Paolo III ad Orvieto

Canti, musiche, sculture accolsero Alessandro Farnese ad Orvieto nel 1536. La città non stava accogliendo un semplice cardinale. Due anni prima Alessandro era salito al soglio pontificio col nome di Paolo III, era dunque un papa quello che Orvieto doveva ospitare, ma c’era anche qualcosa in più da prendere in considerazione…

Nella sua storia di Orvieto Cipriano Manente riferisce che “nel detto anno, di settembre papa Paolo terzo fu in Orvieto con usa corte, et fece levar il coro di tarsia della chiesa di s. Maria, che stava in mezzo alla chiesa, et porre in capo di quella dietro l’altar maggiore: et fu in questo tempo da maestro Raffaello fiorentino, scultore eccellente, rilevato la Maestà della Resurrezione marmorea nella detta chiesa, et scolpito le figure delli Maggi, et presepio per la fabrica; la lassita fatta del castello della Scala da henrico de Monaldeschi della vipera a detta fabrica, lavorate da Simon Mosca fiorentino, che fu poco dopo tal’opera compita felicemente con altre degne opere di scultura, come di pittura, che sono di grande ornamento e devotione, et molto più si faria, se l’intrate di detta fabrica fussero meglio rette et governate”.

Maggiori dettagli appaiono in una lettera di Paolo Gualtieri a Biagio Pallai. Vi sono descritti tutti gli addobbi, le decorazioni, i giochi di fuoco curati da Antonio Sangallo, proclamato da Paolo III architetto di tutte le fabbriche pontificie: “L’entrata in Orvieto è stata la più bella che papa Paulo habbi ancor fatta mercè di questi homini che son sempre stati affeezionatissimi a la Sede Apostolica. Havevano fatto sopra la porta un bell’arco con diverse iscrittioni. Il disegno è di maestro Antonio di s. Gallo: quale habita quì. Alla piazza erano due pilastri sopra uno dei quali era la città di Orvieto in forma di un masso di tufo come è; sopra l’altro era un giglio grande, quale all’arrivare del papa se aperse, e vi era drento un putto armato all’antica, e recità certi versi. L’uno, et l’altro pilastro haveva diverse iscritioni. Al canto del moro era un arbero con diversi rami, sopra i quali molti putti con diversi strumenti, che suonavano e cantavano altri versi. La strada era tutta coperta di panni lani, et in diversi luoghi erano diversi altari con profumi, et panni d’arazzi; e le finestre eran tutte piene di donne, per le strade d’uomini con lunghe processioni di putti con rami di oliva, et di frati di diversi ordini, e colori, et preti col suo vescovo. Il Vescovado eram olto bene apparato, et in mezzo vi era una girandola piena di diverse bocche di fuoco, la qual cominciò a ardere subito che S. S. hebbe datal a benedeizione,  et durò un buon pezzo, et sarebbe lungo il dire le diverse maniere di bocche di fuoco, che vi erano, alcune giravano, alcune andavano in alto, alcune in traverso, alcune in su, alcune in giù, alcune soffiavano forte, et nell’ultimo drento la girandola si viddeno quattro draghi, sopra li quali cavalcavano 4 furie infernali, o vogliamo dire diavoli buttar per le narici, e per certe trombe, che tenevano in mano i cavalcanti gran giamme di fuoco, e moveansi quasi avessero a urtar, e dar di petto l’un l’altro; il che fu più bello e mirabile a vedere, qui finì la festa. Noi siamo alloggiati in casa di un Gianbattista Pace assai bene, et saremo qui tutta domenica. Lunedì anderemo ad Acquapendente, et seguiremo il cammino del ritorno per il stato… Da Orvieto a dì 21 di settembre 1536”.

Quello che urge precisare è che la famiglia Farnese era ascritta al patriziato di Orvieto e queste celebrazioni si caricarono quindi di altri significati. Non è sbagliato pensare che tanto sfarzo fosse una manifestazione d’omaggio al potere terreno della famiglia, più che al pontefice in sè. Dal canto suo Paolo III lasciò non pochi segni in città, di essi ricordiamo la decorazione col giglio farnesiano del pavimento dell’area occupata dal coro.

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

Bibliografia: Tutto l’ordine e apparato della festa fatta in Orvieto per la venuta di Papa Paulo Terzo, l’anno 1563, estratto da il Buonarroti, 1866.

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