La rocca di Monselice

La cittadina di Monselice, nella Bassa Padovana, sorge ai piedi di una piccola collina conosciuta come la “Rocca”. Sulla cima del colle, infatti, sorge un mastio molto ben conservato, fatto costruire da Federico II, lo “Stupor Mundi”.

Attualmente adibito a museo, offre dalla terrazza sommitale una vista spettacolare. Si presenta come un parallelepipedo inserito in una piramide e costituisce l’unico elemento del sistema fortificato monselicense ad essere giunto relativamente intatto fino a noi.

Ancora nella prima metà dell’Ottocento, invero, era circondato da un quadruplice anello di mura che, allargandosi progressivamente, scendevano fino al piano per racchiudere l’intero abitato.

Nel lato del mastio che guarda a mezzogiorno si può leggere su uno dei conci la scritta “DONI”. Sul significato di questa sono state avanzate molte ipotesi. Alcuni vi hanno visto semplicemente il reimpiego di un concio di epoca classica, altri invece lo sciolgono in “Divo Ottone Nostro Imperatore”, altri ancora vi vedono la firma del letterato fiorentino Anton Francesco Doni che negli ultimi anni della sua vita abitò proprio a Monselice, anche se non nel torrione sommitale. Una sola è la certezza al riguardo: la sua origine ed il suo significato sono un mistero assoluto.

Nel basso medioevo la Rocca di Monselice era considerata inespugnabile ma, come spesso accade, questa convinzione si sarebbe dimostrata errata ed il castello impotente di fronte a tre nemici, l’oro, le artiglierie moderne e l’avidità umana…

L’oro è stato il primo nemico in ordine cronologico che è riuscito a superarne le difese. Questo accadeva nel 1328 quando Ubertino da Carrara convinse Francesco Galmarella ed altri uomini del presidio a consegnare la Rocca, ed il suo comandante Fiorino da Lucca, dietro pagamento di seicento fiorini d’oro.

Le artiglierie invece ebbero occasione di mettersi in mostra nel 1510 durante le fasi iniziali della Guerra della Lega di Cambrai. In quell’anno infatti il loro fuoco si dimostrò in grado di superare le mura medievali.

Per l’avidità umana invece dobbiamo aspettare fino all’Ottocento, ma sarà questo il nemico che infliggerà i danni maggiori. La collinetta della “Rocca” è costituita da roccia trachitica, materiale di alta qualità usato forse già nell’antichità. Nell’era moderna la Rocca ha fornito pietre per la pavimentazione di piazze, per la costruzione delle massicciate che prima dei “Murazzi” proteggevano la laguna e per l’edilizia. Si trattava comunque di “prelievi” contenuti, il salto di qualità nello sfruttamento della collina è databile alla seconda metà del XVIII secolo, grazie all’uso di tecniche innovative come le mine. Da quel momento il sempre crescente quantitativo di roccia estratta inizierà a mettere a repentaglio la sopravvivenza delle strutture murarie presenti sul Minor Colle, rischio che si concretizzerà nel 1820 col crollo di “un buon tratto delle mura a nord” perché “corroso alla base dall’escavazione della Trachite”.

All’epoca gli amministratori di Monselice non furono insensibili al grido di dolore che da tante parti della cittadina si levava verso di loro tanto che il 29 novembre 1840 il Consiglio Comunale di Monselice approvava il Regolamento di Sicurezza ed Ornato, con lo scopo di proteggere “il bello e il piacevole che offre la Rocca”. Cento anni dopo il Podestà Annibale Mazzarolli nel suo “Monselice: notizie storiche” commentava con amarezza che si poteva ammirare “l’efficacia che ebbe il Regolamento”.

Il “bacio della morte” per il sistema fortificato monselicense arriverà dopo la disastrosa alluvione dell’Adige del 1882.

Per evitare il ripetersi di eventi simili il governo italiano avviò un colossale lavoro di ricostruzione e rinforzo degli argini del fiume Adige. Per cercare di evitare i cedimenti venne stabilito che nella costruzione degli argini andavano evitati sabbia e fascine vegetali mentre si doveva impiegare pietra da annegamento per realizzare delle scogliere artificiali che poi andavano ricoperte di buona terra.

Per i lavori erano stati stanziati quaranta milioni di lire. Il governo pagava la pietra da annegamento 2,50 lire al metro cubo ed il ferrarese Giorgio Cini, che aveva sposato la monselicense Domenica Giraldi, proprietaria di una cava sulla Rocca, comprese subiti gli enormi margini di guadagno derivanti dai lavori di costruzione. Assunta la direzione della cava della moglie iniziò, letteralmente, a distruggere il monte, cortine murarie, torri, antiche chiese, interi castelli, tutto svaniva sotto i colpi delle sue mine. Già nel 1888 la produzione della Cava Cini con 38000 metri cubici annui superava quella di tutte le altre cave euganee messe insieme…

Agli inizi del XX secolo dell’antico sistema di fortificazioni che aveva caratterizzato per secoli Monselice restava solo il Torrione Federiciano.

Fortunatamente il grido di dolore dei monselicensi, disgustati dalle devastazioni inferte alla loro collina, fu ascoltato dal Prefetto di Padova che, nel 1902, firmò l’ordine che fermava l’avanzamento del fronte di cava. Negli anni di sfruttamento selvaggio, Cini aveva accumulato una fortuna enorme, che il figlio Vittorio userà anni dopo per una grandiosa campagna di restauro di Ca’ Marcello, prima residenza monselicense della famiglia e poi dal 1980 sede museale.

 

 

Autore: Enrico Pizzo

Bibliografia: A. Businaro, Monselice la Rocca, il Castello; R. Valandro, Monselice e la Bassapadovana tra ‘400 e ‘500; R. Valandro, I secoli di Monselice; F. Selmin, I Colli Euganei

 

 

 

Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.

Enrico Pizzo

Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.

Un pensiero su “La rocca di Monselice

  • 31 Luglio 2023 in 13:12
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    Sono originario di Arqua’ Petrarca ( innamoratissimo del mio paese) sapere le origini di Monselice è come un po scoprire quelle di Arqua’ che fu parte della cinta muraria che collegava i due paesi dalla rocca al monte castello…

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