Tasso e la Gerusalemme Liberata

L’Italia annovera diversi poemi epici. Cantò la seconda guerra punica il Petrarca nell’Africa e, come lui in esametri latini, scrissero Sannazzaro il De Partu virginis e Girolamo Vida la Cristiade. In volgare scrissero Angelo Ambrogini, noto come il Poliziano, della giostra di Firenze del 1478 – opera lasciata incompiuta per l’assassinio di Giuliano de’ Medici suo protagonista – e poi Giangiorgio Trissino che, in verso sciolto, compose l’Italia liberata da’ goti. Nessuno raggiunse però la fama della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.

Il Tasso resta tutt’oggi un maestro, anzitutto nel lavoro di imitazione poetica, tessendo il vero reale come il vero immaginato, ritraendo quello che non è mai stato in modo che appaiano verosimili. Così, per sempio, non è vero che Erminia, uscita notte tempo dalle mura di Gerusalemme per soccorrere Tancredi ferito in combattimento con Argante, sia stata sorpresa ed inseguita da cavalieri cristiani finendo in una selva dove trova ospitalità nella casa d’un vecchio pastore. Non è vero, ma è verosimile. Ciò oggi può sembrare banale ma fece scuola in tutta Europa del secolo e Tasso poté essere apprezzato per la sua capacità di rappresentare come vere cose inventate e, al contempo, per la sua abilità nel descrivere fatti veri non come sono, ma nel modo che possano risultare più dilettevoli. Ad esempio è vera la spedizione dei crociati, ma in quella spedizione le cose non andarono come il poeta narra. Perchè il racconto riuscisse pù accattivante, il Tasso alterò la verità innestandovi il falso, narrò e descrisse cose e fatti non come furono, ma come potevano apparire più dilettevoli.

In questo lavoro si inserisce anche il meraviglioso. Nel canto XIII, infatti, Tancredi sfida la selva incantata dal mago Ismeno. Supera i suoi inganni, sino all’ultimo. Nel tronco d’un albero vede segnate parole che lo invitano a lasciare il bosco, impugna allora la spada e percuote l’albero fino ad udire la voce gemente di Clorinda, da lui amata e da lui tragicamente uccisa in duello: “Ahi! troppo, disse, / M’hai tu, Tancredi, offeso; or tanto basti. / Tu dal corpo che meco e per me visse, / Felice albergo, già mi discacciasti: / Perchè il misero tronco, a cui m’affisse / Il mio duro destino, anco mi guasti? / Dopo la morte gli avversari tuoi, / Crudel, ne’ lor sepolcri offender vuoi?”. Così Trancredi commosso da forte pietà lascia la selva. Certe invenzioni sono usate perchè rendano più gradevole il racconto, sebbene non solo non ritraggano la verità, sebbene non solo non sono mai state, ma addirittura sono irreali e non potranno avverarsi mai. Questo meraviglioso che si sviluppa fuori dalle leggi naturali si ritrova nel concilio infernale, nel palazzo incantato di Armida e nalla sua improvvisa sparizione, ma poi c’è anche un “meraviglioso naturale” che il Tasso crea con un artificio ingannando le aspettative del lettore, per esempio, quando Tancredi  lascia la selva mosso da inaspettata pietà. Il lettore s’aspettava che vincesse la prova e invece l’eroe si commuove udendo la vvoce i Clorinda involontariamente da lui uccisa. Questo artificio coglie di sorpresa il lettore e accresce il suo interesse. Altre volte lo stesso effetto è ottenuto lasciando i lettori sospesi e incerti dell’esito di un’azione sino all’ultimo, come si può vedere nel racconto del del secondo duello tra Argante e Tancredi. Leggendo questo scontro più volte si è indotti a credere che il primo sia il vincitori., ciò sin dalle prime schermaglie: “Vibra Argante la spada, e gli appresenta / La punta agli occhi; egli al riparo accorre, / Ma lei sì presenta allor, si violenta / Cala il Pagan, che il difensor precorre, / E ‘l fere al fianco”. Argante ha pure il vantaggio quando entrambi cadono al suolo: “Argante, od arte, o sua ventura fosse, / Sovra ha il braccio migliore e sotto il manco / Ma la man ch’è più atta alle percosse, / Sottogiace impedita al guerrier Franco”. Persino nell’assalto finale Argante sembra avvantaggiato: “La man sinistra a la compagna accosta, / E con ambo congiunte il ferro abbassa: Cala un fendente; e ben che trovi opposta / Laspada ostil, la sforza ed oltre passa: / Scende a la spalla, e giù di costa in costa / Molte ferite in un sol punto lassa”.

Storica è l’ambientazione, storica l’azione, storico il personaggio principale, Goffredo di Buglione, ma non sono storiche tante belle invenzioni che adornano il poema, nè tutti i personaggi che vi hanno parte. Non è neppure vero, per esempio, che i cristiani rimanessero in Terra Santa sei anni prima di dare l’assalto a Gerusalemme – la città fu infatti espugnata nel terzo anno dell’impresa – e non sono storiche le vicende dei personaggi femminili Gildippe, Sofronia, Clorina, Erminia e Armida – il Tasso trovò semplicemente notizie della partecipazione di alcune donne alla crociata -, e per aver alterato così la realtà, l’autore si scusa con la sua musa: “…tu perdona, / Se intesso fregi al ver, se adorno in parte/ D’altri diletti che de’ tuoi le carte. / Sai che là corre il mondo, ove più versi / Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, / E che il vero condito in molli versi / i più schivi allettando ha persuaso”.

Tuttavia, perchè gli episodi non ottenessero l’effetto di allontanare il lettore, il Tasso usò particolare attenzione. Si guardi a Olindo e Sofronia, condannati al rogo perchè accusati d’aver sottratta l’immagine della Vergine che Aladino, consigliato da Ismeno, aveva fatto trafugare. Il fatto serve a immerge il lettore nella realtà di Gerusalemme, lo proietta nelle condizioni di vita dei cristiani oppressi dal despota musulmano e, soprattutto, spezza la lunga enumerazione delle schiere fatta nel primo canto e apre la scena a Clorinda che intercede per i due amanti infelici ottenendone la liberazione. L’episodio quindi è legato alla trama, sospende la narrazione principale, ma dipende da essa. Al pari, anche l’episodio della morte di Gernando ha un fine: serve a spiegarci l’allontanamento di Rinaldo dal campo cristiano e ad accrescere le peripezie dei crociati, ora privati del più forte aiuto. Pure la succitata fuga di Erminia, inseguita da Poliferno, e il suo colloquio col vecchio pastore – episodio fatto seguire al duello tra Argante e Tancredi – risponde ad un chiaro fine, quello di dare varietà al poema.

Il Tasso cantò la prima crociata e la liberazione del sepolcro di Cristo in ottava rima. Un totale di venti canti in cui la storia si intreccia al verosimile ed al soprannaturale. Amori, incanti, interventi divini e diabolici, affiancano le battaglie dei crociati in Terra Santa e concorrono a tenere alto l’interesse del lettore. Lo stile è elevato, ma, dove l’argomento lo richiede, si plasma, così pure nel rifacimento che l’autore stesso firmò, quello della Gerusalemme Conquistata, in ventiquattro libri. Fu vana l’opera di chi provò a seguirlo, non vi riuscì Cesare Aricci con l’incompiuta Gerusalemme Distrutta, nè Carlo Botta con Veio Conquistata; apprezzabile fu solo i Lombardi alla prima Crociata di Tommaso Grossi, redatta in pieno Ottocento.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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