Memorie della Grande Guerra: L’Impresa di Pola

Il 1° novembre di cento anni fa veniva affondata nel porto di Pola per opera di due incursori della Regia Marina, la corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia, gloria e vanto della marina austro-ungarica. Come andarono le cose?


È noto che nella Marina Italiana, Lissa fece nascere un complesso psicologico sproporzionato che perdurò sino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il controllo dell’Adriatico era alla portata di mano grazie al Canale di Otranto e gli italiani, col Duca degli Abruzzi a comandare la flotta, cercarono da subito la battaglia che avrebbe riscattato il disastro del 20 luglio 1866. Gli austriaci però non uscirono dai loro porti, non rischiarono l’urto decisivo che di fatti non ebbe mai luogo. La flotta austriaca applicò il concetto di fleet in being ovvero evitò scontri campali in mare restando chiusa a Pola, il cui eccesso era serrato da sbarramenti speciali.

L’azione italiana si fece allora guerriglia.

I primi tentativi furono legati alle creazioni dell’ingegnere Bisio a Venezia nel giugno del 1917, dei MAS alleggeriti capaci di portare un siluro, ma presto ogni interesse si concentrò sulla costruzione di appositi barchini, i Cavalletta, Grillo, Pulce e Locusta, con cui si tentò più volte il forzamento di Pola. Questi barchini pesavano otto tonnellate ed erano dotati di due lanciasiluri a tenaglia. Ogni speranza sul loro impiego finì il 13 maggio del 1917 quando il Grillo fu catturato ad un miglio dalla diga esterna di Pola e gli italiani che erano a bordo furono catturati dalla Viribus Unitis.

Si riprese allora a ragionare sull’approccio e la metodologia di tali tentativi pensando che occorresse un impianto d’attacco più leggero, diverso da quello dei MAS che necessitava di apparecchiature di lancio e portava inevitabilmente all’utilizzo di mezzi troppo pesanti. Bisognava trovare il modo per collocare una carica con congegno ad orologeria sotto la carena delle navi nemiche all’ancora e l’idea venne al maggiore del genio navale Raffaele Rossetti.

Fu costruito un nuovo mezzo d’assalto, la mignatta, un ordigno composto di una parte motrice e di una parte esplosiva di due cariche di 170 chilogrammi ciascuna da attaccare con elettromagneti alla carena nemica. Rossetti, col medico Raffaele Paolucci, si allenò per circa un anno all’utilizzo di questa invenzione ed il 30 ottobre del 1918 entrarono in azione nelle acque di Pola.

Paolucci fu a prua dell’apparecchio, Rossetti a poppa. Scorsero lungo la diga, raggiunsero un gruppo di catene che prolungava la diga fino ad una piccola imboccatura guarnita da un cannoncino e la superarono. Proseguirono verso il porto cautamente oltrepassando altre tre linee di ostruzioni. Per le tre avrebbero dovuto attaccare due navi delle sei navi lì ferme ed essere già di ritorno, ma alle tre erano ben lungi da questi obbiettivi. Decisero di continuare ed attaccare la Viribus Unitis, una corazzata di 20.000 tonnellate, nave ammiraglia della flotta austriaca, dalla cui radio – specialmente dopo Caporetto – erano state lanciate presenti irrisioni agli italiani.

La mignatta le si avvicinò e alle 4.45 si attaccò sotto le ciglia, la carica esplosiva fu piazzata ma gli incursori italiani furono scoperti e portati a bordo. La mignatta, abbandonata a sé stessa, si arenò sotto il piroscafo austriaco Wien, per poi esplodere successivamente e provocarne l’affondamento.

Gli italiani s’aspettavano durezza di trattamento e parole violente ed invece scorsero berretti dai distintivi jugoslavi. Vennero a sapere che 12 ore prima l’Austria-Ungheria resasi conto che la guerra era persa, per evitare che gli alleati si impadronissero della flotta imperiale, aveva creato il neutrale Stato degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi a cui aveva ceduto tutte le navi. L’atteggiamento fu cordiale e li lasciò sorpresi, così decisero di avvertire Vukovic, il comandante della nave, dell’imminente pericolo ma senza rivelarne il motivo. Il comandante diede ordine di abbandonare l’imbarcazione e di trasferire i prigionieri a bordo della nave gemella Tegetthoff, ma l’esplosione non avvenne come previsto alle 6.30 e l’equipaggio fece gradualmente ritorno a bordo, non dando più credito all’avvertimento dei due italiani, finché alle 6.44 la carica brillò davvero e la corazzata austriaca, inclinatasi su un lato, cominciò rapidamente ad affondare in soli 10 minuti. L’azione si concluse così con oltre 300 tra vittime e dispersi, tra cui il comandante Vukovic, che fu colpito mortalmente dalla caduta di un albero di legno mentre, nuotando tra i flutti, cercava di porsi in salvo.

All’alba dell’1 novembre del 1918 l’impresa di Pola aveva avuto successo ma si era tramutata in una tragedia.

L’Armistizio di Villa Giusti, con cui l’Austria-Ungheria si arrese all’Italia, fu firmato due giorni dopo, il 3 novembre 1918, con la clausola in forza della quale sarebbe diventato operativo dal 4 novembre. Il 5 novembre la Regia Marina occupò il porto di Pola e, grazie allo sbarco italiano, Rossetti e Paolucci – che erano ancora detenuti a bordo di una ex nave austriaca – furono liberati. Per la riuscita dell’impresa, i due incursori vennero insigniti della Medaglia d’oro al valor militare.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: M. Gabriele, Viribus Unitis, l’ultima vittoria della guerra navale

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