Pesaro nei tumulti patriottici

Sconfitto il comandante pontificio Ancarani a Faenza, Napoleone entrò a Pesaro.

Monsignor Ferdinando Maria Salluzzo era fuggito senza predisporre ordini. L’occupazione militare durò quattro anni durante  i quali i francesi distrussero numerose opere d’arte, compresa la statua eretta in onore di Urbano VIII, abrasero gli antichi stemmi gentilizi e portarono via dalle chiese e dai palazzi innumerevoli quadri tra i quali quelli del Barocci, del Veronese e del Giambellino. I francesi abolirono pure gli statuti municipali ed i titoli nobiliari, organizzando Pesaro come una repubblica.

Il 19 febbraio del 1797, la Pace di Tolentino ridiede la città al Papa ma Monsignor Salluzzo non fece in tempo a rientrare che una rivolta lo costrinse ad una seconda fuga. A fine anno, infatti, seguendo l’esempio di Ancona che si era proclamata repubblica, la Pesaro insorse e, disarmata la gendarmeria papalina, innalzò di nuovo l’albero della liberà unendosi alla Repubblica Cisalpina. Nella notte tra il 21 ed il 22 dicembre i rivoltosi aprirono le porte ad un corpo di Truppe Cisalpine guidate dal generale Lechi.

Dopo la sconfitta subita dai francesi sul Reno nel 1799, si fece però più forte la reazione con bande di contadini che riuscirono anche ad occupare la città scacciandone il comandante Mestre. La controrivoluzione, foraggiata dalla flotta imperiale comandata dal maggiore Tommaso Potts, ebbe successo grazie all’intrapredenza dei contadini accorsi dalle campagne. Costoro salirono sulla cinta muraria cittadina e riuscirono ad avere la meglio delle Truppe Cisalpine. Resarono padroni di Pesaro mentre i filofrancesi si rinchiusero nella fortezza per poi fuggire a Fano. Il nuovo governo, respingendo anche diversi assalti dell’armata francese, prese il nome di Governo Regio Cesareo Provvisorio e rimase in vita fino al 1800 quando la Santa Sede, accordatasi col generale napoleonico Le Suire, riprese ufficialmente possesso della città inviando, quale suo rappresentante, il cardinale Cacciapiatti.

Otto anni dopo Pesaro fu nuovamente occupata dai francesi ed unita al Regno d’Italia. Nella mattina dell’11 maggio del 1808, infatti, fu pubblicato a Pesaro un decreto col quale Napoleone, proclamatosi re d’Italia, aggregava la città al regno. Dopo poche ore il generale Jullien prese possesso della piazza. Nel giugno di quell’anno entrò in vigore il Codice Napoleonico e mutò l’intero ordinamento municipale. Pesaro fu occupata da Murat nel 1814, nel suo vano e confuso tentativo di dare attuare l’unità annunciata col Proclama di Rimini, per poi essere riconsegna al Papa dopo la sua sconfitta.

 

Pesaro apparve una città turbolenta e di nuovo nel 1831 si ribellò destinandosi al governo delle Provincie Unite Italiane con sede a Bologna. Il 17 marzo di quell’anno, gli austriaci guidati dal generale Frimont riportarono l’ordine, ma ormai le idee liberali ed unitarie avevano messo profonde radici e nel 1848 una seconda spedizione austriaca dovette tacitare i tumulti liberali. I dissensi erano anche il frutto di una costante crisi economica che attanagliava manifatture e commerci. Il porto era in condizioni pietose, soggetto a frequenti interramenti.

Mancava ormai poco alla fine del dominio temporale del Pontefice. Dieci anni dopo, il Piemonte dichiarò guerra all’Austria e nuovamente a Pesaro divampò lo spirito patriottico. Il generale pontificio Bellà promise di andarsene spontaneamente, ma, a tradimento, chiamò in soccorso la guardia svizzera dislocata a Rimini e soffocò sul nascere la ribellione.

L’agognata libertà giunse l’11 settembre del 1860 col generale Cialdini che sconfisse e fece prigioniero Tancredi Bellà. L’esercito piemontese si fermò a Pesaro per recuperare ordine e forze permettendo però ai pontifici del Kanzler di ritirarsi in Ancona e rimandando la vittoria finale a Castelfidardo, il 18 settembre.

Il plebiscito indetto il 4 novembre di quell’anno ufficializzò l’entrata di Pesaro nel Regno d’Italia.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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