Limiti della reazione borbonica

La reazione nel Sud post-unitario fallì per il totale discredito che la borghesia nutriva della dinastia borbonica.

Nel settembre del 1860 in ogni provincia, pure in quelle ancora lontane da Garibaldi, s’erano costituiti governi provvisori retti dagli esponenti liberali, a volte pacificamente, altre a seguito di insurrezioni contadine. Anche Terra di Lavoro, proprio dove Francesco II puntava a far convergere le sue forze per respingere l’invasione, si era quasi interamente sottratta alle autorità. Giunte liberali erano state proclamate in ogni comune distante dall’influenza politico-militare dei Borbone e, a dar manforte a Garibaldi, a Piedimonte d’Alife era nata la “Legione del Matese” ed a San Pietro Infine i “Cacciatori del Vesuvio”.

Per frenare tutto ciò, gli uomini di Francesco II fomentarono rivolte popolari, per lo più guidate da esponenti reazionari del clero, che si esaurirono in pochi giorni con indicibili violenze dettate da rivalità familiari, altrove invece si fecero intervenire delle brigate borboniche ad eseguire le istruzioni emanate dal Ministro di Polizia, Pietro Calà Ulloa (M. Schipa, Un documento inedito dell’ultimo Ministero di Francesco II di Borbone):

  1. Ricostruire il goveno di Sua Maestà (D.G.)ed a tal uopo rimuovere le autorità costituite dal governo rivoluzionario, sostituendovi o le preesistenti al 20 giugno o altre che dessero garanzia di devozione e di decisione pel Real Governo.
  2. Procedere al disarmo delle guardie nazionali, componendo un corpo limitato di guardie di sicurezza provvisorie pel servizio interno, componendole di buona parte degli antichi urbani ed armando coi fucili del disarmo del resto degli abitanti i volontari che si aggregheranno alla Colonna.
  3. Impadronirsi delle Casse Pubbliche, esigere gli arretrati ed inviare con sicurezza il denaro o in questa reale piazza o nel capoluogo del Distretto più vicino ove sarà consegnato al ricevitore.
  4. Usare con prudenza e cautela, nel caso di urgenza, del diritto di imporre tasse, facendo giungere in questa piazza lo stato di quello che si è esatto e di quello ch ha potuto servire a’ bisogni de’ volontari.
  5. Ove non fosse possibile esigere tutto in denaro, esigere l’equivalente in cereali, inviandoli nei luoghi di questa provincia ove sono stanziate regie milizie.
  6. Arrestare tutti coloro che opponessero resistenza alla colonna e tutti coloro che potessero ordinarla alle spalle, quando la Colonna avesse lasciato i paesi occupati.
  7. Arrestare egualmente coloro che potessero agitare lo spirito pubblico, in un senso contrario al governo ed inviargli indietro nei luoghi sicuri.
  8. Tenersi in istrette relazioni e corrispondenza con coloro che propugnano la regia causa.
  9. Soprattutto fare che sia conservato l’ordine, il rispetto della Religione ed a’ Ministri del Santuario.
  10. In tutte le proclamazioni invocare l’antica fedelà degli abitanti verso S.M., l’avversione verso gli invasori del Regno senza far motto di istituzioni pubbliche, le quali, dipendono dal Re, non bisogna intorno l’avvenire svegliar apprensioni e timori da un lato né smodate passioni dall’altro.

NB. L’intera libertà di movimento al comandante, mantenimento delle Colonne a spese delle Casse Comunali e Provinciali.

Tali disposizioni, che dettero alla reazione un carattere assolutista cancellando la svolta costituzionalista del 25 giugno 1860, guidarono pure Teodoro Klitsche de La Grange con la sua brigata di 4 battaglioni di “soldati”. Secondo il De Sivo, La Grange reclutò galeotti, poliziotti siciliani sfuggiti all’ira del popolo e contadini: “Venuti da Ponza uomini d’arme siciliani ch’avevan moglie e figli appresso, se ne fe’ il primo battaglione; gli altri ebbero volontari, villanii e soldati sbandati”. La sua azione riportò sotto il controllo borbonico i territori tra Teano, Pontecorvo, Sora, Venafro e Piedimonte d’Alife poi La Grange s’inoltrò negli Abruzzi con l’intento di tagliare i collegamenti fra le truppe piemontesi e quelle garibaldine. Per avere successo però mancava un elemento indispensabile: il sostegno del ceto medio.

Mancano, nei rapporti del colonnello tedesco, notizie di scontri con le truppe piemontesi, ci sono invece azioni contro l’ostilità della società civile, come a Civitella Roveto, dove La Grange fece cannoneggiare un gruppo di borghesi unitari. Ed ecco il nocciolo della questione: la borghesia stava dall’altra parte della barricata.

All’ingresso delle truppe, il colonnello veniva sempre accolto solo dal popolo minuto, restavano serrate le case dei notabili, i possidenti abbandonavano il paese e, per lui, era impossibile trovare uomini che sapessero leggere, scrivere e contare, cui affidare il governo. La Grange fu chiaro con Francesco II: “Ovunque mancano i giudici e quasi non v’è paese che abbia sindaco e decurionato. Né trovo persone idonee a supplire le deficienze”.

Si rivelò così la principale debolezza della reazione borbonica. Essa era pur capace di trovare sostegno in parte del mondo contadino, tuttavia alcun esponente della borghesia provinciale era disponibile a fornirle supporto. Quello che doveva essere il ceto dirigente rifiutava incarichi di governo locale per conto della corte stanziata a Gaeta. Senza la collaborazione della borghesia era impossibile stabilire una organizzazione civile e l’iniziativa di La Grange diveniva una sequela di scorribande destinate a non lasciar nulla. Una volta allontanatesi le truppe, tutto sorebbe tornato come prima.

Probabilmente, concorreva nel dettare l’atteggiamento di possidenti e borghesia, la paura delle violenze, dell’anarchia popolare ma anche l’indirizzo anticostituzionale delle Istruzioni. A Gaeta lo capirono e suggerirono al colonnello di “farsi amici e non nemici, impedendo ogni reazione sanguinolenta”, ma era già troppo tardi.

La nascita di bande armate confermò tutto ciò. Le invasioni di paesi operate dai briganti non davano alcun frutto politico, faticavano a determinare l’installazione di governi locali e divenivano solo occasione per razzie e vendette. Sul lungo tempo ciò spezzò anche il legame della reazione coi contadini.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G.F. De Tiberiis, Alle origini del brigantaggio politico negli abruzzi: la spedizione del Colonnello Teodoro Klitsche de La Grange. Ottobre 1860

 

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Un pensiero su “Limiti della reazione borbonica

  • 20 Novembre 2018 in 15:43
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    In realtà i “borghesi” cannoneggiati a Civitella Roveto erano per due terzi volontari di fuori provincia, quelli citati all’inizio, 200 dei Cacciatori del Vesuvio, 2-300 della Legione del Sannio. Solo un paio di centinaia i locali al comando dell’industriale arpinate Polsinelli. Lo scontro finì, come scrive Marco Monnier, con dichiarazioni di vittoria da ambo le parti, ma, di fatto, il giorno 11 ottobre insorsero Avezzano ed i paesi vicini, i volontari molisani scapparono e le autorità locali si affrettarono a chiamare de La Grange per ristabilire l’ordine. “I lupi si sono fatti agnelli”, commentò il vecchio ufficiale, che era stato precettore di Francesco II

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