L’epicedio in morte di Enrico d’Aragona

Il “Lamento per la morte del Marchese Don Enrico d’Aragona” è un canto popolare composto in morte di Enrico d’Aragona nato dal matrimonio tra re Ferrante I e la sorrentina Diana Guardati.

Fatto Marchese di Gerace, Enrico d’Aragona sposò Polissena Centelles, nobildonna catalana figlia del Conte di Catanzaro, già vicerè di Calabria, a lungo nemico di Ferrante, destinato a morire nelle segrete di Castelnuovo. La morte colse Enrico il 21 novembre del 1478 nel Castello di Terranova da Sibari per aver mangiato funghi velenosi ed il fatto ispirò questo prezioso componimento.

L’identità dell’autore è rivelata precisamente nelle rime: “Non te rencrisca Joanne Maurello, / in quista terza rima fare un motto / e dire l’anno che fo morto quellu / Marchese donno Errico excelso e dotto”.

Joanne Maurello dunque pubblicò il lamento proprio in quell’anno, “per lo egregio Maestro Octaviano Salomonius de Manfridonia, impressore nella città di Cosenza”.

L’epicedio in morte di Enrico d’Aragona è ritenuto il più antico documento in volgare calabrese e ci consegna, con le sue plastiche espressioni localistiche, oltre al fatto storico anche un’idea del lutto nella Calabria del Quattrocento.

Nei 296 versi di Maurello, un misto di ottave e terzine, c’è una potente elaborazione del lutto collettivo: “A lagrimari vijo che incombenza / tutta Calabria, che bella spirona / la morte che fo l’ultima partenza / che fezi donu Erricu de Ragona”.

Piange la corte, suo fratello Alfonso ed il padre Ferrante, piange sua moglie rimasta vedova: “madama Pulisena / che è remasa sula e viduvella, / gravida per più dolo e grossa prena / chi sta de iorno in iorno per figliare, / sacia de doglia e de infinita pena”.

Quanta retoica, quanta enfasi. Tutto è reale e tutto è esagerato in questa commistione tra letteratura e società.

Il grande interesse storico ed antropologico che il componimento riveste trova fondamento nel linguaggio volgare, irto di riminiscenze greco antiche tipiche del calabrese, ma anche nel sottostrato culturale che mesce la retorica delle composizioni di drammaturgia religiosa regionale con i formalismi della cultura classica, invocazioni a deità pagane ed illustri lirici.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto gentilmente concesse dalla Compagnia d’arme “La Rosa e La Spada”

Bibliografia: P. Crupi, Conversazioni di letteratura calabrese dalle origini ai nostri dì

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