L’eccidio di Boves

Boves è ai piedi della Bisalta, nel cuore delle Alpi, a poca distanza da Cuneo. Qui, dopo l’armistizio, il 19 settembre 1943, ventiquattro persone furono uccise dal secondo reggimento della 1st SS Panzer Division Leibstandarte SS Adolf Hitler e l’abitato, con le sue trecentocinquanta case, fu dato alle fiamme. Fu la prima strage nazista in Italia.

Scrive Roberto Battaglia in Storia della Resistenza italiana: «Circa mille sbandati della IV armata, fra cui un buon numero di ufficiali effettivi, si concentrarono nella zona di Boves (Cuneo) conservando armi e materiali. Per qualche giorno la vita nella vallata alpina sembra mantenersi in bilico fra il crollo definitivo dello Stato legale e la nuova situazione del dominio tedesco. “Ci sono sentinelle coll’elmo in testa e la baionetta inastata, la parola d’ordine e l’ufficiale d’ispezione”. Si favoleggia d’un imminente sbarco alleato in Liguria, d’una divisione alpina, la Pusteria, ancora intatta e attestata sui monti. Ma è un’illusione o una serie d’illusioni che subito crolla dinanzi all’urto della realtà: quando i tedeschi attaccano nel pomeriggio del 19 settembre, si dissolve come nebbia al sole l’anacronistico concentramento dei soldati in divisa, spariscono i superiori gallonati e la resistenza viene affidata all’iniziativa d’un pugno di uomini capeggiati da qualche ufficiale subalterno fra cui spicca la figura di Ignazio Vian. Così si spezza l’esile filo che collega il nuovo al vecchio mondo: quel primo esiguo gruppo di resistenti darà origine al movimento delle formazioni “autonome” piemontesi; i tedeschi, sorpresi e respinti dal contrattacco inaspettato, sfogheranno la loro rabbia sugli inermi abitanti di Boves, incendiando l’intero villaggio e uccidendo 24 persone fra cui il parroco e un industriale del paese, bruciati vivi (19 settembre)».

Proviamo a ricostruire i fatti con Chiara Genisio, autrice di Martiri per amore. L’eccidio nazista di Boves. Il grosso degli sbandati della IV armata aveva semplicemente cercato di raggiungere le proprie famiglie. Quelli in divisa furono arrestati alla stazione ferroviaria di Cuneo, gli altri si ritrovarono nella Val Colla per non cadere nelle mani dei tedeschi. Avevano con sé automezzi, mitragliatrici e un cannone. Il più alto in grado era il maggiore dei bersaglieri chiamato “Toscano” che assume il comando della formazione. C’erano, poi, decine di ufficiali di complemento tra cui il citato Vian, Renato Aimo, Giuliano Bartolomeo, Giulio Corbelletti, Mario Venegoni ed Enzo Bramardi. I nazisti, che avevano occupato Cuneo il 12 settembre senza incontrare particolari ostacoli, entrarono a Boves la mattina del 16, sollecitando la popolazione a consegnare gli sbandati. Ottenute le carte topografiche, procedettero al bombardamento delle colline per stanare i soldati. Pensavano che si trovassero lì perché la popolazione aveva fornito loro delle informazioni errate, poi furono radunati i civili e annunciato che se gli sbandati non si fossero presentati spontaneamente sarebbe stata fatta compiuta una strage. I civili furono costretti a salire in montagna per convincere i soldati a presentarsi al comando, ma senza fortuna. Il 19, due sottufficiali delle SS, furono fatti prigionieri dal tenente Aceto. In risposta i tedeschi si portarono al borgo dei Tetti Sergent e qui avvenne uno scontro a fuoco in cui cadde il partigiano genovese Domenico Burlando. Joakin Peiper, comandante della divisione, convocò immediatamente il parroco, Giuseppe Bernardi, e l’industriale Antonio Vassallo, minacciando di bruciare il paese se i soldati non fossero stati liberati. Bernardi e Vassallo si misero in contatto coi partigiani ed ottennero la consegna dei due prigionieri, ma al ritorno in paese, le SS diedero inizio egualmente al massacro. Il parroco e l’industriale furono bruciati vivi. Bernardi, col curato Mario Ghibaudo ucciso mentre aiutava gli anziani e i bambini a fuggire, è stato proclamato martire da Papa Francesco.

Joakin Peiper riuscì ad evitare diverse volte il tribunale, venne infine processato nel dopoguerra per questi ed altri crimini di guerra e condannato a morte, ma la sentenza venne commutata in carcere a vita. Nel 1956 Peiper ottenne addirittura l’amnistia. Morì nel 1976, ucciso da bombe molotov lanciate da anonimi nella sua casa di Traves, in Francia, dove viveva sotto falso nome.

Battaglia, medaglia d’argento al valor militare, evidenzia come a Boves si sia avuto una delle poche evidenti correlazioni tra il momento della dissoluzione dell’esercito italiano e la nascita del movimento partigiano. In Piemonte si realizza un’eccezione, militari sbandati gettano il seme di una formazione partigiana. In effetti, dopo una breve fase di inattività, seguita all’eccidio, le forze partigiane si riorganizzano, perdendo tanti sbandati ed assumendo connotazioni politico-militari precise. Dal nucleo di Boves nacquero due brigate, una garibaldina e l’altra “Giustizia e libertà”Battaglia, poi, sottolinea anche come la ritorsione sia la prima azione di rappresaglia condotta dai tedeschi in Italia e ciò cronologicamente smentisce «l’idea che il sistema del terrore sia stato introdotto come reazione al movimento partigiano già maturo e minaccioso e non abbia invece contrassegnato fin dall’inizio la dominazione nazista».

Purtroppo le tragedie a Boves non finirono. Due mesi dopo il primo eccidio, un nuovo rastrellamento delle truppe del maggiore Peiper produsse quattrocento case date alle fiamme e cinquantadue persone uccise. A Liberazione avvenuta, il 26 aprile del 1945, le truppe tedesche in ritirata fucilarono sette cittadini di Boves.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

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