Napoli porto dell’Impero
La guerra all’Etiopia aveva trovato larghi consensi a Napoli, soprattutto perchè, attraverso l’imbarco delle truppe, la città avrebbe visto aumentare la propria attività portuale.
Napoli accettò di buon grado d’essere perno di una guerra lontana e veloce, la cui vittoria appariva garantita dalla superiorità tecnico-militare italiana. Plaudirono entusiasti il ceto imprenditoriale e quello commerciante, ma anche chi viveva nel dramma della disoccupazione.
Lo slogan “Napoli porto dell’Impero”, in effetti, per la città non rappresentò solo propaganda ma una concreta possibilità di sviluppo e di acquisizione di un ruolo prestigioso nel sistema economico nazionale.
La costruzione della Mostra Triennale delle Terre d’Oltremare comportò la ristrutturazione dell’intero quartiere di Fuorigrotta. In meno di cinquecento giorni si alzarono i minareti del razionalismo ed alla cerimonia innaugurale del 9 maggio del 1940, quarto annuale della fondazione dell’Impero, parteciparono Vittorio Emanuele III, Attilio Teruzzi, Ministro per l’Africa Italiana, e Italo Balbo, Governatore dalla Libia.
Sotto la spinta del commissario governativo Vincenzo Tecchio, la mostra si distese su un’area di un milione e duecentomila metri quadrati cui si poteva accedere attraverso strade di stile africano. I padiglioni presentarono al pubblico napoletano una panoramica delle terre colonizzate, la Libia, l’Africa Orientale, le isole del Dodecaneso, Tien-Tsin e l’Albania. Il successo attirò l’attenzione, forse poco prevista, delle imprese turistiche europee.
Così la ristrutturazione urbanistica di Fuorigrotta, la Mostra d’Oltremare, poi pure la visita di Hitler del 5 maggio del 1938, diedero a Napoli un ruolo preciso nello scacchiere del Mediterraneo. La commissione toponomastica collocò alle spalle di Via Caracciolo la sua Piazza Eritrea.
Si legge in “Politica nuova”: “Tocca a Napoli d’organizzare il suo porto […] la sua attrezzatura industriale ed agraria, la trasformazione parziale e completa delle materie prime in arrivo, ravviamento rapido e funzionale del suo porto verso i lontani mercati etiopici, africani ed orientali” (in G. Chianese, Napoli nella seconda guerra mondiale). La “vocazione imperiale” della città si respirava dunque nel porto denso di traffico per i carichi di uomini e materiali diretti nelle colonie.
Pure il mondo culturale fu pervaso da questa febbre d’Africa. Pensiamo all’Istituto Universitario Orientale ed alla Società Africana d’Italia, con sede proprio a Napoli. Il primo, a partire dal 1937, istituì un corso di laurea in scienze coloniali, la seconda organizzò il primo raduno dei combattenti delle campagne d’Africa nel 1934.
Questo ruolo “africano” sarebbe però stato anche quello che avrebbe portato ai 101 drammatici bombardamenti alleati.
Autore articolo: Angelo D’Ambra