Settembrini e il sergente Failla, gente d’altri tempi

Un episodio delle Ricordanze di Settembrini appare davvero assurdo e assieme romantico. In Settembrini emerge lo spiccato senso del dovere, il senso dell’onore, la fedeltà alla parola data, mentre nel gendarme che lo tradusse da Tiriolo, in Calabria, a Napoli, il sergente Failla, si scopre una umanissima e toccante fiducia nel prossimo mista al rispetto per l’altro. Entrambi agirono con una dignità naturale e una gentilezza d’animo profonda.

***

 

Stetti in Tiriolo sino a mezza notte: in quell’ora giunse la diligenza, ed io vi montai con un solo sergente di nome Failla, che condusse anche sua moglie. Prima di entrare in diligenza, egli mi disse: – Signore, debbo condurvi a Napoli, e son dolente di adempiere questo dovere, ma capite che è mio dovere. Potrei condurre con me altri gendarmi, poteri mettervi le manette, ma io figo in un galantuomo. Mi date la vostra parola che non fuggirete? – Sì, vi do la mia parola. – Posso essere sicuro? – Più che se mi conduceste in mezzo a un reggimento. Va benissimo. – E veramente ei mi fu molto cortese, non volle accettar denari che gli offrii, mi trattò con rispetto, e la moglie parvermi una buona donna.

La terza notte giungemmo a Napoli, e dismontammo innanzi all’ufficio delle poste. Quivi il sergente mi disse: – Abbiate un occhio al mio fucile, che non me lo rubino. – Me lo porse e si allontanò con la moglie. A quell’ora, in quel luogo, in una città così grande, di cui conoscevo tutti i viottoli, nessuno sapendo che io ero prigioniero, mi venne la tentazione di fuggire e di gettare il fucile in qualche parte; ma avrei tradito un uomo, che aveva fidato in me, lo avrei rovinato, fattolo arrestare, subissare: rimasi, e gli consegnai il fucile quanto egli tornò. Ei condusse la moglie in un albergo, e poi me in prefettura, dove mi disse: – Spero di rivedervi subito libero. – Non ho più veduto quel gendarme galantuomo.

 

 

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