L’armata di Bitonto nella guerra di Ludovico d’Angiò

Bitonto, assediata per diciassette giorni dal conte d’Altamura, sodale di Luigi di Taranto, vide bruciare i suoi oliveti, spaccare i suoi frantoi, scorrere le sue campagne, ma non si arrese. Riuscì così a convenire ad un patto: avrebbe tenuto alta la bandiera ungherese fino al 15 luglio e se fino ad allora non fosse giunta in soccorso nessuna armata del re d’Ungheria, allora si sarebbe data a Luigi di Taranto. Nel frattempo però doveva pagare una ingente somma al conte. Accadde però che, appena si seppe della vittoria del voivoda ad Aversa, i mercenari del conte d’Altamura l’abbandonarono e si schierarono con Bitonto, così il 15 luglio, anziché arrendersi, i bitontini uscirono, radunandosi nel campo di San Leone, e sfidarono in aperta battaglia il conte. Questi però non si presentò a raccoglierla. Bitonto festeggiò il successo e il giorno dopo la sua gente, supportata dagli armigeri, attaccò i casali della Terra di Bari che s’erano ribellati al re d’Ungheria.

Fu assalito anzitutto il casale di Arricarri. Gli abitanti fuggirono in anticipo e i bitontini ne bruciarono le case. Fu preso poi il casale di Palo e gran parte dei suoi abitanti si unirono ai bitontini. Fu poi la volta di Binetto, dove gli abitanti issarono subito la bandiera ungherese. Egual cosa accadde a Grumo, tuttavia i mercenari che s’erano uniti ai bitontini si abbandonarono ugualmente al saccheggio delle case. Toccò la eguale sorte a Turitto, ma i suoi abitanti, saputo quando accaduto a Grumo, scapparono dopo aver issato la bandiera ungherese sulla chiesa e sul palazzo signorile. I bitontini tornarono poi a Palo dove resisteva solo il castello, ancora una volta però dovettero rinunciare a prenderlo. Attaccarono quindi Bitetto, retta dal toscano Betto de Rossi.

Bitetto fu assediata per cinque giorni, poi il de Rossi venne a patti promettendo di passare con gli ungheresi. Quando però issò le insegne di Ludovico i suoi concittadini lo presero a sassate e lo scacciarono. Continuò quindi l’assedio con macchine e scale. Alla fine i bitettesi accettarono di arrendersi solo in cambio della fine dell’assedio.

Marciarono poi sino a Modugno, ma quando seppe che il conte d’Altamura andava radunando un gran numero di uomini ad Altamura per muover loro guerra, gli andarono in contro, presso Loseto. Capito che erano inferiori in numero, vollero affrontarlo nella piana di Bitritto. Lo scontro arrise loro, il conte fu fatto prigioniero e liberato solo da suo fratello, in una sortita. La gente del conte scappò a Loseto inseguita dai bitontini, i quali però si fermarono e tornarono a Modugno per non essere assaliti alle spalle dai baresi. Finirono allora incalzati dal conte, sperando di poter entrare a Bari, ma i baresi lo respinsero. Andò quindi a Bisceglie dove fece voto di restare con un piede scalzo finché non avesse battuto i bitontini.

Costoro continuavano ad assediare Bari distruggendone vigne ed oliveti. Riuscirono a prendere anche Rutigliano, che saccheggiarono, poi andarono a cingere d’assedio Bari.

Sul finire d’agosto, nel tempo della vendemmia, i capi dei bitontini inviarono una lettera di beffe ai baresi dicendo d’essere venuti a vendemmiare per loro. Dopo Rutigiano presero anche Carbonara, nel cui castello s’erano asserragliati dei banditi molesti agli abitanti di Ceglie, fedeli agli ungari. I mercenari tedeschi si accostarono ad una delle porte murate del castello e la smurarono coi coltellacci mentre i difensori dall’alto li tempestavano di pietre. C’erano anche i cegliesi armati di fionde. Quando la porta fu aperta avvenne una strage efferata e il castello fu bruciato. Finalmente anche Bari capitolò e rientrarono a Bitonto e dopo pochi giorni andarono ad assediare Corato.

Vi erano appena giunti quando seppero di violente vendette dei baresi su Biasignano e Ceglie, ree di aver aiutato Bitonto. Non si mossero da Corato. La città era cinta da due fosse con molte opere difensive. Per conto del re di Napoli le comandava un toscano, Andrea Patrono.

I bitontini costruirono trabucchi coi quali di giorno e di notte gettavano pietre sulla città e per quindici giorni proseguì l’assedio con tentativi di accostarsi ai fossati per colmarli di fascine. Fu poi dato l’assalto generale. Gli assalitori arrivarono al primo fossato e lo riempirono, poi spinsero i loro carri che potavano i ponti fin contro le bertesche. Sotto i ponti, al coperto, passarono mercenari e bitontini – a loro s’erano aggiunti gente da Andria, Trani e Barletta – armati da zappe con le quali colmarono anche il secondo fossato. Sui castelli di leggo eretti dai bitontini c’erano ottimi balestrieri e, più in alto, soldati che lanciavano pietre sui coratini. Nelle cronache si ricorda un balestriere che con 18 frecce ferì in volto 17 nemici, mentre si facevano alle bertesche per saettare.
Anche gli assediati avevano una torre di legno, ma meno alta di quelle degli assalitori. Questa torre fu rovesciata dopo quattro ore di lotta da un colpo di trabucco.  La battaglia cominciata all’alba proseguì ancora sino a mezzogiorno e allora gli adriani e i mercenari tentarono due assalti simultanei per entrare nella città da parti diverse, ma ancora i coratini si opposero lanciando sui ponti degli alveari pieni di materia combustibile in fiamme. Barlettani e tranesi si ritirarono, i ponti erano andati distrutti e allora anche i bitontini levarono l’assedio, però prima distrussero le campagne. I mercenari andarono a Trani.

Era il periodo della vendemmia, i tranesi temevano attacchi del conte annidato a Bisceglie e chiesero due squadre di tedeschi per la propria difesa, lo stesso fecero i bitontini. Il conte attaccò egualmente.

S’accostò presso Barletta con duecento cavalieri e iniziò a derubare chi ne usciva. Quando si seppe della sua presenza, i barlettani si armarono. Il conte finse di fuggire e si fece inseguire sino al mare quando apparvero le sue schiere e catturarono centodieci barlettani. Con essi il conte tornò a Barletta sperando d’avere la città in cambio della liberazione dei prigionieri, ma trovò le porte chiuse e la gente disposta a combattere. Tentò allora di impadronirsi d’una chiesa dei frati minori che era presso le mura della città, ma i frati salirono sul tetto e gli lanciarono addosso pietre, aiutati dai cittadini armati di balestra dalle mura della città. Il conte allora rinunciò ai suoi propositi. Condusse i prigionieri nella chiesa di Santa Chiara, sciolse il voto calzandosi il piede e poi tornò a Bisceglie.

Per essere più sicuri i barlettani chiesero aiuto a Manfredonia dove erano confluiti gli ungari. Da Manfredonia giunsero venti arcieri. I tranesi diffusero la notizia di un avvistamento di mercenari tedeschi del conte usciti da Bisceglie. Da Barletta allora si mossero venti ungari ed andarono ad appostarsi tra Trani e Bisceglie attendendo i tedeschi con gli uomini e gli animali che avevano catturato tra Barletta e Andria. Li attaccarono, prima con gli archi, poi con le spade. Ne uccisero otto e ne presero settantacinque. In pochissimi fuggirono. I prigionieri furono condotti a Barletta. Era vecchia consuetudine che i tedeschi catturati in combattimento fossero rilasciati senza armi né cavalli ma così non avvenne perché il conte aveva ancora prigionieri i barlettani presi pochi giorni prima. Così, per avere i suoi mercenari, rilasciò i suoi ostaggi.

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra
Bibliografia: D. Guerrini, La guerra del re Luigi I d’Ungheria nel reame di Napoli (1347-1350); I. De Feo, Giovanna d’Angiò

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