Rosmunda, la tragica regina dei Longobardi

Rosmunda, figlia di Cunimondo, re dei gepidi, fu regina dei Longobardi in quanto moglie di Alboino che aveva ucciso suo padre in battaglia. Secondo la leggenda, dopo una notte di gozzoviglie a Verona, Alboino bevve da una coppa ottenuta dal cranio del suocero e Rosmunda fu costretto ad imitarlo. Per vendicarsi, la donna legò al suo fodero la spada del marito, che all’arrivo dei congiurati di Elmichi poté difendersi solo con uno scranno. Il testo che segue è di Mino Milani ed è tratto da Storia Illustrata, Anno 1971, numero 162.

 

***

Una vita piena di ombre. Secondo i cronisti del tempo Rosmunda architettò l ’ assassinio di Alboino, il re longobardo che l ’ aveva costretta alle nozze dopo aver sterminato il suo popolo. Ma cosa spinse la donna alla vendetta? L ’ amore per la sua gente o una smisurata sete di potere? « Io non so cosa accada altrove: ma so che in questa parte della Terra che noi abitiamo, la fine del mondo si annuncia chiaramente ». Papa Gregorio Magno scriveva queste parole nell ‘anno del Signore 568 mentre i Longobardi invadevano l’Italia. Non sembrava che questi nuovi barbari fossero giunti per una scorreria, per fare bottino e poi andarsene; sembrava invece che cercassero una nuova patria. Entrati nel Veneto dal passo di Predil, prendevano le città ad una ad una e istituivano nuovi ducati, come pietre angolari d ‘una conquista definitiva. L ‘Italia, in quel tempo, era una provincia dell ‘ Impero Romano d ‘ Oriente, che aveva il suo centro in Bisanzio; ma i Bizantini non la difesero, e si rinserrarono nei loro luoghi forti di Padova, Mantova, Oderzo e così via. L ‘ Esarca Longino, rappresentante dell ‘Imperatore, non uscì da Ravenna, la capitale, ben protetta dalle paludi: mandò a dire a Bisanzio che si sarebbe mosso al momento opportuno. E intanto i Longobardi scendevano a Sud, occupavano altre città, istituivano altri ducati. Quando la loro spinta si fu esaurita, avevano ormai conquistato mezza Italia. Li guidava Alboino, decimo re dei Longobardi, e figlio di Audoino. « Alto, e in tutto il corpo conformato per la guerra » ( questa e come le citazioni che seguono, è di Paolo Diacono, autore della «Historia Langobardorum») Alboino era allora nel colmo della sua fiera virilità. Era più di un re, più di un eroe: era già un mito. Le genti barbare di mezza Europa cantavano nei loro poemi la sua gloria, la sua fortuna in battaglia, il suo valore ». L’anno prima di condurre il suo popolo in Italia, Alboino aveva posto fine alla guerra, ormai ventennale, contro i Gepidi. V ’ era stata una battaglia campale, i Gepidi erano stati circondati, ed i Longobardi « avevano incrudelito con tanta rabbia su di essi, che li massacrarono fino all ’ ultimo ». In battaglia, Alboino uccise personalmente il re dei Gepidi, Cunimondo, e con il suo cranio si fece fare una coppa per bere « Io stesso» dice Paolo Diacono, che scriveva circa 200 anni dopo « vidi questa coppa, un giorno di festa in cui il principe Rachis la teneva in mano mostrandola ai commensali………». I Gepidi scomparvero, dalla storia, come popolo; i sopravvissuti si dispersero, per la maggior parte finirono schiavi. Una di essi, però, venne fatta regina. Costei era Rosmunda la giovane figlia di re Cunimondo. Alboino l’aveva amata per anni. L’aveva amata subito, da quando l ‘aveva veduta, al campo dei Gepidi, durante una tregua. Costretto da motivi politici a sposare Clotsuinda, figlia del re dei Franchi, non aveva per questo scordato la bella fanciulla gepida; e quando la fragile Clotsuinda era morta di parto, egli s’era presentato a re Cunimondo, a chiedergli la mano di sua figlia. Cunimondo rifiutò quel matrimonio che sarebbe stato, anche, alleanza; ma al secco « no » ricevuto, Alboino non s ‘arrese e poco dopo, anzi, rapì Rosmunda, forse senza il suo consenso e certamente con ira e sdegno di Cunimondo. Vi fu crisi, la minaccia della ripresa della guerra. Pare che nella questione intervenisse perfino l ‘imperatore d’Oriente, Giustiniano. Rosmunda venne restituita. Ma ora, ecco, ucciso Cunimondo ed annientati i Gepidi, ora Alboino la traeva dalle file dei prigionieri, la sposava, la faceva regina dei Longobardi. Paolo Diacono annota « per sua disgrazia, come poi si vide ». Rosmunda accettò la corona. Forse, prima, aveva accettato anche l’amore di Alboino; l’aveva ricambiato, forse. Ora. non più. Come poi si vide, ella detestava il re suo marito, lo sterminatore della sua gente; e pensava che la sua condizione era solo in apparenza regale. In realtà, ella era una schiava, come tutti i Gepidi; era una parte del bottino di guerra, la più evidente prova della vittoria di Alboino.

l’ entrata di Alboino a Pavia. L’ incisione è di L.Pogliaghi. Il sovrano longobardo conquistò la città, nel 571. L’ anno dopo Alboino venne assassinato a Verona. Nel 571, con la caduta di Pavia, unica città che avesse resistito ai Longobardi, la guerra finì. Alboino pose la sua capitale a Verona, da cui meglio poteva controllare le fortezze bizantine e la stessa Ravenna, dalla quale Longino, forse senza molta convinzione, continuava a minacciare guerra. Ed accadde l ‘anno dopo a Verona. Fu in uno di quei tumultuosi banchetti nei quali i Longobardi venivano abituandosi al vino della nuova patria. Un cantore, o un cortigiano, o un vecchio compagno d ‘armi rammentò forse ad Alboino le sue imprese, le sue battaglie, la vittoria sui Gepidi… Alboino, ubriaco, d ‘un tratto ordinò che gli fosse portata la tazza ricavata dal cranio di Cunimondo, e volle che Rosmunda bevesse in essa: « Bevi, Rosmunda, nel cranio di tuo padre! ».

Alboino, re dei Longobardi, con in mano la coppa ricavata dal cranio del suocero nella quale ha costretto a bere la moglie. Rosmunda appare alle sue spalle. Questo è, secondo la tradizione, il truce invito che il re rivolse a sua moglie; in realtà, le sue parole dovettero essere ancora più crudeli. Narra Paolo (che a proposito della faccenda scrive « veritatem in Christo loquor», cioè chiama testimone Dio di ciò che racconta) che Alboino invitò Rosmunda a « bere allegramente con suo padre ». Ciò che accadde subito dopo, non lo sappiamo. Il banchetto continuò, non vi fu forse neppure quella pausa d ‘attonito silenzio che siamo costretti ad immaginare: scene o situazioni del genere non dovevano poi essere infrequenti, nelle corti barbariche. Probabilmente Rosmunda bevve. Rifiutando, avrebbe in certo modo respinto e restituito l ‘offesa; disobbedendo al re davanti alla corte, si sarebbe almeno in parte liberata subito dalla vergogna e dal dolore. Ma « ripensando a ciò che era stato » ella fu presa da una vera e propria ossessione « da un dolore così profondo che non le riusciva più di calmarsi ». Da quel momento non ebbe che un pensiero: uccidere Alboino. Vendicare suo padre e tutti i Gepidi. Riscattare se stessa dalla sua posizione di schiava. Uccidere Alboino. Come? Rosmunda non concepì, o subito respinse, quella vendetta brutale che le sarebbe stata facile – e che avrebbe scelto, se avesse almeno un poco amato il marito. Non pensò, cioè, di tagliare la gola e di fracassare la testa del re chele dormiva accanto. Una simile azione sarebbe stata, insieme, vendetta e suicidio: e Rosmunda amava troppo la vita per rinunciarvi. Non solo questo: figlia di re, intimamente convinta di essere nata per regnare, non poteva rinunciare nemmeno alla corona: Cominciò dunque a tessere, con paziente e feroce astuzia, la trama d ’ una congiura che avrebbe dovuto distruggere Alboino, senza coinvolgere lei nella rovina . E che sarebbe stata, infine, la vendetta dei Gepidi. Su qualcuno – cioè su pochi Gepidi che in un modo o nell.’ altro facevano parte della corte – Rosmunda poteva certo contare; ma per preparare il piano si rivolse a un longobardo, Elmichi, armigero del re e suo fratello di latte. Probabilmente Elmichi era l ’ amante di Rosmunda: è difficile immaginare altri rapporti che potessero giustificare una fiducia e una conoscenza così profonde; in ogni modo, la scelta fu sapiente. Nobile, in certo modo di sangue reale, amico del re e quindi assiduo della corte, Elmichi aveva ogni titolo per aspirare al trono: perché fu proprio questo che Rosmunda gli propose: uccidere Alboino e regnare al suo posto. Alla congiura vennero interessati discretamente coloro che avevano motivi di rancore verso il re. Non solo: della faccenda Rosmunda fece informare anche Longino che, dal suo rifugio di Ravenna, osservava con occhio attento ciò che avveniva a Verona, dove senza dubbio disponeva di spie e agenti . È difficile dire se Rosmunda rivelasse ad Elmichi queste sue segretissime intese con l ‘ Esarca: forse no, forse in esse Elmichi avrebbe visto un pericolo per quel trono cui anelava impaziente. A ogni mode in questa prima fase, Longino si limitò a stare a guardare, pieno di speranza. Chi poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto, nella società barbara e fondamentalmente anarchica dei longobardi, una volta scomparso Alboino? Forse l ’ Italia si sarebbe potuta riconquistare senza una vera e propria campagna militare. Rosmunda ed Elmichi non avrebbero ucciso il re con le loro mani. Ciò avrebbe pregiudicato irrimediabilmente la loro successione al trono. A leggere tra le righe di Paolo Diacono, si vede anzi come essi avessero progettato di mostrarsi del tutto estranei alla faccenda. Rosmunda avrebbe recitato fino all’ultimo la parte di moglie amorosa, ed Elmichi quella di fedele armigero. Si trattava, così, di trovare chi compisse materialmente il regicidio, l’uccisore, insomma. Elmichi pensò di trovarlo in Peredeo, un ufficiale di corte, uomo di gran coraggio, di forza smisurata ma non del tutto privo di scrupoli. Era un Gepido: per qualcuno, anzi, fu lui il vero ispiratore della congiura nella quale Rosmunda non avrebbe avuto che una parte secondaria. Seguiamo, tuttavia. Paolo Diacono nel suo racconto. Quando Peredeo seppe ciò che i congiurati attendevano da lui rifiutò: uccidere il re era delitto troppo grande. Ma Rosmunda ed Elmichi non vollero cercare un altro sicario. La loro scelta era fatta, ed era obbligata, ora che Peredeo sapeva e che avrebbe potuto tradirli. Fu la regina che si incaricò di convincere Peredeo ad accettare. Ed ecco come, con le parole di Paolo Diacono, in verità, stavolta, romanzesche, forse improbabili: « La regina si coricò dunque nel letto d’una sua cameriera, che era amante del medesimo Peredeo; e così questi venne ,e senza sospettare di nulla si giacque con lei. Quando l’adulterio fu consumato, ella gli chiese con chi pensasse d’essere stato; e come Peredeo, in buona fede, ebbe pronunciato il nome della sua amante, la regina gli disse:« Non è così. lo sono Rosmunda. E ora tu hai fatto una cosa tale che, o ucciderai Alboino, o luì ucciderà te con la sua spada ». E Peredeo si rese conto del misfatto che aveva compiuto; e fu costretto ad acconsentire al delitto cui prima si era rifiutato… » Si presero le ultime intese. Peredeo era certamente in grado di uccidere il re, più vecchio di lui e ignaro del tradimento: ma Alboino era pur sempre un temibile combattente. Sapendo che tutto sarebbe stato perduto se il sicario avesse fallito il colpo, o avesse tiratola cosa per le lunghe, Rosmunda s ‘incaricò di rendere l ‘uccisione sicura. Nulla sarebbe stato lasciato al caso. Era il pomeriggio del 28 giugno 572. Il sole splendeva alto su Verona. Dopo aver mangiato, Alboino s’era recato, come al solito, a riposare nella sua stanza. Fedele al suo ruolo di moglie premurosa, Rosmunda ordinò che si facesse silenzio per non disturbare il sonno del re. È facile pensare che ordinò ai servi d ‘allontanarsi. Alboino era entrato nella sua stanza. Non s ‘era accorto che non v ‘erano i suoi coltelli, la sua lancia. La grande spada era, come sempre, a capo del letto, e questo gli era bastato. Si coricò. Forse Rosmunda era nella stanza con lui, forse origliava lì vicino. Nella reggia s ‘era fatto un grande silenzio. Qualche sbadiglio. Qualche parola mormorata. Poi Alboino gonfio di cibo s ‘assopì. Rosmunda attese di sentirlo russare; senza rumore si avvicinò. Un cenno. Peredeo, che attendeva nel corridoio con la spada sguainata, si fece avanti. Entrò cautamente nella stanza.

Rosmunda guida la spada del sicario Peredeo verso re Alboino, immerso nel sonno. S ‘avvicinò al letto… e Alboino si destò di soprassalto, forse svegliato dal rumore d ‘un passo furtivo, o forse avvertito dal suo istinto di guerriero. Aprì gli occhi, vide. comprese: balzò dal letto, allungò la mano, impugnò la spada… non riuscì a sguainarla, non riuscì nemmeno a muoverla. Rosmunda aveva veramente previsto tutto: aveva legato l ‘elsa al fodero, il fodero al letto. Peredeo si fece avanti menando i suoi terribili fendenti; saltando qua e là il re li evitò, e poi afferrato uno sgabello si fece scudo con esso. Certo chiamando aiuto, e cercando di guadagnare l’uscita: ma fu questione di qualche minuto. Uno, due minuti, e « ahimè!, quell’uomo valorosissimo audacissimo, al quale nessun nemico aveva resistito, fu sgozzato come un ’ imbelle, e lui, celebre per aver abbattuto tanti nemici, dovette morire per l ‘intrigo d ‘una sgualdrinella!» Era fatta. Ora Rosmunda doveva procedere con prudenza e prontezza ancora maggiori : un passo falso e sarebbe stata perduta. Fino a quando Alboino era là, massacrato, imbrattato di sangue ancora caldo, nessuno doveva sospettare di lei. Il problema era di guadagnare tempo. Peredeo scomparve. Forse fu la stesa Rosmunda a dare l ‘annuncio del delitto. possiamo immaginare il suo falso sgomento, le sue lagrime, le sue grida, l ’ accorrere dei servi, dei cortigiani sbigottiti. Davanti al re morto non vi fu tempo per sospetti o domande, ma solo per pianto e disperazione. Le cose non si misero male per i congiurati: la morte di Alboino aveva stordito tutti. Ad uno ad uno convennero in Verona i duchi, e « il corpo del re , con il più intenso dolore di tutti i Longobardi, venne sepolto in un vano sotto una scalinata vicina al palazzo.» Nei giorni seguenti, si sarebbe decisa l ’ elezione del nuovo re: Alboino, infatti , aveva una sola figlia, Alpsuinda. Il suo matrimonio con Rosmunda era stato sterile: e in ogni caso l’assenso dei Duchi era necessario per incoronare il nuovo re. I congiurati, rimasti ancora nell’ombra, si dettero da fare per rimandare ogni decisione; e mentre ancora si discuteva, ecco Rosmunda giocare quella che credeva la carta decisiva : per forzare la mano ai Duchi per metterli davanti al fatto, ella sposò Elmichi il quale come fratellastro del re, ed ora marito della regina, poté avanzare la sua candidatura al trono. Ma fallì. Egli doveva essere tutto sommato, un personaggio mediocre. L’origine gepida di Rosmunda doveva d’altra parte suscitare non poche perplessità; e gli uomini sui cui contavano dovettero mostrarsi, alla prova dei fatti, insicuri. Elmichi incontrò subito resistenze e difficoltà, mentre si cominciava a sospettare qualcosa, a mormorare, forse anche ad accusare più o meno apertamente. La cosa si risolse in un tempo abbastanza breve: ormai additati quali uccisori del re, Rosmunda e Elmichi riuscirono a mantenersi sul trono per circa due mesi, in un clima di guerra civile imminente. Dopo alcuni attentati contro Elmichi, infine, non furono più in grado di resistere. La congiura era fallita. Per salvare la vita, non restava loro che una cosa: fuggire. Ma dove? V ‘era una sola strada: quella di Ravenna. Rosmunda chiese a Longino un’imbarcazione che la portasse in salvo : la ebbe prontamente, a Verona, o non lontana dalla città. La fuga fu rapida, convulsa: Elmichi, Rosmunda ed alcuni congiurati, tra i quali Peredeo, uscirono di notte dalla reggia, salirono a bordo, partirono. Portavano appresso, forse come ostaggio, Alpsuinda . Avevano preso « tutto il tesoro dei Longobardi ». L’imbarcazione discese l’Adige, poi per il mare e per le paludi giunse a destinazione. Ma Rosmunda non si presentò Longino rassegnata: era anelante alla vendetta e più che mai assetata di potere. Non tutto era perduto : se Elmichi non aveva saputo mantenere la corona, i Bizantini, che s’apprestavano ad attaccare i Longobardi, avrebbero riportato lei, Rosmunda, da trionfatrice a Verona. Che ella dovesse avere una parte di rilievo nella guerra (che poi non ci fu) sembrava ovvio e fatale a lei ed allo stesso Longino. I Longobardi erano in piena crisi. Avvezzi all ‘anarchia tribale, solo il prestigio di Alboino li aveva tenuti uniti; incapaci d ‘organizzare in stato la loro ancora barbara nazione, erano già tornati alle antiche rivalità, alle antiche discordie, ogni duca arroccato a difesa dei suoi possedimenti e dei suoi diritti. Ora, tra i duchi che si fronteggiavano ostili, non v ‘era dubbio che Rosmunda avesse ancora qualche partigiano : e Longino non era uomo da trascurare un simile fatto. V ‘era di più. Rosmunda era ancora formalmente regina, dato che il trono era rimasto vuoto. Se Longino avesse potuto sposarla, avrebbe avuto da giocare una carta più audace e forse più efficace di quella militare, cosi densa di pericoli. Si sarebbe, cioè, potuto far riconoscere legittimo re, offrendo ai duchi longobardi la conciliazione con l ’ Impero romano, anzi l ’ ingresso della gente longobarda in esso. Ipotesi: speranze, forse Longino chiese infatti a Rosmunda di sposarlo. Possiamo pensare solo ad un amore a prima vista? La proposta dovette esaltare Rosmunda, che già si vide regina dei Longobardi sottomessi , o signora dei Bizantini in Italia; ma al progetto, al desiderio, al sogno, v ‘ era un grosso ostacolo: Elmichi. Che fare di questo marito, di questo complice, di questo incomodo pretendente al trono? La decisione venne rapidamente presa: toglierlo di mezzo. Ed ecco il secondo e finale atto della trappola. Rosmunda era, secondo Paolo Diacono, « disponibile per ogni delitto ». Stavolta non ricorse ad altri, a nessun sicario. Volle fare da se, scegliendo l ’ arma incruenta e femminile del veleno, che propinò al marito, appena uscito dal bagno. Ma aveva scelto male: il veleno era ad azione lenta, Elmichi seppe d ’ essere perduto, obbligò la moglie a bere ciò che era rimasto nella coppa, e morì con lei. Così Rosmunda chiuse la sua vita breve e intensa, sacrificandola all ’ amore per la sua gente distrutta, alla vendetta, al suo orgoglio regale, soprattutto alla sete di potere. Figlia di re, nata per regnare, fu regina fino in fondo. Se non fu pari a suoi progetti e al suo tempo, è perché, in realtà, ella fu estranea al suo tempo. Appartenne più all ’ età antica che non a quella medioevale, che iniziava in Italia proprio con l ’ invasione longobarda. A Longino, che poté ad ogni modo vantarsi d ’ aver inflitto un rude colpo ai Longobardi, non rimase che inviare a Bisanzio la notizia dei fatti, il tesoro rapito, e Alpsuinda, ormai inutile ostaggio. Quanto a Peredeo, sembra che riparasse a Bisanzio. Qui mise a profitto la sua forza eccezionale esibendosi nei circhi. In uno spettacolo cui assisteva lo stesso imperatore, Giustino II, strappò brividi e applausi alla folla, affrontando e uccidendo un leone « di miracolosa grandezza ». Anche Giustino applaudì; ma subito dopo ordinò che ad un uomo cosi forte e con precedenti così inquietanti, venissero tolti gli occhi.

 

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