La flottiglia di Ponza

Nel 2003 è apparso nelle sale cinematografiche il film Master & Commander con l’attore Russell Crowe ed una trama ispirata alle opere di Patrick O’Brian ambientate nel Mediterraneo negli anni del tornado napoleonico. In molti appassionati il film ha risvegliato l’interesse per la storia navale ed ha spinto il sottoscritto ad una serie di approfondimenti che iniziamo, con questo articolo, a proporre ai lettori di Historia Regni. Per cominciare facciamo un tuffo nelle acque dell’arcipelago delle isole pontine, anno 1806.

A metà marzo l’esercito napoletano, opposto ai vincitori di Austerlitz, era già tutto ritirato in Sicilia. Resistevano “al di qua del Faro” Gaeta e Civitella e con esse le isole pontine. L’ultimo atto del governo borbonico fu l’ordine del 4 febbraio di quell’anno diramato dalla regina Maria Carolina, la quale, prima di raggiungere il reale consorte a Palermo, aveva inteso distribuire fra le isole di Ponza e Ventotene 1531 “trugliati”, ovvero detenuti del reclusorio di Napoli, in modo da sottrarli al probabile saccheggio della città, conseguenza del momentaneo vuoto di potere. Essi venivano così destinati alla guerriglia capeggiata da Fra Diavolo. In 103, già tre giorni dopo, da Ponza sbarcarono a Gaeta e nello stesso mese, Fra Diavolo, in quell’isola, prese ad organizzare le centinaia di galeotti in bande militari. A più riprese li introdusse a Gaeta, da lì essi si spinsero sino ad Itri, Pontecorvo e Cassino per fiaccare le fila francesi e dare manforte a Gaeta che resisteva. Ischia e Procida, occupate negli ultimi giorni di febbraio da quei reparti del 22° reggimento di fanteria leggera prima distaccati a Nisida sotto il comando del colonnello Goguet, vivevano in una trascurata precarietà con scarsi viveri e poche navi. Le debolezze francesi nell’organizzazione della difesa costiera erano lampanti ed emersero tutte quando, nell’aprile di quell’anno, le navi britanniche guidate dall’ammiraglio Sidney Smith si affacciarono nel golfo di Napoli; esse, fatto fuoco sull’artiglieria di Castellammare il 10 maggio, zittirono all’indomani l’ingresso in città di Giuseppe Bonaparte, fatto re dal fratello Napoleone. Quello stesso giorno ebbe inizio la guerra corsara: Antonio Albano, alias Gazzetiello, portatosi a Sperlonga ne incendiò i depositi di fascine raccolti dai Francesi e, inseguito poi da tre lance corridore, ne catturò una e ne distrusse le altre. Il 13 maggio sì conquistò Capri: la piccola guarnigione francese comandata dal capitano Chevert fu sopraffatta e l’isola divenne il centro propulsivo della cospirazione e degli attacchi via mare ad Ischia, Procida, Castellammare e Licosa. Negativa per la causa borbonica fu invece la notizia della resa di Gaeta nella notte del 18 luglio. Dalla piazzaforte padron Domenico Mazzella condusse a Ponza gli infermi ed il battaglione di Cacciatori Albanesi, giuntovi ai primi del 1806 dalla Sicilia, tornò a Palermo; al momento a Ventotene il comando era affidato al tenente colonnello Gicca e a Ponza al maggiore Ferrari. A settembre i massissti di Don Antonio Guariglia finirono sconfitti a Marina di Camerota, quelli di Gaetano Gallo, detto il sordo di Praiano, capitolarono a Positano e i reduci ripiegarono tutti su Capri. Con l’arrivo del rigido autunno le operazioni militari si fiaccarono, ma il colpo più pesante si subì il 1° novembre quando Fra Diavolo viene catturato a Baronissi e giustiziato dopo 10 giorni a Napoli in Piazza Mercato. Nel giro di otto mesi i piani dei Borbone furono così disfatti: persa Gaeta ed impiccato Fra Diavolo, si sentì forte la necessità di ripensare tutto.

 

Fu nel gennaio del 1807 che Don Antonio Capece Minutolo, principino di Canosa, arrivò a Capri accolto dal governatore sir Hudson Lowe, futuro carceriere di Napoleone a Sant’Elena, e da quell’isola poi a bordo dello sciabecco di Salvatore Bruno approdò a Ponza in compagnia del brigadiere Don Filippo Cancellieri. Il principino aveva all’epoca 40 anni ed il titolo onorifico di Capitano. Suo padre, Don Fabrizio, il principe di Canosa, aveva aderito al governo di Giuseppe Bonaparte e ne era consigliere di Stato (anche Don Raimondo, suo fratello, dopo aver combattuto nell’esercito napoletano a Campotenese, passò nel 1812 nelle fila di Murat. Canosa resterà invece ligio al più puro legittimismo borbonico). Il suo aiutante, Cancellieri, agli ordini di Ruffo nel 1799 ed esperto comandante della guerriglia in Calabria, a maggio ritornò a comandare i corpi irregolari calabresi agli ordini del Principe d’Assia; affiancarono Canosa il tenente di cavalleria Don Raffaele Correa, il tenente di Valdinoto Fanteria Don Giacomo Ferrà ed il soldato del reggimento cavalleria Valdimazzara Pasquale Schettini giunti sull’isola col Real Pacchetto Tartaro. Trascorsero tre anni e Canosa, prima come capitano, poi come colonnello, acquisì piena autorità sulla flottiglia, sebbene comandante e governatore interno dell’isola restò sempre Don Giuseppe Ferrari. A Ponza c’era il battaglione del reggimento Reali Presidi, il cui comando era di stanza a Palermo. Sull’isola si contavano 6 cannoniere e numerose barche armate in corsa dai marinai dell’isola e da quelli che vi affluivano da Gaeta; ragguardevole era anche il numero dei massisti che il Canosa si cimentò ad organizzare da subito: il 25 marzo fondò il corpo dei “Cacciatori di mare”, 150 uomini comandati da Domenico Pezza, nipote, appena diciottenne, di Fra Diavolo; nello stesso periodo nacquero i “Cacciatori della Regina”, 300 uomini in giacca azzurra, cappello tondo con placca metallica bianca e la scritta “Emigranti” perché erano emigrati da Napoli, comandati dal capitano Giuseppe Castellano; nacquero pure i “Cacciatori provinciali”, 200 uomini in giacca celeste, cappello tondo con placca metallica gialla e la scritta “Fedeltà”, comandati dal capitano Vincenzo Costa. A Ventotene era poi di stanza la 6° compagnia del battaglione pontino di Reali Presidi con una batteria di 6 pezzi da 18 ai quali prestavano servizio 24 aggraziati.

Le guarnigioni nemiche sulle isole di Ischia e Procida, invece, contavano il I battaglione del 101° reggimento di fanteria di linea ed 8 guide a cavallo del 4° cacciatori ad Ischia, per un totale di 22 ufficiali e 879 militari di truppa, ed il comando del 101° reggimento di fanteria di linea con il II battaglione a Procida, per un totale di 27 ufficiali e 901 militari di truppa. Il primo tentativo francese di conquistare Capri maturò e svanì ai primi di marzo quando l’iniziativa segreta di quattro divisioni di cannoniere, guidate dai tenenti di vascello Federici, St. Caprais, Montemayor e Correale sotto il comando di Lostanges, capo militare della marina francese a Napoli, fu ostacolata dal mal tempo, dalle voci popolari e dall’accorrere della flotta anglo-sicula che si presentò minacciosa fin sotto la costa tra Pozzuoli e Castellammare. Le iniziative di Salvatore Bruno invece si orientarono a scatenare i galeotti sul continente come aveva già fatto Fra Diavolo. A fermare Bruno fu solo l’ordine di Ferdinando IV perché tutte le attenzioni finirono sul Principe di Assia. Questi, con un arguto piano, sbarcò a Reggio il 9 maggio con 4.000 uomini ed un migliaio di massisti. Si sarebbe dovuto servire anche delle truppe del principe di Canosa, sostenute dalla flottiglia del Bruno, per suscitare la rivolta in Terra di Lavoro, ma i Francesi corsero ai ripari, resistettero a denti stretti in Calabria e passarono al contrattacco cercando invano di occupare Ponza. Il loro tentativo fallì perché i corsi imbarcati sulla goletta francese si ribellarono. Salvatore Bruno si limitò a sparare nel golfo le salve in onore di S. M. Siciliana nel giorno di San Ferdinando; Canosa intanto era divenuto il vero punto di riferimento della cospirazione. Il principe fu ritenuto mandante dell’attentato ordito da Agostino Mosca ai danni di Giuseppe Bonaparte e finì per questo nel mirino dei napoleonidi, ma negò sempre di aver sostenuto attentati terroristici (intanto il 31 gennaio dell’anno seguente esplose la casa del ministro della polizia napoleonico Saliceti e numerosi altri attentati si susseguiranno). Il 20 luglio del 1807 terminò per le truppe di Gaeta l’impegno d’onore, assunto all’atto della capitolazione della piazza, di non combattere per un anno ed un giorno, e così ad agosto il battaglione Cacciatori Albanesi venne inviato a Ponza e Ventotene ai comandi del Canosa. Ad ottobre la fregata Minerva rientrò a Palermo, la Sirena, comandata dal capitano Giuseppe Valguarnera, invece si spostò a Ponza agli ordini del principe.

Centocinquanta fucili dalla Germania con corrispondenti munizioni raggiunsero Ponza nel gennaio del 1808. Da febbraio sbarcò a Ponza il tenente del genio Carlo Afan de Rivera, noto già come uno dei difensori di Gaeta, per lavori di apprestamento a difesa dell’isola ed entro la fine di aprile Ponza e Ventotene vennero fortificate nei diversi punti della costa in cui più deboli apparivano le difese delle isole. “In considerazione degli ottimi, distinti e fedeli servizi”, Canosa fu promosso da capitano a colonnello il 30 aprile e da questo momento in poi, per ordine reale, Canosa dispose per intero delle Reali Forze di terra e di mare di Ponza, Ventotene ed anche di Capri: “governatori, capi militari e comandanti di navi, grandi e piccole, ubbidiscano senza replica né dilazione a tutti i suoi ordini”, ordinò. Nello stesso mese fu rimesso agli ordini di Canosa anche Domenico Pezza, dopo l’abbandono del progetto di sbarco in Terra di Lavoro e il ritorno a Palermo insieme con un altro massista, il capitano Carlo De Bellis. Il 28 maggio legni corsari effettuarono un colpo di mano sul telegrafo di Ischia abbattendone l’antenna. Il 31 dello stesso mese nel Canale di Procida la flotta sicula, forte delle fregate Venere, Minerva e Sirena, dei pacchetti Leone e Tartaro, di un brick, di due galeotte, di due sciabeccotti, di tredici cannoniere di cui due bombardiere, più i trasporti di truppa per un complesso di 47 vele precedute da 5 corsari, si scontrò con quella francese guidata da Correale che non aveva a disposizione che le sue 11 cannoniere, di cui una bombarda (solo più tardi giunsero sette cannoniere della divisione Sanson). I napoleonidi ripiegarono maldestramente trovando protezione nelle artiglierie della costa, sfruttarono i cambi di vento e verso le 20.00 le navi napoletane si allontanarono con le fregate malconce e una lancia colata a picco. Lo scontro si ripeté il 2 giugno ed ancora i napoletani ebbero la peggio con la Minerva che restò disalberata di gabbia, il Leone di parrocchetto e di bompresso, 3 cannoniere rasate e 1 bombarda messa fuori combattimento. I napoletani contarono 40 morti, tra i napoleonidi si ebbero solo 5 morti ed 11 feriti. I danni furono sicuramente ingigantiti dalla stampa francese: le navi napoletane non ripararono in Sicilia ma anzi restarono fino al 17 giugno nelle acque tra Capri ed Ischia minacciando nuovi attacchi. Il 3 agosto da Palermo partirono le galeotte Attiva e Veloce, armate ciascuna da 3 cannoni, per raggiungere Canosa. Giuseppe Bonaparte aveva un incubo che non gli permetteva di dormire sonni tranquilli e, prima di lasciare Napoli, mise sul capo del principe di Canosa una taglia di 25.000 ducati. Il 6 settembre Murat entrò in città. A sorpresa nell’ottobre di quell’anno Capri fu riconquistata dai Francesi al comando del generale Lamarque con l’aiuto di una furiosa tempesta: essi occuparono prima Anacapri respingendo gli inglesi guidati dal comandante Richard Church che s’era fatto un gran nome per la vittoriosa battaglia di Maida nel 1806, poi la mattina del 5 ottobre intimarono la resa al battaglione Real Malta asserragliato nel forte di santa Maria a Cetrella. Con la presa di Capri l’inverno 1808-09 trascorse in totale tranquillità. A Napoli la vittoria sollevò gli animi del partito murattiano e fu abilmente usata con scopi propagandistici. Restavano solo Canosa e i suoi corsari che per effetto della cattiva stagione dovettero restringere il raggio delle loro azioni alla costa vicina. I massisti dei Cacciatori della regina e dei Cacciatori del Mare, demoralizzati ed in agitazione, non intendevano più battersi e Canosa, nel dicembre di quell’anno, li spedì a Palermo dove furono riuniti col solo nome di Cacciatori di Mare. Restava invece a Ponza la banda del capitano Costa. Temendo una nuova offensiva murattiana, ripresero poi i lavori di difesa sotto la guida di Afan de Rivera mentre i mari continuarono ad esser scossi dalle piccole scaramucce della guerra di corsa. Intanto quei 25.000 ducati sulla testa di Canosa iniziarono a far gola a Nicola Pezzella, che agli inizi di dicembre, armato dal Saliceti, ordì di pugnalare Canosa. A detta di molti storiografi, fu solo l’abilità del Principe di controllare l’ambiente che lo circondava a scoprire e a far arrestare l’attentatore.

 

Don Francesco Maria Trevisani, assessore e capo ruota, assistete il Canosa nello smascherare cospirazioni e tradimenti del genere, ma il 12 aprile 1809 fu proprio Trevisani a finire nel mirino del Canosa e ad essere defenestrato. Nel giugno di quell’anno giunsero sull’isola insistenti voci di tentativi imminenti da parte dei murattiani per la presa di Ponza. Agli inizi di gennaio il corsaro borbonico Lazzaro di Nicola catturò una lancia bombardiera napoleonica, ma a fine mese furono predate una bombarda mercantile siciliana e due brigantini inglesi. Le fregate Sirena e Minerva e la galeotta Attiva rientrarono in Sicilia ed a Ponza restarono la fregata Venere, capitanata da Luigi Renato de Gras Preville, la corvetta Aurora, capitanata da Antonio Valvi, la galeotta Veloce e 18 legni della divisione cannoniere, comandati dall’alfiere Antonio di Rosa. A maggio il corsaro borbonico Domenico Gambardella catturò una cannoniera, una scorridora e due barche francesi e per questa impresa fu nominato da re Ferdinando “capitano di mare”, ma anche i francesi si diedero da fare predando un brigantino inglese ed uno austriaco. Nel mese di maggio le navi inglesi ritornarono nel golfo di Napoli e si verificò uno scambio di cannonate con le batterie francesi di Capri e Castellammare. A fine mese i murattiani si presentarono senza sparare davanti alle isole di Zannone e Ponza, ma i napoletani non raccolsero la provocazione. Riparate, la Sirena e la Minerva tornarono a Ponza stavolta alla testa di una spedizione capeggiata dal generale inglese Stuart e dal principe ereditario Leopoldo. Il 24 giugno le navi inglesi sbaragliarono la flotta di Murat ed intimarono la resa ad Ischia e a Procida. Quest’ultima si arrese subito, senza combattere. Ad Ischia invece il generale Agostino Colonna di Stigliano si arroccò nel castello e rifiutò la resta sino al 3 luglio. Il 26 giugno fallì il tentativo del tenente Caracciolo di riportare Procida a Murat, la cui flotta è ora inesistente. Fallì pure il tentativo del generale Bausan di allontanare le navi inglesi dal golfo e, a Napoli, Murat iniziò a temere lo sbarco inglese sulla terra ferma e la marcia sulla capitale. Fu questo l’intento del Principe Leopoldo che richiamò a Ischia il principe di Canosa e il battaglione di Cacciatori Albanesi. Gli Inglesi, invece, sapevano che riportando Ferdinando sul trono di Napoli, la loro permanenza in Sicilia sarebbe divenuta inopportuna se non illegale: il loro progetto era ora quello di lasciare Napoli a Murat e tenersi la Sicilia. Essi persino su Ischia e Procida avevano lasciato sventolare la loro bandiera e non quella napoletana. Scrive il De Nicola che al suo arrivo sulle isole, il generale inglese Stuart avendo visto in petto agli ufficiali murattiani una fettuccia turchina domandò che ordine fosse e gli fu detto essere l’Ordine delle Due Sicilie. Egli rise e rispose che poteva bastarne una perché l’altra era di Giorgio d’Inghilterra. Aggiunge poi il De Nicola che di fatti la presa di Ischia e Procida fu fatta in nome della Gran Bretagna. Ormai era evidente che gli inglesi facevano il doppio gioco. Il 21 luglio, a testimonianza dei reali piani inglesi, il generale Stuart abbandonò le isole e ritornò in Sicilia compiendo qualche incursione in Lucania e Calabria. Anche Leopoldo lo seguì, mentre Canosa tornò a Ponza incassando un amaro boccone: Murat riprese possesso di Ischia e Procida. Quando il 15 agosto, con una grande festa, Murat annunciò la rinascita della marina, solo le navi del Canosa attaccarono le cannoniere nemiche. Quella mattina il principino aveva ripreso il possesso di Ischia, ne aveva occupato il castello ed aveva mandato i legni da guerra ad incrociare nel golfo di Napoli. La sera del 19 da Ponza 190 uomini raggiunsero Ischia che così poteva contare su 340 combattenti. La defezione inglese però impedì ogni piano di attacco: il 23 agosto ritornarono tutti a Ponza perchè mancavano viveri e gli inglesi prima di partire avevano lanciato in mare l’intera artiglieria del Castello. In quel di Ponza scarseggiavano i viveri, ma abbondava la polvere da sparo; tornarono la Minerva ed il Tartaro per dare il cambio alla Venere e alla Sirena; i Cacciatori Albanesi salparono per a Palermo, sostituiti dal I battaglione del reggimento di fanteria di Valdimazzarra (con una forza inferiore a quello di Cacciatori Albanesi); i 50 cannoni della Venere furono sostituiti dai 20 di piccolo calibro del Tartaro. In queste condizioni e minacciato da una invasione francese cui non avrebbe potuto opporre duratura resistenza, Canosa dunque abbandonò Ponza. Era la fine. Il 21 novembre del 1809, dopo la pace di Tilsit che aveva reso la Russia nemica inglese, era arrivato anche l’armistizio del 14 ottobre tra Austria e Francia a rendere sfavorevole il contesto internazionale per una combattiva resistenza borbonica..

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore: Angelo D’Ambra

Bibliografia: U. Broccoli, Cronache Militari e Marittime nel Golfo di Napoli e nelle Isole Pontine durante il decennio napoleonico 1805 – 1815

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Un pensiero su “La flottiglia di Ponza

  • 13 Febbraio 2019 in 11:36
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    L’autore si e’ di certo documentato, consultando il volume di Umberto Broccoli “Cronache Militari e Marittime nel Golfo di Napoli e nelle Isole Pontine durante il decennio napoleonico 1805 – 1815.”

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