Sulle mura di Civitella

“Sulle mura di Civitella” è un’aria del Risorgimento italiano da attribuire alla tradizione garibaldina. Nelle sue differenti versioni, il testo cuce assieme versi che rinviano ad episodi non collocati nella loro naturale successione temporale. Ciò probabilmente a testimonianza di una elaborazione scandita in più tempi.

La prima strofa risulta in più melodie forse perchè conobbe da subito estrema diffusione dopo che le truppe italiane aprirono il fuoco sui garibaldini e ferirono Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte il 29 agosto del 1862. E’ l’arcinota “Garibaldi fu ferite, fu ferite in Aspromonte, lu purtavale scritte in fronte, chi ch’à state lu pagherà”.

La seconda strofa forse rimanda all’esilio volontario di Garibaldi a Caprera nel periodo successivo al 9 novembre del 1860 o, più probabilmente, richiama il motto “A Roma e Venezia con Garibaldi”, diffuso durante la permanenza siciliana di Garibaldi nel luglio 1862: “Senti bella senti care, senti il fischio del vapore, ci imbarchiamo diretti ancora, per Venezia a cunsolà”. L’imbarco cui si allude potrebbe essere quello effettuato a Catania la notte del 24 agosto, dopo che Garibaldi si era impadronito di un piroscafo italiano e di uno francese ed era salpato per la Calabria, sbarcando a Melito e proseguendo poi in direzione dell’Aspromonte.

L’ultima strofa allude invece all’assedio di Civitella del Tronto, baluardo della resistenza borbonica, durato dal 4 novembre del 1860 al 20 marzo del 1861. A Civitella gli assediati si arresero solo dopo aver subito un violento cannoneggiamento. I versi recitano: “Sulle mura di Civitella, ci pianteme una scalette, Garibaldi con la zappette, li ranturche va a rannà”. Anche qui le parole evocano l’esilio di Caprera con Garibaldi armato di zappetta che va a sarchiare il granoturco. A chiudere è la quarta strofa: “Sulle mura di Civitella, ci piantiamo il cannone, Franceschiello nu berbone, lu vogliamo sott’a li piè”.

Sono altresì diffuse altre due strofe che richiamano i fatti di Civitella: “Su lu forte de Civitelle, ce statave la cuelimbrine, e lu generale Sepine, che la stave a guardejà / Su lu Forte de Civitelle, si sentive sonare la bbande, chille sòne li brihande, che si vole ’rrubare a me”. Questi versi racchiudono tre elementi storici dell’assedio, la collocazione d’una colombrina tra le artiglierie a difesa della fortezza, la presenza del “generale” Zopito di Bonaventura, capo brigante, detto Zopinone, catturato alla resa della fortezza, il 20 marzo del 1861, e fucilato il giorno dopo, ed i suoi briganti che infastidivano gli assedianti con azioni di disturbo.

Effettivamente il testo rimanda alla partecipazione dei garibaldini all’assedio di cui v’è  traccia in “L’Assedio di Civitella” di Tito Livio De Sanctis: “Il giorno seguente mi scrisse Campana pregandomi di salire in Ponzano, per concertarmi e ricevere gli ordini di quel Comandante Carozzi, mentre esso sarebbe tornato in Teramo per far conoscere al Governo della provincia lo stato delle cose, e così io vi rimasi in tutto il tempo dell’assedio, che può dirsi sia stato messo in qualche regolarità per opera del Maggiore Carozzi e del Capitano Oberti. La forza che aumentava giorno per giorno, e che formò il primo nucleo dell’assedio fu la seguente: 195 uomini del 2. e 3. battaglione del 29. fanteria; 200 uomini del 24; 120 del 1. 2. 4. reggimento Granatieri e 15. reggimento fanteria ed un drappello di bersaglieri di sedici uomini. Un vero mosaico, al quale per compimento dell’opera non mancò qualche marinaio. Questi occuparono il semicerchio del lato est di Civitella, mentre la parte ovest fu occupata dalla colonna dei Garibaldini, detti Sanniti. La guarnigione della fortezza componevasi di gendarmi nel numero di 200, Veterani 91, artiglieri 38, Cannonieri littorali 25, e di oltre 200 briganti, capitanati da Zopito di Bonaventura, contrabbandiere di S. Egidio alla Vibrata, detto Zopinone”. Anche in “Storia dell’insurrezione siciliana e dei successivi avvenimenti” (Vol. II, Milano, 1861, p. 510) di Giovanni La Cecilia si documenta la presenza di una colonna di garibaldini “comandata dal tenente colonnello Curci” nel semicerchio, lato ovest, disposto attorno alla fortezza.

L’impegno dei garibaldini si concentrò dapprima contro le bande irregolari che operarono nei territori circostanti. Dal 19 ottobre, infatti, dai monti eran scesci gruppi di realisti attaccando i villaggi che si erano proclamati liberali e ripristinando le autorità borboniche. I volontari abruzzesi, comandati dal Tenente Colonnello Antonio Curci, giunti nei pressi del forte intorno al 5 novembre, ne ebbero ragione in una lotta aspra (Nicola Monti, Il Risorgimento d’Abruzzo, dal 1859 ai briganti). Curci, era nato a Santa Sofia d’Epiro, in provincia di Cosenza, e, ci informa Giacinto De Sivo in “Storia delle Due Sicilie”, aveva disertato l’esercito borbonico divenendo poi Comandante del Battaglione Sannitico. Egli, con uomini aumentati sino al numero di quattrocento grazie all’adesione di civili abruzzesi, tenne poi l’assedio con i militi del maggiore della marina Renzo Carozzi.

Questa canzone popolare è insomma un documento storico del periodo risorgimentale e la sua grande popolarità si trascinò sino alla Grande Guerra e oltre, inserendosi nella grande tradizione della canzone politico-sociale italiana.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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