Somalia e Mad Mullah

La rivolta del Mad Mullah (si chiamava in realtà Mohamed ben Abdalla Hassan, ma con tale epiteto lo etichettarono gli Inglesi, e solo per mera comodità verrà d’ora in avanti descritto) scoppiò nei territori di frontiera tra Somaliland britannico, Impero etiopico e Somalia italiana alla fine degli anni Novanta dell’Ottocento, e rappresenta un argomento tutt’altro che marginale e alquanto interessante, e questo per vari aspetti.

In tale rivolta vediamo prima di tutto l’incarnarsi dei dogmi rigidissimi e delle prescrizioni intransigenti che il Mad Mullah apprese alla Mecca dalla tariqa islamica dei Salehiya retta da Mohamed Saleh. Prassi e esperienza della Jihad si fusero con le lotte interclaniche o del proto-nazionalismo africano, ricalcando le vicende del Mahdismo sudanese (1881-1899), e anticipando anche le attuali evoluzioni di al-Shabaab e degli altri gruppi che costituiscono la galassia del terrorismo islamico africano. Il progressivo coinvolgimento delle popolazioni locali e lo sfruttamento della religione islamica e delle fedeltà clanico-tribali costituiscono dei tratti fondamentali del movimento di rivolta sorto intorno alla figura del Mad Mullah, mentre le vicende legate alla repressione di questo fenomeno rappresentano una testimonianza storica importante del sorgere di una singolare azione contro insurrezionale, che paradossalmente trovò coesi attori tra loro divisi dalla sete di dominio, quali Italia, Gran Bretagna ed Etiopia.

Subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che cambiò drammaticamente la storia dell’Occidente, Sergio Romano ebbe a dire, parlando del Mad Mullah, che anche gli Italiani ebbero in Somalia il loro Obama bin Laden. E per un paradosso della storia, l’ennesimo, oggi in vaste aree africane stiamo rivivendo le stesse emergenze della Somalia di quegli anni, le stesse dinamiche di resistenza alla presenza occidentale e neocolonialista in genere. Recentemente, al- Shabaab ha lanciato i suoi strali anche contro i Turchi, che col loro Sultano stanno attuando un’abile politica di penetrazione non solo in Somalia ma anche in Libia, coprendo probabilmente il vuoto lasciato da altri attori, tra cui l’Italia).

All’epoca (1954) in cui Carlo Giglio pubblicò il suo saggio sui protettorati di Obbia e Migiurtina, la storiografia coloniale italiana sulla Somalia era inoltre ancora piuttosto scarna, mentre era già molto ricca su Eritrea ed Etiopia. Addirittura, tale studioso sosteneva che l’esplorazione degli Archivi di Stato per la Somalia non era ancora nemmeno cominciata. Oggi, ripensare alla storia della presenza italiana in Somalia ci permette di disporre di una visuale storica e di analisi che possono esserci davvero utili per comprendere il difficile e complesso presente di uno Stato, quello della Somalia, che rimane pericolosamente in bilico, appesa tra spinte distruttive interne e la volontà di federarsi alle altre realtà del Corno d’Africa.

Identica, rispetto al passato coloniale, resta la presenza dei nuovi martiri di Allah, gli eredi sostanziali dei dervisci del Mad Mullah, alimentata dai conflitti clanici e intertribali tra Somali, dai conflitti tra Somali ed Abissini per l’Ogaden, ed oggi tra Somali e Kenyoti per il controllo del Giuba e dell’area marina che si proietta intorno ad esso, ricca di petrolio e di gas. La storia spesso si ripete, e chi sa coglierla di solito ha sempre uno strumento in più per traguardare il presente e proiettarlo sul futuro. Con la firma dello storico trattato di pace tra Eritrei ed Etiopi nel 2018, il Corno d’Africa è entrato finalmente in una nuova prospettiva di dialogo e di pace, ma le contraddizioni interne nei vari territori, i conflitti etnici e tribali tra le varie popolazioni e una povertà diffusa (che è il fertile terreno in cui nasce e si alimenta l’estremismo islamico e la pirateria marittima) stanno rallentando il ritorno ad un’effettiva stabilità in questi territori: una stabilità che è essenziale per un effettivo sviluppo.

Nuovi agenti internazionali stanno, inoltre, affacciandosi su quest’area strategica, in un momento in cui l’Italia appare ancora timida e titubante, così come lo era negli anni Ottanta dell’Ottocento quando volle partecipare allo scramble for Africa. Il nostro paese, sempre più diviso e lacerato al suo interno da lotte politiche intestine, che ricordano i conflitti tra le tribù e i clan dei paesi africani, deve poter ritrovare la necessaria forza e lucidità, oltre che per risolvere i suoi antichi mali interni, anche per avere una nuova visione internazionale.

Rimane comunque un altro fondamentale aspetto su cui dobbiamo riflettere maggiormente. Il mondo occidentale, segnato dalla furia iconoclasta dei nuovi martiri di Allah, dovrebbe comunque sforzarsi di ragionare in termini meno drastici sull’Islam, partendo da una banale considerazione. Il pluralismo esiste ed è sempre esistito in tutte le religioni e all’interno di ciascuna religione, tra cui ovviamente anche l’Islam. Ed è proprio tale profilo pluralista che rende davvero efficace il dialogo in luogo delle contrapposizioni e delle estremizzazioni. In questo senso, le tariqe del Sufismo islamico e le Confraternite che ad esse si sono sempre ispirate hanno rappresentato e rappresentano un esempio di pluralismo, e possono diventare un valido interlocutore. L’Occidente dovrebbe superare l’atteggiamento di generale ostilità verso l’Islam e valorizzare il Sufismo sul piano religioso e culturale proprio per contrastare (sul piano culturale e relazionale, prima che militare) i nuovi martiri di Allah e i metodi sanguinari delle ali più oltranziste e militanti dell’Islam, e questo per favorire il più possibile la tolleranza e la pace nel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Alessandro Pellegatta

 

 

 

 

 

 

Alessandro Pellegatta è uno scrittore appassionato di letteratura di viaggio, storia coloniale e dell’esplorazione. Tra le sue ultime pubblicazioni storiche ricordiamo Manfredo Camperio. Storia di un visionario in Africa (Besa editrice, 2019), Il Mar Rosso e Massaua (Historica, 2019) e Patria, colonie e affari (Luglio editore, 2020). Di recente ha pubblicato un volume dedicato alla storia dell’esplorazione italiana intitolato Esploratori lombardi.

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