Tripoli, la città contesa

Cacciati i musulmani dall’Andalusia, Ferdinando il Cattolico, si preoccupò di stabilire da subito dei presidi cristiani nei centri costieri dell’Africa settentrionale per allontanare la minaccia islamica. Organizzò quindi spedizioni contro Mers-el-Kebir, Orano, Buja e Algeri, poi attaccò Tunisi e Tripoli. Quest’ultima spedizione ebbe luogo nel luglio del 1510 e fu condotta dalle truppe capitanate da Pedro Navarro.

Una lettera indirizzata al genovese Girolamo Adorno e scritta da Battistino de Tonis, che prese parte ai fatti, riferisce in dettaglio le operazioni di conquista. Vi si legge: “…el prudentissimo et experto conte – si riferisce al Navarro -, destinati tre colonnelli ad custodie in loco opportuno per obviare forse a qualche punico stratagemma, facta fallange de li altri octo colonnelli, cossi conzati et stretti in ordenanza, sonando tamburri et altri instrumenti da battaglia, se aproximareno a la muraglia cum altri pezi le artagliarie le quale da terra battevano el muro et da laltra parte le dece galee se acostoreno sotto el castello et muraglia et tiravano cum canoni et altre bombarde. Nè credere che quelli de la cita cessasseron de tirare cum le bombarde sassi, drdi et saetame in loro deffensione. In questo tempo el diligentissimo conte or da qua or da là provedendo et ordinando nnon repossava et combattendosi da terra et mare aspramente. Lo exercito et gente hispana, solita vincere o morire et non meno de honore che de la preda cupida, cum le scale et la più parte per le piche et lanze, senza timore o mesurare pericolo, non obstante che li inimici non dormivano, per che virtu naturale non se può ascondere, arditamente montareno sopra la muraglia ne luno aspettava laltro per che in tal tempo non aaquista ama chi non è de primi. Et Cyarles Alferes de yaime Diez arborao la prima bandera sopra la muraglia inter lo castello et la porta arabica da la banda da terra et discesa et intrata la cristiana gente in la cita non credere per le porte ma como uccelli, fugando et occidendo li inimici, quelli restrinsero nel castello, in la moscheta maiore, templo cathedrale et in alcune torre et propugnaculi da altra parte, non cessando la gente maritima di combatere a la parta de mare et essendoli improperato como li militi terrestri erano già intrati. Constretti da vergogna mostrando loro virtu, forzatamente superata la muraglia, entrarono dentro in modo che da ogni parte la cita era discorsa et li nimici crudelmente morti et li vivi assediati nel castello et moscheta… Lo castello per forza expugnato… Fu presone il re, chiamato Seche cum li figli et mogliere et tutta sua regia famiglia…”.

Altre notizie si possono ricavare da una lettera che Pedro Navarro scrisse il 29 luglio del 1510 al viceré di Sicilia: “Giovedì mattina, giorno di San Giacomo, piacque a Nostro Signor umanissimo farci giungere con l’armata di Sua Altezza sopra il porto di Tripoli, e subito si diede tanta premura nel far sbarcare le genti, che la maggior parte era già a terra tra le dieci e le undici… La gente si spinse vigorosamente a combattere e le galee dalla parte di mare coll’artiglieria, sicché, quantunque i mori si difendessero assai bene, non passarono tre ore che scalammo le loro mura e guadagnammo due torri con un tratto di terra, ciò che permise alla gente di farsi sotto e di guadagnare un’altra torre, dove stava la porta della città, detta dei villani. La Vostra Signoria avrebbe visto la fretta, che si dava la gente per salire le scale, gareggiando; e in verità nessuno lo crederebbe se non lo avesse veduto; di maniera che in tempo di quattro ore guadagnarono la le mura, e poi aprirono una porta, per cui la gente entrò in città. Quivi fu così aspra la nostra battaglia e la loro difesa, che giammai si vide l’uguale; perché si difendevano nelle vide da cui noi ci avvicinavamo”. Navarro però si dilungò soprattutto sulla necessità di fortificare la città: “Signore questa città è molto più di quel che credessi, e quantunque quelli che la lodavano ne dicessero molto bene, veggo che non dicevano la metà del vero; e di tutte quelle che ho visto in questo mondo non trovo città che l’uguagli, tanto in fortezza che in pulizia, ché sembra più una città imperiale, piuttosto che città che non appartenga ad alcun re in particolare. E coscì conviene mettera in ordine; che siano scelti e mandati quanti più spingardieri e balestrieri è possibile, perchè questi sono veramente più necessari alla sua difesa, quantunque la città sia la più inespugnabile città del mondo. Così pure provvegga Vostra Signoria la maggior quantità di artiglieria che è possibile, e venga fornita bene di polvere e di tutte le munizioni necessarie”. I timori di Navarro non erano infondati, di fatti i turchi non tardarono ad assediare Tripoli.

Ferdinando il Cattolico aveva proiettato lo scontro coi musulmani oltre i confini di Spagna, la sua lungimiranza gli aveva permesso di percepire l’importanza della lotta tra la croce e la mezzaluna nel Mediterraneo e volle che la città divenisse un valido punto di appoggio militare. Certamente il Gran Sultano non poteva permetterlo. Il presidio spagnolo, comandato da Diego de Vera, nel 1511, respinse un assedio di turchi e berberi, sostenendo l’urto di oltre quarantamila nemici con l’impiego particolare di una mina dalle capacità distruttive, ideata dall’ingegno di Pedro Navarro. Nel frattempo questi sopraggiunse con un esercito di soccorso da Lampedusa e mise in fuga i turchi.

I pericoli ritornarono quando il corsaro Khayr al-Din, il famigerato Barbarossa, impossessatosi di Algeri, s’affiliò al sultano Salem, riconoscendo l’ottomano come signore del suo regno. Fu allora che Carlo V pensò di assegnare Tripoli ai Cavalieri di San Giovanni, da poco scacciati da Rodi ed insediatisi a Malta.

Anche gli Ospitalieri riconobbero la città l’importanza della posizione geografica della città per sorvegliare il mare tra Malta e la Sicilia, così pensarono di trasferire qui, nel 1546, tutta l’organizzazione dell’Ordine, lasciando a Malta solo una guarnigione. L’idea era quella di fortificare Tripoli ed usarla come base per scorrerie e spedizioni destinate a sottomettere gli stati barbareschi. La proposta formulata dal governatore di Tripoli, Jean de la Valette, e dal generale Claude de la Sengle, non trovò però seguito. A Tripoli finirono esclusivamente diciannove grossi cannoni di bronzo donati all’Ordine dal re d’Inghilterra. Cinque anni dopo, una ristretta guarnigione di 30 cavalieri e seicento soldati napoletani e siciliani, non poté che soccombere all’armata ottomana di Sinan pascià, assistito da Dragut e Murad Agha. Artiglierie e mura mal resistettero agli assalti nemici. L’assedio culminò in un bombardamento di sei giorni e nella resa della città il 15 agosto. I soldati nel forte si ammutinarono ed il nuovo governatore di Tripoli, Gaspard de Vallier, capitolò senza quasi combattere, ottenendo salva la vita per i soli cavalieri, mentre napoletani e siciliani furono ridotti in schiavitù.

Filippo II iniziò a pianificare una spedizione di riconquista ed essa ebbe effettivamente luogo nel febbraio del 1560, purtroppo terminando nella disfatta di Gerba. Il Duca di Medinaceli, vicerè di Sicilia, affiancato dal Duca di Firenze e dal Gran Maestro di Malta, mobilitò sessanta galee, ma fu tutto inutile. Probabilmente, tra i prigionieri fatti dai turchi ci fu pure Nicolò Maria Caracciolo, vescovo di Catania dal 1537, che redasse un “Discorso dell’essere di Tripoli” in cui fo rniva al viceré di Sicilia precise informazioni sulle fortificazioni tripoline e sulle milizie di Dragut, suggerendo di ritentare la conquista di Tripoli. Scriveva il vescovo: “Potria questo esercito sbarcare dalla parte di evante in quel’luoco che chiamano la Torre dell’acqua, il qual luogo è comodo, et sicuro, tutto pieno di giardini circondati di mura di pietra, talche per gran numero de cavalli che venisse al incontro non solo non potriano dar impedimento allo sbarcare, ma non potriano ancora danneggiare un’huomo…. Di più di questo si è un’altra comodità che dentro il proprio alloggiamento insino al castello di Tripoli, che è continoato con le mura della città vi è un’spatio di mezzo miglio, et da qua si potrebbono tirare le trincee comodamente per cacciarsi sotto ‘l castello, o vero sotto la terra, et a questo agiutarebbe assai il terreno mobile, et atto a far’trincee; et, quando non paresse di battere per la parte del castello, benche non saria cosa difficile, per esser’il castello senza terra pieno con muraglie vecchi, et deboli, et fianchi senza corrispondentia, si puo condurre l’artiglieria facilmente, et senza nullo impedimento dalal parte di mez giorno…”. Tuttavia la Spagna non ci riprovò più.

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: Le fortificazioni della città di Tripoli, in Notiziario Archeologico, Anno II, 1916

 

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