Il vedutismo inglese a Napoli alla fine del Settecento

A Napoli, il vedutismo inglese mostrò segni sorprendenti di originalità. Si proiettò tra visioni anticipatrici del romanticismo e l’assoluta fedeltà al dato reale, naturale o architettonico.

Joseph Wright of Derby con le opere realizzate nel viaggio in Italia compiuto tra il 1773 e il 1775, mostrò una spiccata sensibilità al fascino dell’antico e del recente paesaggio napoletano. Scelse la natura e l’arte come soggetto privilegiato della sua pittura con toni chiaroscurali e fiabeschi d’orientamento protoromantico. Il suo impatto visionario lo portò a raffigurare un Vesuvio eruttante sebbene mai il vulcano eruttò nel periodo in cui Wright soggiornò a Napoli. Il tema piacque all’artista così tanto che furono trenta le opere così composte. Spesso si servì di scenari notturni o di luci del tardo meriggio per giocare coi riverberi delle ombre, così come in “Grotta nel Golfo di Salerno”, tema al centro di nove composizioni, o nei tre dipinti intitolati “Tomba di Virgilio”.

La stessa ispirazione romantica si scorge nelle opere di John Robert Cozens, a Napoli nel 1782. Il londinese fu catturato dagli scenari naturali napoletani scalfiti da cupi fenomeni atmosferici o da luci sureali come in “Baia di Napoli vista da Capodimonte”. Numerosi sono i disegni acquerellati che ci ha lasciato con vedute di Gaeta, Napoli, Posillipo, Portici, Salerno, Vietri, Cava, Cetara e dei templi di Paestum. Un gusto drammatico e poetico, il suo, che traspare dai toni di grigio delle sue matite, dalle ombre gravi e da una teatralità di un paesaggio dal tratto più suggestivo che definito.

Immerso in una modernità “fotografica” fu, invece, il gallese Thomas Jones, artista che si definì “born out of the due time”. Jones fu a Roma e Napoli tra il 1776 ed il 1783 maturando il suo stile innovativo. “Attraversando per la prima volta queste terre bellissime […] era come se ogni scena mi fosse già apparsa in sogno. Sembrava un paese incantato”, scrisse nelle sue Memorie. I suoi oli su carta, alti solo una ventina di centimetri, raccolgono una serie di vedute di Napoli dal forte taglio “fotografico”. L’inquadratura sembra fissata con un moderno teleobiettivo che appiattisce invece che rendere la profondità spaziale delle vedute del secolo precedente. Allievo del paesaggista Richard Wilson, che fu in Italia dal 1750 al 1757 consegnandoci una serie di opere napoletane, tra cui “Il lago d’Averno” ed “Il lago d’Agnano” che risentono ancora del barocco, Jone realizzò le sue vedute napoletane tra il 1782 e il 1783, ma il primo contatto con la città lo ebbe già nel 1778 con un soggiorno di cinque mesi. Tornato a Roma, si invaghì della sua domestica, una vedova danese di nome Maria Moncke, e fuggì con lei raggiungendo l’anno dopo Napoli dove i due ebbero due figlie. La modernità di Jones è data in particolare dagli insoliti tagli prospettici e punti di vista del paesaggio: a Napoli, Jone non scelse di dipingere il golfo o il Vesuvio, ma i tetti della città. Dalla sua terrazza egli dipinse facciate e muri di case, finestre, vicoli, lastrichi e solai. Il suo approccio alla città fu così innovativo da non trovare appoggi, neppure in Sir Hamilton, con cui aveva tentato di stringere amicizia.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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