Papato e Impero: l’ultimo scontro
La morte a Lavello nelle Puglie, il 21 maggio 1254, di Corrado IV di Svevia, ultimo figlio legittimo di Federico II, segna di fatto la fine dell’unione di Italia e Germania nel Sacro Romano Impero della nazione germanica, unione che aveva avuto inizio con l’incoronazione a imperatore di Ottone I di Sassonia nel lontano 962.
La lotta feroce tra papato e la casa di Hohenstaufen sarebbe proseguita per altri quattordici anni, reclamando le vite di Manfredi e di Corradino, ma nei fatti sarebbe stata una storia tutta italiana, e si sarebbe conclusa con l’instaurazione di una dinastia francese nel mezzogiorno strettamente legata al papato stesso, che, quale unico sopravvissuto, avrebbe potuto disfare la costruzione statale di Federico II rimpiazzandola con uno Stato della Chiesa ora florido e un primato indiscusso nella penisola. Ma tutto ciò fu reso possibile, oltre che dalla mancanza di successori immediati a Corrado IV, dalla inconsistenza dell’altro grande attore nella lotta tra papato e impero, vale a dire il Regno di Germania. La forza politica e militare che era stata alla base della monarchia degli Ottoni, dei Salii e dei primi Svevi, era precipitosamente scemata dopo il fallimento del tentativo di rendere la monarchia ereditaria da parte di Enrico VI, la guerra civile tra Filippo di Svevia e Ottone di Brünswick e la politica, da molti giudicata dissennata, di Federico II di alienare sistematicamente le proprietà e i diritti regi alla feudalità per garantirsi pace oltre le Alpi e mano libera in Italia. In questo vuoto politico il papato pretese di arrogarsi il diritto di accettare o meno, quando non di scegliere tout court, il nuovo re tedesco, mentre i principi laici ed ecclesiastici subordinarono la scelta di un nuovo sovrano alla raccolta di liberalità, danaro e prebende dai possibili candidati, badando bene a evitare il rischio di ridurre la propria autonomia. Il periodo 1254-1273, noto come Grande Interregno, non vide alcun sovrano universalmente riconosciuto come tale in Germania: chi andò più vicino a tale obiettivo fu Riccardo di Cornovaglia, fratello di Enrico III d’Inghilterra, che spese denaro a piene mani ma alla fine rinunciò. La situazione interna del paese degenerò al punto che apparve chiaro anche ai principi la possibilità concreta per qualcuno di particolarmente risoluto di ampliare con le buone e le cattive i propri possedimenti sino ad acquisire una posizione di forza non più controllabile. Chi si avvicinò di più a questo obiettivo fu il re di Boemia, Ottokar II, e la sua acquisizione di territori spinse infine i principi tedeschi nel 1273 ad eleggere concordemente un re. Ma mentre nell’antico impero il re eletto primeggiava tra i principi per forza e potere ora si cercò qualcuno senza la forza necessaria per minacciare le autonomie principesche. Il nuovo re doveva essere gradito, accondiscendente verso i principi, non troppo forte e soprattutto non troppo invadente. Se poi fosse stato gradito dal papa sarebbe stato anche meglio. Venne trovato in un nobile della Svevia, il conte Rodolfo IV d’Asburgo, che fu eletto concordemente e che rispose completamente a tutte le aspettative. Con la forza e la diplomazia sventò le velleità del re di Boemia (che ci rimise le penne), svolse egregiamente il proprio compito reale nella composizione di dispute minori tra principi, istituzioni ecclesiastiche, cavalieri e città e non si urtò con il papa. Manifestò si il desiderio di essere incoronato imperatore ma in realtà lasciò cadere la cosa, non minacciando così la politica pontificia in Italia. Ma cosa più importante, utilizzò il potere regio per accrescere il patrimonio e le fortune della propria casata, riuscendovi peraltro in modo più che egregio. In tal modo inaugurò quello che fu il carattere distintivo della monarchia tedesca tardo-medievale. Il trono veniva cercato non per realizzare universalistici programmi politici, per restaurare il potere regio o altri obiettivi simili: esso era in primo luogo il mezzo per realizzare la crescita del patrimonio dinastico e la fortuna della dinastia.
Nello stesso periodo il papato, sconfitti gli Hohenstaufen, vedeva crescere enormemente il proprio potere temporale in Italia, ora minacciato unicamente dalla resistenza di quelle signorie e quella nobiltà che si dissero ghibelline in quanto non tanto sostenitrici di un monarca che non esisteva ma oppositori delle pretese pontificie di dominazione politica sulla penisola, direttamente ovvero per l’interposta persona della dinastia angioina di Napoli. Ma non solo. Questo papato affermava ora direttamente la subordinazione del re tedesco, imperatore “in pectore”, alla propria autorità reclamando la pretesa di confermare o meno il sovrano scelto dai principi e di amministrare direttamente l’impero in sua assenza. Due secoli e mezzo erano passati da quando Enrico III deponeva i papi: la strada aperta da Gregorio VII con il “Dictatus papae” aveva portato ad una completa inversione dei ruoli.
I successori di Rodolfo, morto nel 1291, proseguirono su questa strada, litigando violentemente tra loro. L’assassinio per ragioni private, nel 1308, di re Alberto I, figlio di Rodolfo, portò nuovamente all’elezione di un nobile minore, il conte Enrico IV di Lussemburgo, che assunse il nome di Enrico VII e che, pur non trascurando gli interessi famigliari, manifestò seriamente l’intenzione di tornare a interessarsi delle cose italiane. Questo preoccupò tremendamente il papato che proprio in quegli anni si era ulteriormente “francesizzato” trasferendo la propria sede da Roma ad Avignone. Enrico scese in Italia con il proposito di ottenere l’incoronazione imperiale ma altresì di restaurare i diritti dell’impero, che erano peraltro carichi di contenuti, soprattutto economici, su cui il papato aveva sovente messo le mani. Tuttavia Enrico non potè godere di grandi appoggi dalla nobiltà tedesca e dovette appoggiarsi in larga parte sui ghibellini italiani, che lo accolsero con entusiasmo e gli fornirono aiuti importanti. Pur ottenendo l’incoronazione imperiale si pose in breve in rotta di collisione con gli Angioini e con il papato, uno scontro violento venendo evitato solo dalla morte precoce e inattesa dell’imperatore, avvenuta a Buonconvento presso Siena il 24 agosto 1313.
La morte del re portò in Germania ad un conflitto e ad una doppia elezione, con alcuni principi sostenitori del duca Federico d’Austria, detto il Bello, figlio di re Alberto I e altri, più vicini alla cerchia del defunto re, e guidati dall’Arcivescovo di Treviri, Baldovino di Lussemburgo, che non potendo sostenere il troppo giovane figlio di Enrico orientarono la loro scelta su un membro della casa di Wittelsbach, Ludovico IV, duca dell’Alta Baviera dal 1294, che sarebbe passato alla storia come Ludovico il Bavaro. Nell’ottobre 1314 intorno a Francoforte si ebbero due elezioni contemporanee e contestate, e poco dopo si ebbero due incoronazioni, ad Aquisgrana e a Bonn. Tra i due pretendenti seguì una guerra, che durò parecchi anni, e che in realtà interessò solo i principi della Renania e della Germania meridionale. Alla fine vinse Ludovico, che il 28 settembre 1322 sconfisse il rivale nella battaglia di Mühldorf e lo prese prigioniero. La contesa tra i due fu praticamente risolta e di fatto Federico accettò di buon grado la sconfitta, venendo trattato con grande magnanimità da Ludovico. Il nuovo re era mosso nelle sue motivazioni, come ormai consueto, dal desiderio di ingrandire il patrimonio famigliare dei Wittelsbach. E a ciò si dedicò immediatamente, infeudando il proprio figlio maggiore Ludovico con la grande marca di Brandeburgo, che era ricaduta all’impero a seguito dell’estinzione nel 1320 della dinastia degli 30. Ludovico tuttavia fu immediatamente distratto in questa fruttuosa attività da un improvviso, violentissimo intervento pontificio che costrinse questo principe, probabilmente contro voglia, a svolgere seriamente il proprio ruolo di re di Germania e imperatore.
Sedeva sul trono di Pietro ad Avignone, papa Giovanni XXII, un già anziano francese determinato e collerico deciso da tempo a stabilire una ferrea autorità pontificia in Italia quando non addirittura a cancellare le ultime vestigia del vecchio Sacro Romano Impero, abolendolo pure anche formalmente. Il papa aveva intrapreso una dura lotta armata contro i signori ghibellini dell’Italia settentrionale, Matteo Visconti di Milano, Cangrande della Scala di Verona e Passerino Bonacolsi di Mantova proclamando contro di loro nientemeno che una crociata. In Germania nella lotta tra Ludovico e Federico si era mantenuto rigorosamente neutrale anche se già dal 1317 aveva rivendicato il diritto a scegliere il re e ad amministrare l’Italia “vacante imperio”, diffidando i due contendenti dal nominare vicari imperiali in Italia, cosa che entrambi peraltro avevano fatto senza attribuirvi particolare importanza. Quando nel 1323 il vicario di Ludovico, Bertoldo di Neiffen, in opposizione al legato papale, apparve in Lombardia impedendo la deposizione di Cangrande della Scala a Verona e soccorrendo Milano il papa reagì con violenza. Prima promulgò una bolla in cui asseriva il proprio diritto di giudicare le elezioni imperiali, poi, il 23 marzo 1324 scomunicò senz’altro Ludovico, liberando i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà e chiamandolo ad Avignone a giustificarsi. La reazione della Germania tutta, tanto laica quanto ecclesiastica, e di Ludovico fu di incredulità ma, contrariamente alle aspettative del papa, non di sottomissione. Pochi diedero corso agli effetti della scomunica, se non in alcune diocesi della Renania, e Ludovico reagì con l’appello di Sachsenhausen del maggio ove il papa veniva denunciato come un sanguinario, amico dell’ingiustizia e nemico dell’impero, venendo negato qualunque diritto al papa di partecipare alla scelta del re di Germania.
Da allora in poi gli avvenimenti si successero frenetici e l’Europa restò attonita. I ghibellini italiani si eccitarono, guidati com’erano da capitani militari di prima qualità e ripresero le ostilità contro i legati papali e i loro rinforzi angioini. Molti principi tedeschi si strinsero attorno a Ludovico e coloro che potevano essere i suoi più accesi oppositori, gli Asburgo e Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia (irritato con Ludovico per la storia del Brandeburgo), prudentemente si astennero. La contesa si allargò in breve dal campo politico a quello prettamente ecclesiastico, con Ludovico che appoggiò decisamente i Francescani spirituali che sotto il generale dell’ordine Michele da Cesena si opponevano al papa. Da Ludovico accorsero alcuni tra i più grandi intellettuali e pensatori del tempo, quali Marsilio da Padova, Guglielmo di Occam e Giovanni di Jandun, tutti in diretta opposizione al dispotico pontefice. Ludovico, sovrano con ben pochi mezzi a casa sua, decise di scendere in Italia, con l’obiettivo dichiarato di riasserire i diritti imperiali, di trarne beneficio economico e di ottenere in un modo o nell’altro l’incoronazione a Roma. Iniziata a Trento nel gennaio 1327 quasi per caso, con il re accompagnato da meno di 2000 cavalieri, la discesa in Italia si trasformò in marcia trionfale, con le città ghibelline che gli aprivano le porte fornendo al re uomini e denaro. Sola la resistenza poteva venire dalla guelfa Firenze e soprattutto da re Roberto di Napoli. Nel gennaio 1328 Ludovico entrò in Roma, accompagnato soprattutto dai ghibellini italiani. Pochi principi tedeschi erano con lui, e nessun vescovo. Se l’offensiva di Giovanni XXII in Germania destava rabbia, la reazione di Ludovico non destava entusiasmo. In Roma il re sconvolse l’ordine costituito accettando la corona imperiale non dai rappresentanti pontifici ma dal popolo romano stesso, e fu il famoso Sciarra Colonna, l’autore dello schiaffo di Anagni, a porgliela sul capo in Campidoglio. Giovanni XXII reagì proclamando una crociata contro il re scomunicato, Ludovico proclamando il papa deposto e nominando un antipapa nella persona del francescano Pietro da Corvara, che assunse il nome di Niccolò V. Re Roberto di Napoli si preparò alla guerra contro Ludovico che ottenne l’appoggio di re Federico III di Sicilia ma perse un grande sostenitore, il signore di Lucca Castruccio Castracani. Ma nulla se ne fece perché Ludovico intraprese la strada del ritorno, badando soprattutto ad ottenere contribuzioni. In tal modo anche i signori ghibellini del nord, primi fra tutti i Visconti iniziarono a opporsi al re che nel 1330 era di nuovo oltre le Alpi, mentre il suo antipapa senza fortuna si sottometteva a Giovanni XXII.
Una volta rientrato in Germania, Ludovico, senza mollare nulla in termini di riconoscimento delle pretese papali, riprese l’attività che più gli stava a cuore, quella dell’accrescimento territoriale a favore dei Wittelsbach, e in tale attività ottenne dei notevoli successi portando alla famiglia il Tirolo e le contee principali dei Paesi Bassi. Svolse inoltre un’intensa attività diplomatica, stringendo alleanza con il re d’Inghilterra Edoardo III contro la Francia, che rimaneva il maggiore sostegno politico del papato avignonese. Morto Giovanni XXII nel 1334 i suoi successori Benedetto XII (1334-1342) e Clemente VI (1342-1352) continuarono a cercare di ottenere la sottomissione del re, ma invano. Anzi ottennero l’effetto opposto spingendo i principi tedeschi, laici ed ecclesiastici, alla famosa dichiarazione di Rhens del 16 luglio 1338 con cui i sei elettori di Colonia, Magonza, Treviri, Sassonia, Brandeburgo e Palatinato affermarono solennemente che l’elezione da parte dei principi elettori avrebbe automaticamente conferito la dignità reale e imperiale, senza alcuna necessità di conferma papale. Solo non presente a Rhens fu il re di Boemia, che negli anni successivi accettò di appoggiare le pretese papali ottenendo da alcuni degli stessi principi elettori la corona per il figlio Carlo, futuro imperatore Carlo IV, in opposizione a Ludovico. La lotta che si generò tra i due volse quasi subito a favore del Bavaro il quale tuttavia morì inaspettatamente di colpo apoplettico presso Monaco l’11 ottobre 1347. Carlo a quel punto fu accettato come re da tutti con poche difficoltà e l’ultima contesa tra papato e impero potè considerarsi terminata. Ludovico lasciò ai suoi eredi dei territori sterminati ma essi furono talmente litigiosi e incapaci che nel giro di 50 anni dalla sua morte i Wittelsbach erano regrediti a quello di dinastia minore rispetto agli Asburgo o ai Lussemburgo.
Questa vicenda, quasi sconosciuta alla grande storia del Medioevo, è stata variamente considerata. Ferdinand Gregorovius la considerò “una assolutamente insopportabile caricatura di un grande passato” mentre Albert Hauck, il grande storico della Chiesa tedesca, scrisse che fu su Ludovico il Bavaro che si infransero le pretese pontificie di dominio politico universale. Certo è che da allora il papato perse nei fatti qualunque prestigio politico al di fuori della penisola italiana, dove lo mantenne unicamente quale principe territoriale. L’impero, pur restando un nano politico, restò tuttavia vivo, e continuò ad essere un punto di riferimento in Germania e in Italia per la definizione di diritti e controversie sino alla Rivoluzione Francese.
Autore articolo: Valerio Lucchinetti, laureato in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi di Milano con tesi di storia economica sui mercati granari in Lombardia nel XVIII secolo. Attivo professionalmente nel settore della gestione di portafogli azionari è appassionato di storia, con preferenza per il Medio Evo e l’età moderna sino alla Rivoluzione Francese.
Fonti: Bury, John W. (ed.); The Cambridge Medieval History, voll. 6 & 7, Cambridge, 1929-1932; Housley, Norman; The Italian Crusades. The Papal-Angevin Alliance and the Crusades against Christian Lay Powers, 1254-1343, Oxford, 1982; Offler, Hilary S.; Empire and Papacy: The Last Struggle in “Transactions of the Royal Historical Society”, 1956