Premesse napoleoniche al Risorgimento

L’irruzione di Napoleone in Italia nel 1796 e le sue vittorie sugli austriaci suscitano gli entusiasmi oltre che del poeta Foscolo anche di un gruppo di intellettuali che si riunivano attorno al giornale “Il Monitore Italiano”: questi utopisti di formazione prevalentemente giuridico-letteraria sognavano una Italia unita e l’albero della libertà piantato in Campidoglio.

Napoleone vede in loro dei possibili collaboratori per il suo governo di occupazione, ma tra le ambizioni personali del giovane generale vi è anche quella di “rigenerare” l’Italia (che, sia detto per inciso, prima di Napoleone non era affatto libera ma frammentata in poteri dinastici assolutisti, in larga parte dipendenti dall’estero).

La storia è sempre un chiaroscuro: all’appello di Napoleone affinché gli italiani si liberino dal giogo della tirannia, corrisponde la dura realtà di una occupazione che per volontà del Direttorio di Parigi procedeva con una rapace riscossione di tributi, con la spoliazione sistematica di opere d’arte.

La posizione di Napoleone non era però del tutto sovrapponibile a quella del Direttorio: il governo oligarchico francese escludeva che l’Italia potesse essere riorganizzata politicamente in unità più ampie; proprio questa riorganizzazione invece viene favorita Bonaparte.

L’accoglienza trionfale che Milano gli tributa dopo il ritiro degli austriaci non era solo espressione della secolare tendenza degli italiani ad ingraziarsi il dominatore di turno, ma manifestava una inedita elettricità che era nell’aria, l’attesa di un cambiamento possibile. Attesa peraltro non passiva: a Milano nascono “Il Giornale dei Patrioti” e il “Termometro Politico”, giornali in cui si dibatte animatamente di riforme, democrazia, di Italia unita.

Il 16 ottobre del 1796 le delegazioni di Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara si riuniscono in congresso e proclamano la Repubblica Cispadana sventolando quel Tricolore che già era emerso come simbolo della Legione Lombarda: il corpo di volontari che a Milano affiancava l’Armée d’Italie.

Immediatamente i congressisti emiliani invitano i lombardi ad unirsi alla Repubblica. Il Direttorio pone il veto a questi accorpamenti, ma sarà proprio Napoleone nel 1797 a proclamare la Repubblica Cisalpina che includeva Lombardia ed Emilia: nasceva una repubblica direttoriale di tre milioni e mezzo di abitanti nell’area più ricca della penisola, destinata poi a diventare Repubblica Italiana, con Napoleone presidente.

Emergono da questi avvenimenti convulsi e spesso contraddittori gli elementi fondamentali che poi segneranno l’avventura risorgimentale: sventola per la prima volta la bandiera tricolore nella versione italiana verde, bianca e rossa; l’improvvisato esercito della repubblica cispadana prende il nome di “Legione Italiana” come si chiamerà poi il corpo dei volontari che seguiranno Garibaldi nelle sue battaglie in Paraguay.

Nel 1798, con la deposizione del potere temporale del Papa, prende forma la Repubblica Romana e Garibaldi esattamente 50 anni dopo sarà il difensore di un’altra Repubblica Romana ispirata dal pensiero di Giuseppe Mazzini.

Un altro elemento lega fortemente l’ideologia napoleonica a quella garibaldino-risorgimentale: il culto di Roma. Ovviamente i punti di vista sono diversi: il Bonaparte francese di origine corsa si propone come un moderno Cesare, capo di un “Impero Romano d’Occidente” che ha Parigi come suo centro. Roma è la “seconda città dell’Impero” e l’Aiglon, l’infante di Francia, si fregia appunto del titolo di Re di Roma. Ma la realtà quotidiana dietro queste auliche rievocazioni è data dall’annessione alla Francia di tutta la dorsale occidentale dell’Italia da Torino fino al Lazio. Garibaldi vuol fare di Roma la capitale dell’Italia “una ed indipendente”, non nutre propositi imperialistici, ma con sincerità intende conciliare i principi di nazionalità e di umanità.

Da un punto di vista geopolitico non si può non rilevare una analogia: gli avversari che Napoleone combatte sono gli stessi che l’Italia si troverà davanti nel suo cammino verso l’unificazione ovvero l’Impero austriaco nel centro-nord, il potere temporale del Papa a Roma, il regno dei Borboni nel Sud Italia.

Nel corso della seconda guerra di Indipendenza il Regno di Sardegna riesce a prevalere sugli austriaci con l’aiuto determinante di Napoleone III.

Garibaldi sconfigge le truppe borboniche non solo nel 1860, ma già nel 1848 quando Ferdinando II interviene contro la Repubblica Romana di Mazzini. Anche questa circostanza rappresenta un curioso ricorso storico: nel 1799 Ferdinando I (spinto dal partito inglese a corte) aveva invaso la prima Repubblica Romana confidando in un facile trionfo e andando invece incontro a una cocente sconfitta ad opera dei soldati di Napoleone.

Infine, l’atto con cui il Bonaparte pone fine al millenario governo del Papa su Roma trova la sua prosecuzione nel Risorgimento italiano e nella sua costante anticlericale che si manifesta a partire dalle Leggi Siccardi del ministero Cavour fino alla breccia di Porta Pia.

Certo l’aspetto più significativo di questa sorta di precedenza napoleonica nel processo di unificazione italiano è rappresentato dalla proclamazione della Repubblica Italiana, poi Regno d’Italia, con capitale Milano. Tutt’oggi la bandiera italiana è – con variazioni di stemmi che indicano i cambi di regime – la bandiera del primo Stato italiano voluto da Napoleone. Si dirà che esso era nella sostanza uno Stato satellite della Francia: difficile immaginarlo come qualcosa di diverso, ma è pur vero che, garantendo la nascita di quello Stato, Napoleone faceva sì che l’Italia cessasse di essere un mero sogno di letterati e diventasse una opzione storica concretamente perseguibile.

Nel sistema di potere bonapartista peraltro il Regno d’Italia si collegava al Regno di Napoli affidato al cognato Murat col filo dell’appartenenza alla Massoneria di derivazione francese: Eugenio de Beauharnais, viceré d’Italia, era in via riservata – ma neanche tanto – Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Della medesima organizzazione Gioacchino Murat era Gran Cancelliere.

A quegli storici o ideologici che amano leggere l’intero periodo napoleonico alla luce della categoria del “complotto massonico” occorrerebbe però ricordare che non esiste una massoneria univoca: a Napoleone e ai suoi parenti si contrapponeva la più classica delle “potenze massoniche”, l’Inghilterra che teneva sotto il suo protettorato la Sicilia borbonica promuovendo in essa una costituzione che era di fatto una replica dell’ordinamento politico inglese. Quella Carta delle libertà – poi rinnegata dai Borbone – avrebbe rappresentato il primo germe del costituzionalismo che si sarebbe intrecciato nel Risorgimento alla battaglia di nazionalità, rappresentandone più propriamente l’apporto “inglese”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Alfonso Piscitelli, (Benevento, 1974), docente di storia e filosofia, già autore della trasmissione L’Argonauta in onda su RAI Radio Uno, collaboratore di “Cultura e identità” mensile e inserto culturale de “Il Giornale”, studioso di storia del Risorgimento.

Bibliografia: Marcello Camici, Napoleone e il Risorgimento italiano, Edizioni Persephone, 2021; Alessandro Mella, Viva l’imperatore! Viva l’Italia! Le radici del Risorgimento. Il sentimento italiano nel ventennio napoleonico, Bastogi, 2016

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