Onorato Caetani alla Battaglia di Lepanto

Quella che segue è la lettera che il condottiero Onorato Caetani scrisse al cardinale di Sermoneta contenente la relazione della Battaglia di Lepanto cui aveva preso parte sulla galera Grifone (M. A. Caetani, Lettere di Onorato Caetani).

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Credo che già V. S. Illma abbia intesa la nuova della vittoria che alli sette di questo piacque alla bontà e misericordia di nostro Signore Dio darci contra l’armata nemica, la quale fu tanto grande, che non credo sia forse mai stata a tempo de’Cristiani per mare: e per scriverne tutte le particolarità a V.S. Illma non mi basta l’animo, ma venendo il signor Romagas mandato dal signor Marcantonio a Sua Santità, da lui s’intenderanno tutti i particolari. Solo li dirò che essendo nata qualche difficoltà, dopo che fummo alla Cefalonia, di andare più avanti, parendo che secondo gli avvisi che vi erano dell’armata, non fosse per uscire a combattere, e l’andata nostra fosse frustratoria, e che era meglio tornare indietro ed andare a fare l’impresa di Castelnovo, essendo di questo parere quasi tutto il consiglio di Sua Altezza, essendosene venuto a farsene la risoluzione dalli tre Generali, ed il Veneziano domandando questa grazia, che si andasse alle bocche di Lepanto a presentar la battaglia, e non accettandola l’inimico, ce ne andassimo a fare altra impresa, e condiscendendoci il Sig. Marcantonio, allegando che non ci era nostra riputazione, se non si andava a presentar questa giornata. Il Serenissimo Sig. D. Giovanni che sempre avea avuto questo animo, molto volentieri ci condiscese. In questo mezzo gl’inimici avendo avuta nuova della nostra venuta per via di Caracozza, che stette una notte nella nostra armata e prese due spagnoli, avendo presi quattromila Spachi freschi a Lepanto, e fatto tornar gente fresca con Lucciali da Modone,con tutti li sessanta vascelli, il sabato a notte che furono li sei, verso le sette si partirono da Lepanto per venirci a trovare, e noi similmente il sabato alla medesima ora partimmo dalla Cefalonia alla volta di Lepanto. La mattina all’alba fummo alle Cocciolane, isole tra la Cefalonia e Lepanto, essendo il tempo bonissimo ed il mare in calma, cosa grande di questi tempi, e veramente miracolo di nostro Signore, per darci una vittoria. Allo spuntar del sole che fu a un’ora di giorno, la nostra antiguardia scoperse l’armata turchesca, e la loro scorta la nostra. Come fummo fuora dalle isole il Sig. Don Giovanni fece il segno che tutti ci mettessimo in battaglia, e perchè il Canale dove si passava tra le isole era stretto, nè potevano venire molte galere insieme, si tardò tre ore, e i nemici similmente si misero in battaglia tutti in fila, e vedendo che noi tardavamo assai a comparire, e poi il corno destro dovè il Signor Giovanni Andrea tirarsi assai fuori in mare per mettersi in battaglia, si credettero che noi ci mettessimo in fuga, ed il Bascia tirò una cannonata in segno di battaglia, alla quale Sua Altezza subito rispose con un’altra, e tutto in un tempo alzò lo stendardo della lega, benedetto da Sua Santità, ed il Signor Marcantonio similmente inalberò il suo, benedetto similmente da nostro Signore, alli quali tutti dell’armata inginocchiandosi, fu fatto orazione e dalli Padri Cappuccini facendosi in tutte galere la confessione generale, fu subito cominciato a suonar tutte le trombette e tamburri dell’armata, e gridar: vittoria e viva JESU CRISTO: ed andando così allegramente ad incontrarli, il Bascià essendo lontani tre miglia tirò un’altra cannonata, alla quale il Sig. Don Giovanni rispose, e mandando le sei galeazze innanzi mezzo miglio dalle galere sottili, due che coprivano la squadra della battaglia e due che coprivano il corno destro e due il sinistro, essendosi avvicinate agl’inimici a giusto tiro, cominciarono a tirar verso gl’inimici così terribilmente che in un subito affondarono tre galere, e furono forzate a ristringersi in tre troppe, e levarsi dall’ordine della fila della battaglia, e così a voga arrancata, si risolsero a vemirci ad investire. La capitana del Bascià di mare che portava tre fanali venne diritto a trovar la capitana del Papa, ma poi accorgendosi della reale del Signor Don Giovanni, s’investirono insieme prua per prua, e la capitana del Papa investì quella del Turco al fogone, e l’altra capitana del Turco dove era il Bascià di terra investì quella del Papa allo schifo. Alla volta mia venne Caracozza e Dalì, capitani tutti due di galere di corsari famosi, ed alla Capitana di Savoja dove era il principe di Urbino investì un altro fanale: Dalì si abbordò con me alla prua e Caracozza al focone, e così ogni galera si abbordò con la sua, e fu tanto il rumore delle cannonate nel principio, che non si potrà mai immaginare, nè scrivere, ed in questo si vide miracolosamente la gran bontà e misericordia di nostro Signore, che tutte le cannonate turchesche andarono vuote in aria, senza far danno nessuno: e questo avvenne chè tirarono assai di lontano, e i nostri cannoni non furono sparati, se non dopo che fummo abbordati, e tutte le nostre botte fecero grandissimo danno agli inimici. Loro cominciarono con li loro gridi, archibugi e frezze a fare un gran impeto, al quale essendosi resistito, li furono tutto in un tempo da tutti noi, che avevamo lassato passare la lor prima furia, sparato addosso da quarantamila archibugiate, che ne fece una mortalità grandissima, e tutto in un tempo essendosi di nuovo tornato a farli il medesimo saluto, e di continuo sparandoli addosso le nostre artiglierie, delle quali ne avevamo maggior numero, si cominciò a vedere, di poi l’essersi combattuto tre ore, la vittoria piegare alla volta nostra, e tanto più essendo il marchese di Santacroce arrivato con le trentasei galere di soccorso, le quali finirono a dichiarar la vittoria. Io innanzi l’arrivo del soccorso aveva guadagnato le galere che combatterono con me, che fu quella di Caracozza e di Dalì: quella di Dalì con la mia solo, e quella di Caracozza con l’ajuto di una galera veneziana, chiamata la Loredana. Caracozza l’ammazzò Giambattista Contusio con una archibugiata, e nell’una e nell’altra non restarono se non sei Turchi vivi. La galera reale e quella di Sua Santità pigliarono quella del Bascià, il quale fu morto e guadagnato lo stendardo del Turco: la galera del Bascià di terra la guadagnò il sig. Paolo Giordano e una veneziana insieme. Il signor Principe di Parma, una galeotta di ventidue banchi, ed il signor Principe di Urbino un’altra; e così ogni galera si pigliò la sua. La capitana di Venezia pigliò un fanale ed una galeotta. Nella galera reale son morti infiniti uomini, e nella galera del Papa da settanta. Sua Altezza si è portato animosissimo, e non degenere dal suo invitto valoroso padre. Le galere prese sono da centocinquanta, e da quaranta affondate ed abbrugiate. Tutti li corsari ed uomini famosi sono morti. Li signori Veneziani hanno combattuto miracolosamente, e li loro scapoli e remieri di buonavoglia hanno combattuto così bene, come qualsivoglia soldato, e sopra tutto con l’artiglieria hanno fatto danno notabile. Il clarissimo Agostino Barbarico con la squadra del corno sinistro che era di cinquantasei galere veneziane, avendo combattuto con cinquantasei galere nemiche, ne ha preso cinquantaquattro: e di qua si può conoscere se Veneziani in mare combattono. Lui con diciotto gentiluomini veneziani capitani di galere è morto felicemente in servizio di nostro Signore Dio, ed acquistando così segnalata vittoria alla sua patria. Il corno destro dove era il signor Gio. Andrea fu investito da Lucciali, ed ha patito assai, ed ha disarmato alcuna nostra galera: il che vedendo Sua Altezza, dopo che noi avemmo guadagnato la battaglia, se ne andò a quella volta insieme con la capitana di Sua Santità, ed io vedendolo andare a quella volta, lasciai le galere che io aveva prese e remburchiava, per andare a soccorrere a quella banda, dove pareva bisogno, e così alcune galere veneziane che venivano addietro, montarono sopra quelle galere prese da me, e vi a fecero un grandissimo bottino, che questi due corsari erano ricchissimi. Io non me ne sono curato, che non sono venuto qua per rubare, ma per combattere e servire a nostro Signore. Come ho detto di sopra m’inviai al soccorso del corno destro, e trovai che la Fiorenza era malissimo trattata da una galera e sei galeotte, e già erano morti il capitano della galera, ed il capitano Giammaria Puccini, con tutti li suoi soldati. M’inviai a quella volta insieme con la capitana di Savoja, e così vedendoci gl’inimici, tutti fuggirono, e Lucciali se ne andò con circa cinquanta galere, le quali seguitate da noi, buona parte investì in terra, e fuggendo gli uomini lassorno li vascelli, quali sono stati tutti affondati ed abbrugiati dai Veneziani. Di duecentoquaranta vascelli che era l’armata nemica non se ne sono salvati più di cinquanta: devono esserci morti venticinquemila Turchi: delli nostri credo ne sieno morti da tremila, feriti da ottomila. Della mia galera, di quelli che V. S. Illma conosce non è morto se non il povero capitano Tullio da Velletri d’una archibugiata nella gola, combattendo animosamente. Giambattista Contusio è ferito in un braccio, ed in una coscia di poca importanza di una frezza e di sassate. Vitale in un piede, non è niente; Adriano del sig. D. Virgilio in una gamba, ed il sig. Paolo parente del Commentatore Durante, due frezzate in un braccio; il segretario una frezzata in un dito. Io ebbi due archibugiate, una alla celata che venne tanto fiacca che appena ammaccò poco il ferro, l’altra nel petto che era a botta, nelle braccia ebbi tre frezzate, ma le maniche che V. S. Illma mi donò, tutte le ritennero. La galera Toscana dove va il capitan Ruggero, ha presa quella galera che fu capitana del Papa, che fu persa alle Gerbe con assai buon bottino, e li suoi soldati si sono portati assai bene. La galera Elbicina dove va il cavalier Giglio, parente del sig. Giustiniano, ha presa la capitana di Rodi con guadagno; ed in somma tutte le galere di Sua Santità hanno prese galere, eccetto la Fiorenza alla quale, per il troppo ardire e di volere andar troppo innanzi e uscire dall’ordine della battaglia, gli è successo questo disastro. Noi semo qua nel porto delle Fighere, dove si farà la rassegna; ma credo ci troveremo tanti feriti che non andremo avanti verso Costantinopoli, come si pensava di fare, non avendo vittuaglia, se non per un mese, nè potendo svernar fuori. Credo ce ne torneremo in Golfo a pigliarla Velona, Durazzo e Castelnovo, e quanti luoghi ha da quella banda il Turco, e a tempo nuovo essere a buon’ora e andarsene a far ciò che si vorrà; poichè quanto ha per mare, senza alcun dubbio, questo Cane ha perso. Del tutto ne dovremo rendere infinite grazie a Nostro Signore, dalla mano del quale dovremo tener questa tanto gran vittoria, che si è degnata concedere a tutta la Cristianità, e di dar questa soddisfazione a Sua Santità, le sante orazioni del quale le è piaciuto esaudire.

Dal porto delle Fighere alli 9 di Ottobre 1571.

Scrivo una lettera a Sua Santità per il signor Romagas, rallegrandomi della vittoria, e rimettendo ad esso signore ecc. La capitana di Sua Santità pigliò due galere, ed il sig. Marcantonio avendo avuto infinite frezze addosso non è restato ferito.

 

 

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