Quattro passi a Mercogliano

Mercogliano, Summonte, Capriglia Irpina sono alcune delle amene località della bassa irpinia che offrono un turismo fatto di natura, storia e cultura.

Attraverso Porta dei Santi, dove campeggia un affresco raffigurante i santi martiri Modestino, Fiorentino e Flaviano, entriamo nel borgo medioevale di Mercogliano, in Irpinia. Percorriamo irte viuzze sino a Capocastello, dove riposano i ruderi di un maniero edificato tra 1077 e il 1099, contraddistinti da una piccola torre a base tonda.

Questo castello, al tempo di Ruggero II, ospitò prigioniera Matilde, la moglie del conte Rainulfo, ostile al Normanno. Fu distrutto da un terribile incendio nel 1656 e da allora venne definitivamente abbandonato.

Un manto di faggi e castagneti copre Mercogliano, da qui lo si vede bene. L’abitato si schiude alle falde meridionali del massiccio sud orientale del Monte Partenio. La città sorse quando profughi della vicina Abellinum, nel VI secolo, tentarono di sfuggire ai longobardi riparando su questa collina.

Fuori del perimetro delle vecchie mura, alla fine del bellissimo viale di platani, sorge la Chiesa di San Modestino Martire, con un meraviglioso campanile a cavalcavia. All’interno, incanta il soffitto ligneo, decorato con stucchi e marmi, in cui spicca il dipinto del pittore afragolese Angelo Mozzillo, raffigurante episodi del devastante incendio del 1656 che distrusse parte del borgo antico e il castello. Tra le cappelle laterali c’è quella del “Pozzo santo” con i resti dei santi Modestino, Fiorentino e Flaviano e l’acqua di una sorgente miracolosa.

Più in alto, torreggia la sagoma del Santuario di Montevergine, cuore antico della spiritualità campana, fondato da San Guglielmo da Vercelli e famoso per la miracolosa immagine della Vergine. Rimandiamo al nostro approfondimento su di esso e sull’interessante vicenda che lo vede legato alla Sacra Sindone.

Mercogliano si trova nel bel mezzo di numerosi picchi dell’Appennino Irpino. Tra essi, Campo Maggiore tocca i 1400 metri. Questo pianoro dall’intensa vegetazione boschiva si apre sui sentieri del Parco Regionale del Partenio, una volta superato il Santuario di Montevergine. Un piccolo laghetto carsico contribuisce ad accrescerne la bellezza. Nell’Ottocento era una preziosa fonte di approvvigionamento e commercio di neve, consumata per uso alimentare, terapeutico e refrigerativo. L’ impiego più rilevante era soprattutto destinato agli ospedali del Nolano e del Napoletano. Oggi è frequentato da greggi di ovini ed escursionisti.

Poco distanti da qui, si segnalano per bellezza i centri di Summonte e Capriglia Irpina.

Sottratto al conte Rainulfo di Avellino da Ruggero II nel 1134 e consegnato all’amministrazione di Raone Malerba, il castello di Summonte fu possedimento dei Leonessa, dei Caracciolo e dei Doria, ma l’esistenza di questa struttura fortificata “dicitur submonte” è riferita già da documenti risalenti al 1094.

Il complesso si erge su uno sperone roccioso a 738 metri di altitudine. Domina il centro urbano d’impianto medievale ed è caratterizzato da una torre cilindrica di epoca angioina, a base troncoconica, alta circa diciotto metri. Essa sovrasta l’intera area castellare, i resti delle mura normanno-sveve e l’anfiteatro. La torre ha cinque livelli. Al primo c’è la cisterna della raccolta dell’acqua piovana e su questo insiste, al piano sopraelevato, un pozzo, destinato alla conservazione delle provviste alimentari e da cui si attingeva acqua. Attraverso una scala esterna semicircolare, in muratura di conci di pietra sbozzata, si accede al primo piano segnato da diverse feritoie. Il secondo ha una monofora, ovvero una finesta con un’apertura sormontata da un arco policentrico, il terzo ne conta sei. Infine, la terrazza rende evidente la funzione peculiare di “torre di avvistamento” ricoperta da questa struttura capace di fornire un’ampia vista panoramica sull’intera valle irpina

È storicamente certo che nel castello, quando il feudatario era Roberto Malerba, fu rinchiuso, per ordine di Federico II il cavaliere lombardo Obertino da Mondello, fatto prigioniero nella battaglia di Cortenuova (22 novembre 1237), e che vi fu ospitato, nel marzo del 1440, quando il feudatario era Ottino Caracciolo, Renato d’Angiò, durante la sua sfortunata guerra contro Alfonso d’Aragona.
Una mostra permanente intitolata “Submontis Medievalia” offre al visitatore l’esposizione di reperti archeologici rinvenuti nel corso degli scavi e riproduzioni di armamenti risalenti tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Diversi pannelli espositivi sono pure dedicati ai Doria. Nel 1604, infatti, la Regia Corte assegnò il feudo a Giovanni Andrea Doria in cambio dello Stato di Finale, ceduto a Filippo II. La famiglia rimase feudataria di Summonte per oltre duecento anni fino alla eversione della feudalità, sancita nel regno di Napoli sotto Giuseppe Bonaparte nel 1806.

Capriglia Irpina dista da Summonte appena cinque chilometri, sette da Mercogliano. E’ un piccolo centro che offre al turista una magnifica terrazza sull’Irpinia. Giovanni Pietro Carafa, pontefice col nome di Paolo IV, sarebbe nato qui, il 28 giugno 1476.

Proveniente dalla nobile famiglia napoletana dei conti di Montorio, fu introdotto negli ambienti romani dal potente zio cardinale Oliviero Carafa, grazie al quale divenne cameriere pontificio e protonotario apostolico, poi vescovo di Chieti.

Questo borgo si innalza alle pendici del Partenio, su un rilievo che guarda alla valle del fiume Sabato, e conserva ancora il palazzo in cui venne alla luce l’arcigno pontefice che istituì l’Inquisizione e levò le armi contro i domini di Filippo II in Italia, Palazzo Carafa.

Nulla più resta delle antiche rovine del Castrum Caprilii, il castello medievale edificato a guardia dell’importante via di comunicazione che da Avellino portava a Benevento. I Carafa fecero costruire una dimora residenziale dall’austera facciata con sei finestroni ad arco ed un portale lapideo. Il corpo centrale dell’edificio è delimitato da due torri di costruzione più tarda, con caratteristica merlatura guelfa e con semplici finestre rettangolari.

 

 

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

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