Memorie della Grande Guerra: la Sesta Battaglia dell’Isonzo

Dall’esito vittorioso della difesa italiana dell’altopiano di Asiago ebbe origine la Sesta Battaglia dell’Isonzo. Il morale della truppa era alto, il fatto di aver fermato gli austriaci in Tirolo aveva zittito i malumori e Cadorna voleva approfittarne per sferrare il colpo decisivo sull’Isonzo. Un massiccio spostamento di uomini dall’altopiano sino alla 3° Armata, posta a presidio di Gorizia e del Carso, precedette lo scioglimento della 5° Armata. Nell’arco di tre settimane, il settore del duca d’Aosta, sul basso Isonzo, raccolse una decina di divisioni rinforzate per un totale di 300.000 uomini. Tali forze dovevano essere supportate da quelle della 2° Armata del tenente generale Settimo Piacentini.

Le truppe al comando del duca d’Aosta comprendevano sei corpi con più di sedici divisioni, un totale di 220 battaglioni che potevano contare sull’appoggio di 1250 cannoni e 770 mortai. Le due forze d’urto erano l’XI Corpo di Cigliana, che puntava al San Michele, ed il VI Corpo di Capello, incaricato di prendere Gorizia. All’alba del 6 agosto le nostre artiglierie cominciarono un violento bombardamento sugli osservatori e sui comandi austriaci, poi sulle trincee nemiche tra il Sabotino e San Michele. Nel pomeriggio si ebbe l’assalto della fanteria. Stavolta i fanti sono armati di bombarde con cui possono più facilmente spianare i reticolati. Il nemico ci aveva sottovalutato, non aveva creduto possibile un attacco nell’immediatezza dei fatti dell’altopiano d’Asiago.

Il Sabotino cadde in mani italiane. Nel settore di Podgora gli assalti italiani furono contenuti dai contrattacchi nemici. Cadde anche il San Michele, sulla riva sinistra dell’Isonzo. Gli austriaci erano finiti nel panico. Gorzia era minacciata seriamente. Tenere la città era importante per loro, non tanto per ragioni militari però. Dal punto di vista militare, difendere la città sulle rive dell’Isonzo non aveva alcun senso. Boroevic ordinò alle sue truppe dalmate di tentare ogni sforzo, ma l’operazione fallì miseramente. La fanteria austriaca era stata completamente annientata, l’artiglieria aveva dato fondo alle scorte di munizioni e le comunicazioni con molte unità erano state interrotte. Resosi conto di non aver più truppe per sostenere la resistenza, il generale Zeidler ordinò l’evacuazione della testa di ponte austriaca sulla riva destra dell’Isonzo, poi fece abbandonare anche Gorizia.

Il nemico s’assestò sui monti Santo, San Gabriele, San Marco e Santa Caterina. Era l’8 agosto. In serata un’avanguardia di fanti della Brigata Pavia entrò in città, catturò 200 soldati asburgici e issò il tricolore sulla stazione. Gorizia era finalmente italiana.

La presa di Gorizia ebbe grande risonanza nell’opinione pubblica, fu la prima grande vittoria dell’esercito italiano che però si trovò ad entrare in una città deserta e ridotta in rovine dai continui bombardamenti. Circa trentamila soldati s’erano immolati per la vittoria, quasi lo stesso numero della popolazione prebellica di Gorizia. Quel risultato però aveva dato agli italiani la fiducia che per tanto tempo era loro mancata. Per la prima volta in più di trecidi mesi si poteva celebrare una vittoria. Nella notte, il genio riparò i ponti e le truppe grigioverdi passarono l‘Isonzo.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: R. Raja, La Grande Guerra giorno per giorno; A. Sema, La grande Guerra; J. R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra

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