La sepoltura di Alarico sotto il Busento
Dopo aver saccheggiato Roma, i visigoti proseguirono verso l’Italia meridionale dove re Alarico morì improvvisamente nei pressi di Cosenza.
Il sacco di Roma si caratterizzò per episodi di inaudita violenza, nonostante resoconti e ricostruzioni spesso contrastanti. Durò probabilmente dai tre ai sei giorni poi, carico di bottino, l’esercito di Alarico riprese la marcia verso il Sud penetrando in Campania e proseguendo verso la Calabria. A Cosenza si diffuse tra le sue fila una febbre aggressiva, forse malaria, che colpì anche Alarico.
Secondo Jordanes, il re dei Visigoti fu sepolto sotto il letto del fiume Buxentius oggi Busento. Lo storico scrive (Storia dei Goti, XXX, p. 73): “Piangendo colui che avevano tanto amato, i Goti deviano il corso del Busento, un fiume che, scaturendo dalle falde d’un vicino monte e bagnandola delle sue acque salutari, scorre nelle vicinanze di Cosenza. Nel mezzo del suo letto fanno scavare una fossa da una schiera di prigionieri. Vi seppelliscono Alarico con molti tesori. Riconducono le acque a scorrere nel loro alveo. E perché il luogo rimanesse per sempre ignoto, massacrano tutti coloro che l’avevano affossato” . Misero dunque a lavorare migliaia di prigionieri per dirottare il corso del Busento, scavarono una fossa nel vecchio letto e vi ricondussero sopra il fiume. Poi, per maggior precauzione, eliminarono coloro che avevano preso parte al lavoro, in modo che nessuno potesse rivelare il segreto dell’esatta ubicazione.
Attorno a questa sepoltura nacquero subito numerose leggende che suscitarono l’interesse di artisti e letterati. Il drammaturgo tedesco August von Platen, per esempio, volle dedicare alla sepoltura del Busento una ballata, poi tradotta da Giosuè Carducci, che reca li seguenti versi: “…Del Busento ecco si schierano / Su le sponde i Goti a pruova, / E dal corso usato il piegano / Dischiudendo una via nuova. / Dove l’onde pria muggivano / Cavan, cavano la terra; / E profondo il corpo calano,/ A cavallo, armato in guerra. / Lui di terra anche ricoprono / E gli arnesi d’òr lucenti:/ De l’eroe crescan su l’umida/ Fossa l’erbe de i torrenti! / Poi, ridotto a i noti tramiti, / Il Busento lasciò l’onde / Per l’antico letto valide / Spumeggiar tra le due sponde”.
Tanti, però, furono pure coloro che provarono a rinvenire il tesoro. Esso ammonterebbe a venticinque tonnellate d’oro e centocinquanta d’argento e, verità o leggenda che sia, ha sempre affascinato archeologi, ricercatori e comuni cittadini. Addirittura Alexandre Dumas, nel lontanto 1835, descrisse Cosenza colta dal terremoto eppure interessata alla leggenda di Alarico: “Vedemmo nel suo letto disseccato una folla di gente che faceva degli scavi sull’autorità di Jordanes, che raccontò i ricchi funerali di questo Re. Ogni volta che questo fenomeno si rinnovella, si fanno gli stessi scavi, e ciò senza che i sapienti cosentini, nella loro ammirabile venerazione per l’antichità si lascino mai abbattere dalle delusioni che hanno provato. La sola cosa che hanno giammai fruttato questi scavi è stato un piccolo cerco d’oro che fu ritrovato alla fine dell’ultimo secolo”. Questa febbre colse anche Heinrich Himmler, capo delle SS, che giunse sul Busento nel novembre del 1937 per avviare degli scavi archeologici.
Nulla però è stato sino ad ora ritrovato.
Autore: Angelo D’Ambra