Ugo Bassi

Giuseppe Bassi mutò il suo nome in omaggio a Foscolo, suo poeta prediletto. Si fece così chiamare Ugo. Era nato a Cento, provincia di Ferrara, nel 1801 e a diciotto anni era stato accolto nella Congregazione dei chierici regolari di San Paolo a Bologna.

Fornito di grandi doti oratorie, scoprì da solo la sua strada, la predicazione. E fu inviato in numerose città d’Italia in cui, con i suoi toni passionali e la teatralità dei suoi gesti, riuscì a suscitare gli entusiasmi del popolo ma anche a spaventare le autorità, tanto civili, quanto religiose del suo tempo. Le sue idee erano manifestatamente liberali, di aperta ammirazione nei confronti di Napoleone, dai toni persino anticlericali quando attaccava “l’inqua Roma, avara metropoli, sentina di vizi”.

Ugo Bassi, nei festeggiamenti per l’elezione al soglio di San Pietro di quel giovane papa che suscitava le simpatie dei liberali e che prese il nome di Pio IX, scrisse versi inneggianti al riformismo, all’amnistia per reati politici che il pontefice aveva concesso e due anni dopo, mentre divampava in tutta Europa un nuovo incendio rivoluzionario, predicò pubblicamente l’indipendenza d’Italia in un percorso d’unità e concordia tra gli Stati della Penisola, i loro popoli ed i loro sovrani.

Tramontate le speranze, profondamente deluso da Carlo Alberto quanto da Pio IX, il frate barnabita si convinse che l’unica strategia per far trionfare la causa italiana fosse il repubblicanesimo. Fu ferito a Treviso il 12 maggio 1848 e portato a Venezia.  Sognò una nuova Repubblica di Venezia, una Repubblica romana cui aderì nel 1849.

In aprile fu designato cappellano della legione garibaldina. Bassi seguì l’eroe dei due mondi in tutti i combattimenti fino alla resa di Roma, lo accompagnò nella ritirata e fu arrestato a Comacchio dai carabinieri pontifici.

Trasferito sotto scorta militare a Bologna la sera del 7 agosto, venne fucilato senza nessun processo per volontà del capitano auditore Carl Pichler von Deeben, ai piedi del Colle della Guardia insieme al garibaldino Giovanni Livraghi.

È retorica, ma morì l’uomo, non l’esempio. Il suo martirio ebbe immediatamente forti ripercussioni nell’opinione pubblica, anche tra chi si era tenuto fuori dalle agitazioni politiche. La sua tomba diventò meta di pellegrinaggio e intorno alla sua figura nacque ben presto un mito. Il 18 agosto 1849 gli austriaci, per impedire che gli italiani manifestassero i propri sentimenti di affetto sulla tomba del Bassi, riesumarono il suo corpo traslandolo nel cimitero della Certosa di Bologna.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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