L’omicidio di un giudice in un memoriale siciliano del 1530

Proviamo a descrivere uno spaccato siciliano del XVI secolo, senza voler entrare troppo nei tecnicismi.

Oggi vogliamo semplicemente raccontare una storia, che prende le mosse dal libro di Orazio Cancila dal titolo “Così andavano le cose nel secolo sedicesimo”. Il memoriale che riportiamo fu inviato all’imperatore Carlo V dall’avvocato fiscale del tribunale della regia gran corte Antonio Montalto, il quale, molto preoccupato per lo stato della giustizia in Sicilia, narra un misfatto abominevole commesso ai danni del giudice palermitano Pietro Antonio d’Advena la cui colpa era stata quella di emettere una sentenza sfavorevole al conte di Caltabellotta Giovanni Luna. Notte tempo due sicari inviati da quest’ultimo fecero irruzione nella casa del magistrato ponendo fine alla sua vita. A questi fatti si aggiunge la sconcertante ignavia del viceré, il quale “si era rifiutato di procedere contro il mandante, poiché si trattava di un potente feudatario” (O. Cancila, Così andavano le cose nel secolo sedicesimo, p. 73, Sellerio Editore, Palermo, 1984).

Ciò premesso e introdotta la questione, andiamo in Sicilia e lasciamo parlare chi quei fatti li ha vissuti in prima persona:

“Sacra Cesarea et Catholica Maestà,

per altri mey, que vanno in questo plico con scripturi ha possuto havere senza donare scandalo et malanconia al vicerre, Vostra Cesarea Maestà claramenti haverà compriso de cui sia la culpa que in quisto regno non che sia iusticia et que solamente in Sicilia lo nomo de Vostra Maestà sia poco timuto et mino respettato. Restame solamente con questa de donar raxone a la Maestà Vostra de li cosi contenti in lo memoriale me ha mandato tramettere intercluso in sua real carta.

Et quanto a la morte di misser Petro Antonio d’Advena la veritati è que lo ditto misser Petro Antonio era gentilhomo et dottore principale di questa cità, vecho decrepito et tutto cano, persona multo literata et vertuoso et tanto morigerato et pachifico que non solamente non tenia bandoli né innimicicia con persona alcuna, ma era universalmenti amato et benvoluto et reputato como un padre de tutti. Lo quale, havendo donato certa sententia como iudichi dellegato fra lo conti de Caltavillotta et misser Andriotta Aglata in una causa di importantia, puplicamenti si dichia que lo ditto conti stava multo mal contento de la ditta sententia et de la persona de lo ditto misser Petro Antonio que l’avia pronunciato. Per la qual cosa, stando lo ditto misser Petro Antonio una sera in sua casa, in lo suo studio abaxo, senza scandalo alcuno como solia, foro visti intrari dui personi stravestiti, li quali amazaro et lassaro morto lo ditto misser Petro Antonio sopra certi operi di Sancto Augustino seu di San Gerolamo que a la hura stava legendo: perqué cussi lo trovaro, con la fachi posta sopra el libro aperto et con li ochali sanguinolenti caduti sopra el libro, secundo que pulicamenti se dissi. Et successo lo caso preditto, incontinenti fu nata fama puplica et voce notoria per tutta questa cità que a lo ditto Petro Antonio lo havia fatto ammazari lo ditto conti, per mano di Iacopo Caso et Iacopo Gentili alias Squaglaburro, soy creati de la cità di Termini, et que in questo havia caputo et havuto intelligentia Vincentio Cappasanta gentilhomo di la terra di Salemi, multo familiari et fidato amico del ditto conti.

Per la qual cosa, inportunato el vicerre da la instantia di li poviri figli et parenti del ditto misser Petro Antonio et del fisco, comandao que si prindissiro li informattioni et que lo ditto Cappasanta fussi carcerato. Et dichendosi publicamenti que li ditti dui interfetturi si haviano salvato in la posata del ditto conti et que illà si stavano a plachiri, per pura importunitati del condam Ioanni Luca Barberi, lo quali in quillo tempo era capitano de quista cità, li prestao certi alaparderi per acercari la posata del ditto conti et prindiri li ditti interfetturi. Et quisto fu lu iornu sequenti del caso, a circa hura di vespere, se mal non me recordo. Et havendo el ditto capitano acercato la ditta posata et intrato in ipsa, li genti soy sentero certo rimuri in lo tetto de la casa et saglendo in lo ditto tetto trovaro un capuzo et certi armi et lo camino fatto de li teguli rutti per fina ad un’altra posata vichina, per undi si fugero et salvaro in quello momento li persuni que in ditto loco haviano lassato li ditti capuzo et armi. Li quali, secundo la opinioni de quanti lo intisiro, foro li ditti interfetturi, per la qual morte non bastaro may li figli del ditto miserando interfetto obteniri que contro del ditto conti si prochedissi a carcerattioni. Ante più volti yo intisi diri a lo vicerre, essendo importunato sopra la carcerattioni del ditto conti, que non convenia cussì mettiri li mano a carcerari un conti et maxime una persona cussì princhipali como è lo ditto conti. Per la qual cosa, videndo li genti la iusticia cussì tepida et fluxa et lu dittu conti cussì potenti et respettato, si retrassiro tanto di voliri deponiri quello haviano visto et saputo del ditto caso que li informacioni del caso foro vacantissimi, perqué omni uno temia que lo ditto conti non facesse offendere, videndo la poca exequuttione et poco caso se fachia di la morti di una persona cussì princhipali. Et similmenti foro vacanti li informacioni que si prisiro di la fuga de li preditti per lo tetto de ditta casa, perqué omni uno, incomenzando dal proprio capitano, per timore del ditto conti, videndo lo respetto que lo vicerre tenia, in lo deponiri si forzao di velari et palliari quillo que haviano visto et intiso. Et per quisto, non se havendo possuto mettiri lo caso in claro como di certo se haviria fatto se la iusticia havesse havuto forza et reputattioni, passati alcuni iorni fu exarcerato lu dittu Cappasanta, per la qual cosa de tutto desanimati li figli del ditto misser Petro Antonio, dubitando que el ditto conti non fachissi ammazzari ad ipsi, non hebbero may più audacia de compariri al vicerre et domandari loro iusticia. Et per quisto, misser Gerardo di Advena, dotturi, figlo del ditto misser Petro Antonio, havendo determinato veniri a deplorari et fari querela de la ditta morti paterna innanzi lu conspetto de Vosta Cesarea Maestà como vivo fonti de iusticia, lo poviretto essendo in camino navigando fu priso de infidili et fu morto in captivitati. Et per quisto li altri si hanno arrestato, aspettando que Nostro Signore Dio habia de illuminari la menti et moviri lo cori de Vostra Cesarea Maestate a providiri que in quisto regno chi sia cui li faci iusticia di un caso tanto miserando et di pessimo exemplo per havere lo ditto loro padri fatto iusticia et non per altra causa.

Et perqué Vostra Maestà Cesarea veda que li poviri parti non teniano audatia di discopririsi como serria stato bisogno a domandari la iusticia di la morti preditta et que per la parti del fisco le fu donata tutta quella assistentia que lo tempo suffria, sarrà con questo dispacho copia de la sententia del banno que, ad instantia del fisco, yo fichi promulgari, triduo non expettato, contra li ditti interfetturi. Da lo quali bando da poy fu cassato lo nomo di Iacopo Caso, per virtuti di una interloquutoria que lo ditto conti da poy, senza yo havirindi noticia alcuna, per pura potentia et favore fichi donari da la Regia Gran Corti que lo ditto Iacopo Caso li fussi remiso al suo foro como suo servitore et familiare, in virtuti di certi soy pretensi privilegii, non obstanti que chi fussi continentia di causa et que la persona del ditto conti fussi principaliter inculpata de eodem crimine. Et da poy li ditti dui interfetturi lo ditto conti li fichi veniri in Palermo et teniali publicamenti in fachi del vicerre et de li parti, et yo li vitti più volto a cavallo a boni curseri per Palermo in compagnia del ditto conti a la cavalcata del vicerre, et veniri etiam perfino intro ad castello ad mare et cussì su restati li cosi. Et per la parti di lu fiscu non si havi fatto più nenti, tanto perqué sarria stato curriri di mula et darili adviamento di farisi penitus liberari, como ancora perqué li ministri non ponno fari bona guerra con cui lo vicerre voli pachi. Et mi pari havere fatto servizio a Vostra Maestà lassare più presto dormiri la cosa et per quisto menzo conservari a la Maestà Vostra la porta aperta di potiri providiri et comandari que si faza la iusticia que del ditto caso non è stata fatta, que con lo favore et repugnantia de la voluntà del vicerre, stimulando altramente li cosi, donari addito et camino al ditto et complichi de farisi liberari.

Perqué si una volta fussiro stati liberati, per lo rito et capituli de quisto regno non chi sarria appellationi né altro remedio, excepto que la Maestà Vostra, ex dominica et absoluta potestate, ce havesse dispensato dirogando al rito et capituli de quisto regno. El que la Maestà Vostra non ha constumato may fare.

Né tampoco me se po inputare de non havere fatto intendere li cosi preditti a Vostra Cesarea Maestate, perqué havendo venuto yo personalmente in Hyspagna, per questa et altri cosi concernenti suo real servizio, ià per un’altra le ho fatto intendere come me trattaro. Et videndo que con la presentia non havia potuto complire como yo desiderava per lo servizio de Vostra Maestate, venendo da poy in questa corte Matheo Rayalbuto, le donai un largo memoriale de multi cosi con littera de credenzia in sua persona per la Maestà Vostra, perqué de tutto le fachesse relattione di mia parte. In lo quali memoriali trovirà Vostra Maestate que yo lo ho incarrigato multo que li fachissi relattioni del caso de ditta morte come multo que li fachissi relattioni del caso de ditta morte come me persuado l’habia fatto, perqué vedo que lo memoriale me ha mandato tramettere è in gran parte saccato dal ditto mio memoriale. Et perqué la Maestà Vostra manda vedere que sia cossì, le inbio copia de alcuni capituli del ditto mio memoriale, perqué lo mande confrontare con quillo donai a lo ditto Rayalbuto, et cussì conoxirà la Maestà Vostra ne havesse plena noticia.

Et perqué in lo primo capitulo del ditto memoriale, ultra la morte del ditto misser Petro Antonio, se dice que in quisto regno non se fa iusticia de homini de qualitati, dico a la Maestà Vostra que è più que vero et Dio volesse fusse buxia et non bastiria yo scrivirilo a Vostra Maestà tanto largo quanto è vero. Et mande Vostra Sacra Maestate ad informarisi que lo trovirà cossì que veramenti, da multi anni a questa parte, la iusticia de quisto regno potest assimilari a raneetele que non nisi muscas intercipit, perqué non ho visto né vedo iusticia se non de panni baxi et di quilli cussì disventurati que non tenino cui procurari, pregari et inportunari pro ipsi. Et per questo è multo augmentato et è per augmentari omni iorno lu numero de li delinquenti et la frequentia de li delitti gravissimi” (Ivi, pp. 74-80.).

Le parti in grassetto sono fondamentali, spiegano chiaramente lo stato della giustizia nella Sicilia del XVI.

 

 

Autore articolo: Davide Alessandra

Davide Alessandra, laureando in giurisprudenza e studente di archivistica, paleografia e diplomatica presso la scuola dell’Archivio di Stato di Palermo.

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Un pensiero su “L’omicidio di un giudice in un memoriale siciliano del 1530

  • 31 Maggio 2019 in 8:23
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    Si sa cosa fece l’imperatore dopo che ricevette questo memoriale?

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