Napoli nel “periodo africano”

La vita economia di Napoli nel Ventennio resta poco analizzata. Proviamo ad introdurre degli elementi di studio sicuri di riscuotere la curiosità del lettore.

Nell’aprile del 1959 al Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli si tenne il primo convegno dell’Istituto Nazionale di Studi Politici ed Economici dedicato al tema “I problemi del Mezzogiorno continentale ed insulare nell’Italia d’oggi”. Riportiamo alcuni passi della relazione sulla “Funzione di Napoli nell’economia italiana” dell’avv. Giovanni Roberti (Napoli 1909 – Napoli 2010), internato nel Campo di concentramento di Hereford in Texas, sindacalista CISNAL, poi deputato per il M.S.I., ritiratosi dalla politica nel 1979. Di queste riflessioni politiche e geopolitiche, riteniamo interessante il contenuto documentativo su Napoli nel Ventennio, tema spesso ignorato o non sufficientemente discusso.

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[…] Roma ha la sua funzione di capitale dello Stato e di capitale del consumo; Milano è la capitale dell’industria; Torino anch’essa ha rinunziato dopo il ’60 ad essere capitale di un regno, ma ha saputo trovare la sua nuova funzione nell’economia generale dello Stato attraverso lo sviluppo portentoso dello studio e dell’industria meccanica; Venezia, già penosamente decaduta nel secolo XIX, va coraggiosamente creandosi una sua nuova funzione attraverso il meraviglioso richiamo artistico e turistico, strumentato dalla Biennale e dal Festival Cinematografico, da un lato, e con i nuovi poderosi impianti industriali di Porto Marghera dall’altro; e lo stesso dicasi per altri particolari motivi, di Genova, Bologna, Firenze. Nello stesso Mezzogiorno, Bari ha, con notevole intraprendenza, trovato una sua funzione nella espansione mercantile e culturale verso i paesi dell’altra sponda adriatica e di qui vero il Levante continentale; Palermo stessa, attraverso l’istituto della Regione, va faticosamente ma decisamente enucleando la propria funzione.

Napoli no! Ed è l’unica grande città d’Europa rimasta in questa posizione puramente negativa.

Cessata infatti nel 1860 la sua funzione giuridica e politica di capitale del Reame, essa l’ha tuttavia proseguita ancora, quasi per forza di inerzia, per circa un cinquantennio, continuando ad essere la capitale morale, economica, culturale dell’intero Mezzogiorno.

Napoli non era già più capitale, ma egualmente dalle Puglie, dalle Calabrie, dalla Lucania e dagli Abruzzi, la gioventù studiosa di tutto il Mezzogiorno d’Italia, numerosa e fervente, affollava il grande e glorioso Ateneo napoletano che da sette secoli illuminava con la luce della sua cultura le provincie del Mezzogiorno; e del pari gli avvocati, i magistrati, i giuristi da tutte le città meridionali puntavano alla Corte di Napoli, che formava giurisprudenza ed orientamento per tutti i Tribunali del Sud Italia; il credito e il risparmio dell’intero Mezzogiorno veniva ad alimentare il commercio napoletano e la tumultuosa via di Toledo, che tanto aveva colpito il grande viaggiatore francese, costituiva l’emporio di tutte le provincie meridionali; per il porto di Napoli transitavano a centinaia di migliaia ogni anno gli emigranti dell’intero Mezzogiorno, nella loro coraggiosa e disperata espansione oltre mare.

Tutto ciò, dicevamo, è durato per 50 anni, sino alle soglie del primo conflitto mondiale; ed è stato forse proprio questa continuazione fittizia della funzione di capitale che non ha dato a Napoli la vera consapevolezza sostanziale del mutamento avvenuto nel ’60 ed ha concorso ad impedirle di trovare una propria permanente funzione nella nascente economia del nuovo Stato Italiano.

[…] nel decennio che precedette la seconda guerra mondiale, quando la Nazione italiana, giunta per ultima nella penetrazione coloniale in Africa, polarizzò tutti i propri sforzi politici, militari ed economici verso il continente africano nell’intento di riguadagnare febbrilmente il tempo perduto, fu proprio Napoli che costituì la grande testa di ponte di quella gigantesca operazione che non fu soltanto spedizione militare ma addirittura l’inizio di una trasmigrazione di popolo. Ed il periodo che chiameremo africano e che va dal 1935 al 1940 fu il più florido per la città di Napoli dopo il ’60; e ciò non solo per l’affluenza straordinaria di uomini e mezzi, per il ritmo febbrile degli imbarchi e degli sbarchi, per il polarizzarsi degli interessi, delle energie e direi quasi dell’intera anima nazionale intorno alla città di Napoli, ma per quel necessario fervente sviluppo di tutta l’attrezzatura industriale ed economica della città che andava adeguandosi alacremente a questo suo nuovo compito.

Giova ricordare, a conferma di quanto andiamo esponendo, taluni sviluppi e realizzazioni concrete.

Nell’aprile del 1936 si aprono gli Stabilimenti calce e cementi di Castellammare di Stabia; nel settembre ’36 le Industrie meccaniche aeronautiche meridionali (IMAM); nell’aprile del ’37 inizia il nuovo grande sviluppo dell’Ente Autonomo Volturno, come produttore di energia; nel novembre del ’37 si apre la Società Raffinerie; nell’aprile del ’38 l’Istituto per i Motori; nel novembre dello stesso anno si dà inizio concreto ai lavori della grande Mostra d’Oltremare ed al risanamento del Rione Fuorigrotta, arioso polmone oltre le colline ad occidente della città. I tempi stringono: nell’aprile del ’39 si inaugurano i grandi stabilimenti Aeronautici di Pomigliano d’Arco e la Società Navalmeccanica per le industrie cantieristiche e navali, complemento industriale necessario per lo sviluppo del Porto; si affronta il nuovo piano regolatore, che adegua la planimetria urbanistica della città di Napoli alla sua nuova grande funzione; si crea l’ISVEIMER per un sistematico piano di sviluppo dell’Italia Meridionale. Nello stesso periodo l’ILVA di Bagnoli attua un immenso lavoro di produzione siderurgica, la Società Ansaldo adegua gli stabilimenti di Pozzuoli alle nuove esigenze dell’industria, i Cantieri Metallurgici sviluppano gli stabilimenti di Castellammare mentre il Porto di Napoli, costituito ad Ente Autonomo e generosamente alimentato, con lungimirante programma, sin dal 1924 con il finanziamento allora colossale di 200 milioni (pari a circa 20 miliardi in valuta attuale) completa la propria attrezzatura con la costruzione di nuove dighe e darsene, dei sylos, degli impianti meccanici, dei nuovi bacini di carenaggio, della grande stazione marittima.

Gli anni dal 1936 al 1940 hanno costituito il periodo aureo della economia napoletana nella nuova funzione che la città andava assumendo, di centro vitale, di metropoli per la propulsione dell’Italia verso il continente africano.

Nel 1940 Napoli sembrava avviata verso la sua grande ripresa economica, il tono generale di vita della città andava elevandosi, la disoccupazione, piaga cancrenosa della vita napoletana, andava riducendosi, la città svolgeva finalmente una sua propria funzione permanente nella cita della Nazione Italiana.

La guerra, duramente combattuta e conclusasi tragicamente con la sconfitta dell’Italia, è stata particolarmente disastrosa per Napoli perché ha distrutto non soltanto le migliaia di edifici rasi al suolo da centinaia di bombardamenti ma anche questo promettente inizio di realizzazione di una funzione mediatrice di Napoli tra l’Europa e l’Africa; ed io credo che sia stato forse per l’indefinita ma pur viva sensazione di quello che l’Africa rappresentava per Napoli, che i combattenti napoletani si sono tanto disperatamente battuti in  terra d’Africa ove essi quasi inconsapevolmente sentivano di difendere gli interessi stessi permanenti, quasi la carne viva, la vita e l’avvenire della loro città.

Oggi, ad oltre quindici anni dalla sconfitta, l’Africa Italiana rappresenta soltanto un ricordo nostalgico, che si manifesta quasi in una forma patologica: il mal d’Africa.

Tuttavia il continente africano resta e gli Stati africani sono sempre al di là del mare, dinanzi a noi; anzi questi Stati nuovi ed antichi che vediamo pervasi da una febbre di indipendenza forse troppo rapida ma certo gravida di speranze, di eventi e di sviluppi, pur negli eccessi temporanei di xenofobia che sono dovuti alla necessaria fase nazionalistica della loro formazione, hanno più che mai bisogno dell’azione complementare del continente europeo.

 

 

 

 

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