Una passeggiata ad Otranto

Otranto è la città più orientale d’Italia. Di probabile fondazione cretese, fu già sotto i romani il centro più importante del Salento, poi base delle spedizioni crociate e piazza d’affari per veneziani, ebrei, dalmati e levantini.  Le sue pittoresche viuzze lastricate convergono verso due solenni suoi edifici: la cattedrale ed il castello.

Il primo, costruito tra il 1080 ed il 1088, per volvere di Ruggero II, presenta un bellissimo rosone a 16 raggi, finemente traforato, sulle decorazioni barocche del portale. L’interno è diviso in tre navate da quattordici colonne di granito orientale, con le pareti arricchiti da affreschi e cappelle ed un grande mosaico che ricopre tutto il pavimento. Eseguito per volontà dell’Arcivescovo Gionata, questo mosaico reca la firma di Maestro Pantaleone e costiuisce la vera ricchezza del tempio. Le sue tessere calcaree simboleggiano il cammino della redenzione in una costruzione grafica complessa ed al centro di innumerevoli chiavi di lettura. Vi è raffigurato Alexander Rex assiso sopra un grifone con in mano una specie di scettro, un lupo ai suoi piedi ed uomini e cani attorno. Vi nasce, al centro, un grande albero che, seguendo tutto il pavimento, spinge i suoi rami a destra e asinistra, co nai lati due elefanti, scene bibliche, Noè; la mano divina benedicente, la torre di babele, ma anche figure dello zodiaco ed i mesi dell’anno. Nel 1482, l’abside di destra fu allargata per volere di Ferdinando d’Aragona che intese creare la Cappella dei Martiri per riunire le ossa degli ottocento otrantini uccisi dai turchi sul colle della Minerva, tutti difensori della città, fatti prigionieri dopo l’irruzione dei musulmani.

Nel settembre del 1481, finalmente liberata la città, i corpi dei martiri rimasti ancora sul colle, col consenso di papa Sisto IV e una solenne cerimonia presieduta dal vescovo di Brindisi, Franceso de Arenis, furono portati in cattedrale e collocati provvisoriamente nella cripta, prima che fosse edificata l’apposita cappella. I resti di 240 di essi furono invece traslati a Napoli per volontà di Alfonso II, nella Chiesa di Santa Caterina a Formiello.

I fatti di Otranto costituiscono una delle pagine più drammatiche della storia europea. Il piano di Maometto fu favorito dallo scenario politico italiano caratterizzato da una estrema mutevolezza e da un’interminabile serie di conflitti tra stati ed all’interno di essi. Il Regno di Napoli, oltretutto, dalla morte di Alfonso V d’Aragona, registrava una marcata involuzione sia sul piano politico che economico e, in quei mesi, si trovava sguarnito di difese, con l’esercito in Toscana, contro fiorentini e veneziani.

A Maometto II non bastava aver conquistato Costantinopoli, desiderava estendere i suoi domini in Europa e Otranto poteva garantirgli una testa di ponte in Italia. L’assedio portato avanti da Ahmed Pashà, sangiacco di Valona, alla città pugliese culminò col saccheggio, la cattura di donne e bambini mandati in Oriente come schiavi e la decapitazione di 800 otrantini che non vollero abiurare la loro fede. Il loro tentativo di aver salva la vita si era infranto sulle mura del castello.

Le fortificazioni otrantine, dal primo periodo angioino, finirono in un grave stato di abbandono. Solo dopo la presa ed il sacco di Otranto da parte dei turchi, nel 1480, i regnanti si preoccuparono di ammodernarle. Fu Alfonso II, duca di Calabria, a sovraintendere ai lavori che ebbero luogo. Affiancato dall’ingegnere militare Ciro Ciri, pensò per l’intero regno un sistema di difesa territoriale con torri e castelli sulle principali arterie che da Napoli raggiungevano Gallipoli e Lecce. Le vecchie torri furono abbassate e le feritorie utilizzate dagli arcieri furono modificate per l’uso degli archibugi, perchè ormai, con le nuove armi da fuoco, la difesa piombante dall’alto si trasformò in “ficcante e radente”.

Ad Otranto ebbe luogo una vera e propria riorganizzazione urbanistica che fu prima guidata da Marcello Arcamone, poi da Francesco di Giorgio Martini, il quale si affidò ai suoi avanguardistici studi, in particolare al Codice Saluzziano dove la figura umana è sovrapposta ad una città ideale col castello in corrispondenza della testa, la piazza al centro della figura, l’ingresso ai piedi ed i torrino alle estremità degli arti.

Sul finire del secolo il castello di Otranto aveva in dotazione il tratto di mura di Porta Alfonsina, la “rondella Ippolita” dedicata alla moglie di Alfonso, Ippolita Maria Sforza, il tratto di mura adiacenti l’Istituto delle Maestre Pie Filippini, la cortina del castello rivolta verso il mare, la rondella dello spigolo interno (poi incorporata dal puntone) e la parte inferiore del tratto murario su cui poi si aprì Porta a Mare.

Ciò che invece appare oggi è il risultato dei lavori Cinquecenteschi voluti da Carlo V. Il principio della difesa radente e del fiancheggiamento imponeva l’uso del baluardo e del bastione, mentre l’aumentata efficacia dell’artiglieria imponeva la cimatura delle torri e la forma cilindrica, i torrioni casamattati e le mura scarpate, così il castello di Otranto mutò forma. Lo vediamo oggi circondato da un ampio e profondo fossato, con una sola porta d’accesso. Sul portone, un grande stemma di Carlo V affiancato da uno probabilmente di Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, e da un secondo, quello del viceré Pedro de Toledo. A destra di chi entra c’è una torre cilindrica, alta 21 metri e larga 12; la parte inferiore è tronco-conica; quella superiore, cilindrica, ha un ovulo e un parapetto con cannoniere largo 2 metri. L’interno della torre ha due piani divisi da volte a calotta in carparo. Il primo ha tre cannoniere, quello superiore ne ha quattro. Ci sono altre cannoniere, situate a destra e sinistra di un piccolo accesso che conduce al terrapieno, e fiancheggiano i terrapieni e il fosso delle mura. A sinistra di chi entra c’è invece una torre, anch’essa cilindrica, simile a quella destra, munita di quattro cannoniere situate al piano superiore. Il versante nord-est è chiuso da uno spuntone, cioè due bastioni poligonali, rivolti verso il mare, che inglobano il preesistente bastione circolare aragonese. I lavori di costruzione furono affidati a Cesare Frisolo e a Martino Cayia. Non avendo portato a termine le operazioni entro il tempo stabilito, furono sostituiti da Cesare Schieno, che completò i lavori e scolpì anche lo stemma di Carlo V.

Nonostante queste premure offensive e difensive, durante il Cinquecento, tali opere non furono mai provate perchè Otranto non divenne nuovamente teatro di battaglia. Il castello si trasformò così in un palazzo residenziale.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Gianfreda, Otranto. Castello e Fortificazioni

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