Mazzini a Londra
Quando tutta l’Europa lo respingeva, Londra accoglieva Mazzini come “terra della libertà religiosa, civile ed economica”. Era il 1837 e, coi fratelli Ruffini, perseguitato dall’Austria e dal governo piemontese aveva passato la Manica.
Lasciata, il 2 gennaio del 1837, la cittadina svizzera di Grenchen, Mazzini attraversò la Francia, fece sosta a Troyes e da qui proseguì per Chalon-sur-Marne, Reims, St. Quentin, Cambray, Duay, Lille, Dunkerque e Calais, da dove si imbarcò alla volta di Londra. Soffrì terribilmente la traversata dello stretto e svenne, poi, imboccato il Tamigi, tornò in sé. Ammirò l’arsenale, i cantieri, i vascelli inglesi…
Si stabilì nella zona di Clerkenwell, un quartiere di Londra che era divenuto famoso col nome di “Little Italy” a causa della presenza di numerosi italiani, in gran parte rifugiati politici, poi aprì una piccola scuola gratuita per bambini a Hatton Garden nel 1841, giovanissimi immigrati italiani, soprattutto provenienti dal Lazio, altrimenti volti ad una esistenza di furti e miserie. Fu anche grazie al suo impegno che venne costuita anche la chiesa italiana di Saint Peter, proprio a Clerkenwell. E l’incontro cruciale fra Garibaldi e Mazzini, quello in cui per la prima volta si parlò della spedizione di Sicilia, avvenne proprio a Londra, dove i due, a quanto pare, si confrontarono in un dialetto genovese strettissimo.
I primi tempi furono in vero difficoltosi. Il clima di Londra ed il suo grigiore fasciavano di tristezza la sua anima. “Sento anch’io che tra le mie tendenze ed il gaio scrivere concitato e poetico, come dicono, e le abitudini pratiche degli inglesi vi sono dissonanze, ma tenterò di avvicinarmi”, scrisse al Giglioni. Teneva in buon conto le qualità di quel popolo ma disprezzava la sua apertura alle più sfrenate conseguenze della libera concorrenza. Del resto anche gli inglesi stentarono a vedere in lui un politico o un economista, preferendogli la veste di “moral teacher”. A contatto con loro scoprì il ribollire di movimenti socialisti, il cartismo, il pensiero di Marx e le lotte operaie e ciò lo spinse a quella rielaborazione di idee che poi, nella primavera del 1850, lo indusse a promuovere un’Europa delle repubbliche democratiche, fondata sul suffraggio universale e l’educazione gratuita per tutti, capace di superare il capitalismo attraverso forme di distribuzione della proprietà pubblica e del credito.
A ben guardare, non sarebbe corretto definire quello di Mazzini con l’Inghilterra un rapporto di di amore ed odio. Fin dagli anni giovanili seppe apprezzare Walter Scott ed il genio di Shakespeare, ma preferì lo Schiller ed il Byron. Spiriti tempestosi come il suo, anime cariche di simili chiaroscuri.
I primi veri amici che ebbe sull’isola furono i coniugi Carlyle, che conobbe nel 1839. Ne condivise il frenetico idealismo, l’ansia con cui guardava i suoi tempi, l’implacabile critica con cui sferzava le dottrine utilitariste e materialiste. L’idillio non finì mai. Il 15 giugno del 1844, dopo il martirio dei fratelli Bandiera, Thomas Carlyle lo difese con una lettera al Times: “Ho avuto l’onore di frequentare Mazzini per una serie di anni e checché io possa pensare del suo intuito pratico e della sua abilità negli affari di questo mondo, posso attestare con piena libertà a tutti gli uomini che Mazzini è uomo di genio e di virtù, se io mai ne conobbi; un modello di veracità, di umanità, di nobiltà di animo; è uno di quei rari uomini, i quali si contano disgraziatamente solo per unità nel mondo e sono ver anime di martiri, perchè nel pio silenzio della vita quotidiana comprendono e praticano quanto per ciò s’intende”.
Mazzini fu profondamente toccato da quell’attestato di stima e fu il primo a richiamare l’attenzione degli italiani sulle opere del suo grande amico con ben due saggi. Ma anche Charles Swinburne restò colpito dal suo incontro col fondatore della Giovine Italia. A quello che divenne il suo idolo politico dedicò l’Ode a Mazzini ed il Canto d’Italia.
Con il passare del tempo e con l’intensificarsi della sua azione politica e sociale cominiciarono a nascere sospetti nei suoi confronti. Quando fu ammesso dal parlamento britannico che le sue missive private erano state effettivamente aperte, e il suo contenuto rivelato ai governi d’Austria e Napoli, Mazzini catalizzò la grande solidarietà dei liberali dell’isola, indignati da una palese intrusione del governo nella sua corrispondenza privata. Tanto calore lo spinse a scrivere a Pio IX, le cui riforme apparentemente liberali gli avevano procurato il paluso dell’Europa. Fu una mossa inutile. L’Italia però sembrò chiamarlo e di lì a poco fu in Lombardia, poi con Garibaldi in Svizzera, infine prese parte alla sfortunata Repubblica Romana.
Autore articolo: Angelo D’Ambra