricate ed i cavalletti, tra battaglie e tele, essi vivono l’impegno mazziniano. Altamura è tra loro.
Nato a Foggia nel 1822 in un ambiente assieme carbonaro e murattiano, fu educato dai Padri Scolopi. La madre era Sofia Perifano, appartenente ad una famiglia di antiborbonici d’origine greca; suo cugino Spiridione Perifano era amico di Mazzini e Settembrini; .
Si trasferì a Roma, entusiasta per le riforme di Pio IX e presto deluso dal moderatismo pontificio. Arrestato e rinchiuso nel Carcere di Santa Maria Apparente per aver inneggiato al papa liberale, fu rilasciato in seguito alla promulgazione della Costituzione del 1848.
Si arruolò nel IV Battaglione della Guardia Nazionale ed è a questo periodo che risalgono i ritratti di Morelli, Poerio, Imbriani e Donizetti.
Le battaglie politiche e civili l’appassionavano, gli divoravano l’anima, travolgevano il suo impeto artistico e lo portavano in piazza: partecipò alle barricate di Largo della Carità con l’amico e maestro Morelli. Salvatore Di Giacomo lo presentò così: “…Alla barricata del largo della Carità, vicinissima alla chiesa della Madonna delle Grazie, pigliò posto tra gli altri, Saverio Altamura…”. Entrambi feriti, vennero imprigionati.
Uscito da galera grazie ad un salvacondotto del fratello del re Leopoldo, suo mecenate, andò in esilio a L’Aquila da Mariano D’Ayala, Intendente della Provincia, poi a Firenze dove lo raggiunse la condanna a morte in contumacia emessa dalla Gran Corte Criminale degli Abruzzi per congiura contro i Borbone.
L’allusione di “La morte di un crociato” è evidente, un avvenimento medioevale come la caduta di un crociato per la liberazione del Santo Sepolcro richiama le barricate e nel volto del caduto si riconosce Morelli ed in quello del compagno che lo sorregge si riconosce Achille Vertunni.
A Firenze si impegnò a craare un collegamento tra Napoli e la capitale granducale anzitutto pittorico con un folto seguito di artisti che animò una scena giovane ed atiaccademica. Stimolante fu il suo incontro con i macchiaioli toscani. La pittura di Altamura era in quel momento un verismo meramente tecnico, virtuosa ritualizzazione della storia secondo gli schemi del Morelli, celebrando una unificazione nazionale, prima di tutto nell’arte, con un enorme contributo all’adozione di una comune iconografia patriottica.
Riuscì a tornare a Napoli solo dopo l’arrivo di Garibaldi e fu scelto tra i notabili della città per incontrare il generale ed accompagnarlo nella città con l’imponente entrata del 7 settembre del 1860. Entusiasta, colpito dalla grande partecipazione popolare all’impresa delle camicie rosse, riprese le armi abbandonate nel 1848 e si ritrovò tra i garibaldini ai Ponti della Valle, al Volturno, a Capua e Gaeta.
La passione politica e quella artistica confluiscono in una serie di opere pittoriche patriottiche di grande impatto. E’ l’Altamura de “Lo sbarco di Garibaldi a Napoli”, dei ritratti all’eroe dei due mondi, almeno cinque, e dei “Feriti di Porta Pia”. In uno dei ritratti del generale, di profilo vestito d’un poncho grigio, di proprietà della Provincia di Napoli, si legge in basso a destra “Monte S. Angelo, 1 ottobre 1860”, rievoca l’ultima battaglia dei Mille. Un’aggiunta invece postuma in alto a destra riporta “Ei fu! 2 giugno 1882”, compianto della scomparsa di Garibaldi.
Non meno movimentata è la sua vita sentimentale, anch’essa intrecciata con l’arte, visto che erano pittrici la prima moglie Elena Bùkuras, poi Elena Sionti, entrambe greche, ed era pittrice anche l’inglese Jane Benham Hay.
Questo fervore per le imprese risorgimentali si affievolì però in un arco di tempo assai rapido segnato dalla morte di Mazzini (1872), di Vittorio Emanuele II (1878) e di Garibaldi (1882), in un’Italia in cui vide crescere l’insofferenza dei democratici e dei repubblicani. Già nel 1864 scriveva al padre che “la cosa dell’unità è molto difficile ad attuarsi. Si richiederebbe maggiore virtù che noi forse non abbiamo. Il brigantaggio, questo cancro doloroso delle nostre Provincie, è grande ostacolo”. Al crepuscolo della sua vita, Altamura tentò un bilancio, appassionato e sincero, della Rivoluzione italiana nell’arte e nella politica. Insistè allora sulla narrazione storica come gioco accademico, senza più la forza della passione patriottica sino al punto da rivelare contrarietà per l’impresa coloniale d’Etiopia con “Lettera d’Africa”: l’opera che raffigura quattro donne di differenti generazioni strette nel dolore per la perdita del loro amato congiunto.
Autore articolo: Angelo D’Ambra