Torino e i Savoia nel trambusto della rivoluzione
Il grande slancio culturale e produttivo che Carlo Emanuele III stimolò in Piemonte, purtroppo si spense negli anni del figlio Vittorio Amedeo III che dovette fare i conti con l’irruzione a corte della rivoluzione giacobina. Nel luglio del 1789, il conte d’Artois fuggì da Parigi e riparò a Moncalieri portando le tragiche notizie che riguardavano la nobiltà francese. Poco dopo arrivarono la consorte Maria Teresa di Savoia coi figli duchi d’Angouleme e di Berry, quindi arrivarono i principi di Condè, Maria Giuseppa di Savoia contessa di Provenza col marito. Tutto questo movimento attirò le attenzioni dei giacobini: Torino forniva riparo ai reazionari, bisognava portarvi la rivoluzione.
Come se non bastasse, disordini studenteschi resero l’atmosfera davvero instabile. Nel giugno del 1791, infatti, gli studenti universitari, offesi dall’arresto di un loro esponente per motivi politici, assalirono le carceri del Vicariato. I letterai erano con loro ed il primo a conoscere la galera fu Dalmazzo Vasco che aveva composto un saggio contro la monarchia assoluta. Quando Vittorio Amedeo III rifiutò d’accogliere a corte l’ambasciatore della Repubblica, iniziarono le aperte ostilità.
La Savoia fu invasa nel settembre del 1792 dal generale Montesquiou, nell’ottobre l’assemblea degli Allobrogi proclamò decaduta Casa Savoia e annunciò la dedizione della regione alla Francia. Solo alleato del Piemonte furono gli austriaci, ma non bastò ed i Savoia persero da subito Nizza perchè, minacciati dai rivoluzionari, le truppe del generale Courten che comandava la piazza abbandonarono tutto senza combattere. I francesi avanzarono impadronendosi dei valichi montani e, sotto il comando del giovane generale Bonaparte, sconfissero gli austriaci nel giro di due anni, senza che i Savoia potessero fare altrimenti. Alle vittorie di Dego e Millesimo seguirono quelle di Ceva e di Bricchetto. I piemontesi, ridotti a poche forze, si aprirono la fuga verso Cherasco contando di resistere ancora a Carignano e Carmagnola. A corte non mancò chi avrebbe voluto continuare la lorra, ma Vittorio Amedeo III non aveva più speranze, intensa era l’attività dei club segreti non solo milanesi e genovesi ma anche torinesi, furente era l’ostilità del mondo intellettuale, brutale la violenza dei contadini contro il rincaro del grando e la miseria. Il re si vide costretto a chiedere un armistizio. L’Armee d’Italie aveva vinto. Firmato il 28 aprile del 1796 a Cherasco, l’accordo comportò che parte del Piemonte meridionale venisse ceduta alla Francia.
Vittorio Amedeo III morì il 16 ottobre di quell’anno ed il giovane figlio Carlo Emanuele IV si ritrovò in balia di una Torino che ribolliva di entusiasmo repubblicano cui si aggiunse l’iniziativa aggressiva della Repubblica di Genova che, protetta dalla Francia, portava la guerra nei suoi domini. I francesi chiamati dallo stesso Carlo Emanuele a ripristinare la pace, occuparono la Cittadella di Torino ponendo di fatti fine all’indipendenza sabauda. La partecipazione del Regno di Napoli alla Seconda coalizione contro la repubblica francese offrì il pretesto per la definitiva eliminazione della monarchia piemontese: alla richiesta francese di far aprire le porte dell’arsenale torinese per la guerra, il re rispose negativamente ed allora il generale francese Joubert gli impose l’abdicazione minacciando altrimenti il bombardamento di Torino. L’8 dicembre del 1798, il re lasciò la città e tutte le gioie della corona, le argenterie, gli ori, le 700.000 lire dell’erario. I giacobini torinesi, esultanti, si organizzarono in un governo provvisorio, già il giorno dopo, e questo addirittura, qualche anno dopo, tramite lo storico Carlo Botta, chiese di unire il Piemonte alla Francia. In Piazza Nazionale, come si disse Piazza del Castello, fra grandi feste, sorse l’albero della libertà ed ai suoi piedi si compì la cerimonia della Rigenerazione della Patria.
Tali cerimonie scandirono la vita di questa nuova Torino che, il 21 gennaio 1799, celebrò il sesto anniversario della decapitazione di Luigi XVI bruciando ai piedi dell’albero della libertà i titolti di nobiltà. Gli avvenimenti militari però dilaniarono lo stato. La controffensiva austro-russa liberò Torino il 26 maggio del 1799. Il governo sabaudo non fu però ristabilito perché se i russi si dissero favorevoli alla restaurazione, gli austriaci avrebbero voluto restare in possesso del territorio. Fu la vittoria napoleonica a Marengo che cambiò tutto, ancora una volta. I francesi entrarono vittoriosi a Torino il 20 giugno del 1800 ritrovandosi padroni del Piemonte.
Memorabile fu l’ingresso di Napoleone e Giuseppina a Torino, il 24 aprile del 1805. A Porta Nuova il maire gli offrì le chiavi della città. Accompagnavano la coppia quaranta giovani patrizi torinesi costituitisi in guardia d’onore. L’Imperatore ne fu stupito e fece diffondere la notizia che a Torino, in mezzo a centomila persone, aveva avuto come guardia solo quei quaranta giovani. In città l’imperatore visitò una piccola esposizione dei prodotti dell’industria locale organizzata dalla Camera di Commercio, andò al Liceo Imperiale, partecipò ad un pranzo ed al ballo al Palazzo di Città. Concesse alla città un nuovo stemma: tre apri d’oro in campo rosso col toro in campo azzurro. Il 26 a Stupinigi ricevettero il papa, ma a sera ritornarono a Torino per la serata di gala al Teatro Imperiale, lasciandola il 29 ancora travolta dall’entusiasmo.
Dal 1800 al 1814 in Piazza Carlina furono ghigliottinati ben 423 persone, in città i mendicanti affollavano le strade, nelle campagne imperava il brigantaggio. Ma non fu solo un’età d’orrore. Torino, capoluogo del Dipartimento del Po, vede l’istituzione di una scuola di medicina e chirurgia ostetrica, la fondazione della Biblioteca Universitaria coi libri sottratti a conventi ed istituti religiosi, l’introduzione della codificazione napoleonica. In più, le autorità francesi, impressionate dalle scarse condizioni igieniche della popolazione, imposero la vaccinazione contro il vaiolo e severe misure di tutela della salute.
Dopo il governo di Jourdan e quello di Menou, nel 1808 vi giunse da governatore di Piemonte e Liguria il principe Camillo Borghese, cognato di Napoleone, ma il declino sopraggiunse in fretta. Il 6 aprile del 1814, l’Imperatore abdicava e si ritirava sull’isola d’Elba. L’8 maggio di quell’anno Torino era di nuovo in mano austriaca.
Stavolta gli Asburgo accettarono il ritorno dei Savoia. Carlo Emanuele IV aveva abdicato in favore del fratello Vittorio Emanuele I. Fu questi ad entrare nella città il 20 maggio del 1814 e avviare la restaurazione.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino