La strana vita di Alfredo Roncuzzi, requeté e scrittore

È stata una vita bizzarra quella del requeté romagnolo Alfredo Roncuzzi, cominciata a San Pietro in Vincoli il 27 dicembre 1905 e terminata a Marina Romea il 31 luglio 1999. Farmacista, giornalista cattolico, scrittore e soldato, andò spesso controcorrente non curandosi dell’incomprensione generale. Trascorse la maggior parte della sua esistenza fuori dalla regione d’origine, che però ebbe sempre nel cuore.

La crisi del 1929, per lui, non fu economica, ma mistica: per poco non divenne frate e nel 1937 sbarcò in Spagna, deciso a difendere la Cristianità. Divenne così carlista per scelta dottrinale, lo folgorò la lettura dell’Ordenanza del Requeté (Comunión Tradicionalista, 1936), famosa per la frase: «Davanti a Dio non sarai mai un eroe anonimo», perché dinnanzi al Signore non ci sono militi ignoti, «Tú, soldado de la Tradición, habrás de tener puesto en el Reino de Dios». Narrò questa sua esperienza bellica solo molti anni dopo, ne L’altra frontiera, un libro di grande intensità uscito prima (non integralmente) in spagnolo nel 1992, e poi pubblicato dalle Edizioni del Girasole di Ravenna nel 2010. I racconti in esso contenuti ci risultano particolarmente preziosi, perché espongono i punti di vista di uno dei pochi italiani arruolatisi tra i tradizionalisti durante la guerra di Spagna e provano la profonda preparazione politica che il movimento carlista offrì ai suoi aderenti.

Durante il secondo conflitto mondiale, dopo l’8 settembre, il Nostro si diede alla macchia per contrastare le voci che lo accusavano di essere fascista e si unì ai partigiani cattolici, combattendo in Italia centrale. Nella zona di Valmontone creò il “Gruppo Roncuzzi”, formato da ex militari; nel dopoguerra egli stesso respinse la qualifica di «partigiano-combattente», disposto ad accettare solo quella di milite, affermando di non aver mai smesso di cercare di contrastare sia l’ideologia nazista che quella comunista (che riteneva dei derivati del pensiero di Hegel).

Molti ricorderanno le parole che Pavese fece dire a un suo personaggio ne La casa in collina (1948): «Finito il lavoro coi neri, si comincia coi rossi».

In una recensione del 2019, sulla scorta del testo introduttivo anteposto alle citate memorie, chi scrive ha commentato: «per dimostrare di non essere mai stato legato al regime fascista, [Roncuzzi] si unì alle brigate bianche e divenne partigiano nel Lazio» e ciò effettivamente corrisponde al vero. Tuttavia, avendo in seguito dialogato con dei testimoni che ebbero la possibilità di conoscere personalmente il Roncuzzi, lo scrivente è venuto a conoscenza del fatto che prima della guerra il romagnolo simpatizzò convintamente per il fascismo, salvo poi – evidentemente – ricredersi. Come è noto, non furono rari tra i nostri connazionali coloro che tennero una condotta sovrapponibile a questa ed esprimere giudizi arbitrari è fuori luogo: «Noi eravamo quella generazione che, secondo gli obiettivi del Duce, avrebbe dovuto fare dell’Italia un popolo di guerrieri e di conquistatori» racconta Alberto Cotti (1921-2015) ne Il partigiano D’Artagnan (1994) per descrivere la sua educazione, ma nel 1944 Roncuzzi aveva già trentanove anni e le ragioni profonde che lo mossero sono del tutto ignote a chi scrive, che non è riuscito a seguitare oltre le sue ricerche. In casi simili, a fronte dell’assenza di ulteriori notizie, è palese il limite e il margine di errore di ogni interpretazione, il rischio di sbagliare è troppo grande.

Ciò che sappiamo è che sino alla morte il Nostro rimase in contatto con il tradizionalismo spagnolo e non ne tradì mai gli ideali, che considerava inconciliabili con quelli del franchismo.

In età avanzata, Roncuzzi si dedicò alla drammaturgia portando in scena le pièces teatrali Il gran signore di Forlimpopoli: Pellegrino Artusi, Contrappasso e La denuncia mancata, ma consegnò al mondo anche un romanzo: Plutarco, stampato dalle Edizioni del Girasole nel maggio del 1984. Il titolo dell’opera riprende il nome del protagonista, un ragazzino che deve imparare «la grammatica della vita»: una sorta di Tom Sawyer, ma italiano, adolescente e alle prese con avventure più ordinarie e quindi più vere. La trama è presentata come la storia di «un tempo senza tempo», ma ha inizio nel settembre del 1947, quando Briga e Tenda sono annesse alla Francia ed è aperto un credito «per apporre in marmo, nelle piazze dei nuovi comuni gallici, il grido di Vercingetorige: Haec nova sit ratio vincendi (si ita loqui fas est) ut misericordia et liberalitate nos muniamus». Plutarco, però, non è toccato da questo evento, né dai numerosi fatti di rilievo internazionale che sono puntualmente ricordati al lettore nel corso della narrazione: è un giovane semplice e inesperto, che vive fuori dai grandi mutamenti di portata storica. Il nonno e il padre del ragazzo hanno partecipato alle battaglie della loro epoca (il primo è stato garibaldino), ma il nipote non sembra destinato a far fronte a nessuna guerra, attorno a lui ci sono scontri partitici anche violenti, però qualcosa sta cambiando: l’Italia conoscerà una lunga pace. Si tratta in sintesi di un romanzo di formazione, l’opera non è né di argomento, né di ispirazione carlista e contiene solo un breve e curioso riferimento alla guerra civile spagnola: «Un commensale politicamente ragguardevole è Tarissi. La storia che lo ha fatto entrare a gonfie vele nel mar rosso degli agitatori di grido è un episodio iberico della sua vita. Indotto a forza, dice, ad arruolarsi nel ’37 nei legionari, giunto oltremare ha cominciato a sfogar le mani. E sfoga oggi, sfoga domani, è scoppiato il fattaccio, ha preso a baionettate un gruppo di falangisti, è caduto in sospetto ed è stato rimpatriato. Tutti ricordano il rimpatrio». Non c’è traccia dell’epicità de L’altra frontiera, nessun cenno all’eroismo e alla fede senza compromessi espressa in quel testamento spirituale.

Con Plutarco, Roncuzzi volle fantasticare un percorso di crescita diverso dal suo: più tranquillo, più moderno, più provinciale e meno irto di pericoli, ma forse anche meno interessante. Il titolo sottintende chiaramente a una “vita parallela”, una giovinezza immaginata in maniera alternativa.

Ciò che ricollega questo romanzo «di ieri, di oggi, di domani, poco importa» alle rimembranze del requeté è invece l’umanità che pervade entrambi gli scritti, il sentimento creaturale, la ricerca dell’emozione e il desiderio di scoperta. Viene da pensare che nell’anima dell’autore sia sempre rimasto l’entusiasmo genuino di un fanciullo.

 

 

 

Autore articolo: Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

In copertina, icona requeté. Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: Bartoli Pier Giorgio, Alfredo Roncuzzi 1905-1999 vita e pensiero di un romagnolo atipico, in «Ravenna Studi e Ricerche»; Cotti Alberto, Il partigiano D’Artagnan, ediz. Comune di San Giovanni in Persiceto 1994; Pasqualin Riccardo, Gli uomini di oggi non potranno mai comprendere…Recensione di “L’altra frontiera” di Alfredo Roncuzzi, in «Domus Europa», 04-03-2019; Pavese Cesare, La casa in collina, ediz. Enaudi 2013; Roncuzzi Alfredo, Plutarco. romanzo, Edizioni del Girasole, 1984; Id., L’altra frontiera, Edizioni del Girasole, 2010

Riccardo Pasqualin

Riccardo Pasqualin, insegnante di materie umanistiche, si dedica allo studio della Storia Veneta e del legittimismo. Tra i suoi testi si può ricordare “Il paesaggio rurale storico nel Comune di Candiana” (2020).

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