Le necropoli degli Irpini

Gli Irpini erano una delle quattro tribù che costituivano il popolo dei Sanniti. Erano stanziati in un’area coincidente approssimativamente con l’odierna Irpinia e traevano il loro nome dall’animale totemico del lupo. Si sa poco di loro, tutto è avvolto nella leggenda o assorbito dai più noti consangueni sanniti.

Livio ci informa che abitavano in “vicatim”, cioè in piccoli villaggi rurali ed in caso di pericolo si rifugiavano su alture fortificate o meglio difendibili.

Recenti scavi hanno portato alla luce una serie di necropoli di grande interesse. Sembra bizzarro eppure tutto è nato a seguito di normali lavori di aratura che finivano con l’attrarre l’attenzione di appassionati e studiosi perchè portavano alla luce frammenti di vario genere.

I principali rinvenimenti si sono avuti in località “Addolorta”, ad est del centro abitato di Carife, in provincia di Avellino. Qui, numerose tombe, databili tra il IV ed il III secolo a. C., hanno consegnato agli archeologi una ricca documentazione sul Sannio meridionale, ma si sono individuate altre due vaste necorpoli. Parlamo di quelle di località Serra di Marco, a Castel Baronia, e di una terza di Carife, a Piano la Sala.

Tutto fa supporre allora che proprio a ridosso di quest’area doveva trovarsi la Romulea, saccheggiata e distrutta dai Romani nel 296 a.C. secondo quanto scritto da Tito Livio (X, 17). In passato Theodore Mommsen aveva avanzato la stessa supposizione. Nel territorio di Bisaccia, del resto, sono stati rinvenuti resti dell’abitato sannitico completamente incendiati e ciò ha portato alla mente degli archeologi l’incendio di Romulea. L’ubicazione esatta della città resta però incerta.

In linea di massima certi tipi di vasellame sono presenti in quasi tutte le tombe, dunque si trattava di oggetti comunemente diffusi. Crateri, guttus, coppette, oinochoe, olle, skyphoi non mancano mai accanto ad oggetti di bronzo, forse di fattura etrusca. Nelle tombe maschili non manca mai il cinturone di bronzo, “il simbolo della libertà individuale in ambito italico e l’insegna del diritto di cittadinanza presso i Sanniti ed i Lucani” (W. Johannowsky, L’abitato tardo-ellenistico a Fioccaglia di Flumeri e la romanizzazione dell’Irpinia). Nelle tombe maschili non manca neppure il “culter tonsorius”, l’antico rasoio, mentre nelle tombe femminili sono comuni oggetti in ambra e argento. Sono stati ritrovati vasi di raffinata produzione su cui compaiono personaggi tipici del phanteon locale in color rosso dipinti con tecniche comuni al mondo italico. Non mancano cuspidi di lance e giavellotti, mentre, nelle tombe femminili, spille ed anelli compongono preziose collezioni di gioielli.

Alcune delle tombe di Carife sono costituite da grossi blocchi di materiale travertinoso che si è formato durante le ere geologiche in prossimità di sorgenti ricche di calcare, forse tratti da una cava.

I corredi delle tombe di Piano La Sala e Serra di Marco sono assai più sfarzosi. Non mancano pendagli d’argento e d’ambra, nonchè decorazioni a vernice nera su vasi forse provenienti da Capua. Sono emersi anche vasi di bucchero di produzione locale ad imitazione di quelli etruschi.

La grande presenza in tutte le tombe di crateri, brocche e coppe, rivela una ideologia del banchetto di influenza greca nella quale il banchetto, il simposio, il bere e il mangiare sono elementi essenziali di affermazione sociale.

Nella tomba appartenente ad una bambina oltre al “corredo in miniatura” sono stati dissotterrati un tintinnabulum (sonaglietto) a forma di Askos nel quale c’era una piccola sfera che produceva un tintinnio. Un altro importante ritrovamento è una tomba, della prima metà del IV sec. a. C., con due scheletri, uno femminile ed un secondo di bambino, uno sull’altro. Lo scheletro del bambino è posto sullo scheletro della madre in posizione di nascita a ricordare il legame familiare che c’era tra i due. E’ stato rinvenuto poi un grande disco in avorio del diametro di quintici centimetri in una tomba femminile. Interessante è anche il ritrovamento di una statuina fittile a Piano la Sala.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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