Vicerè ed Inquisizione in Sicilia
Scipione di Castro fu autore, nel 1571, di un interessante testo dal titolo “Avvertimenti a Marco Antonio Colonna quando andò vicerè di Sicilia”. Il libro si apriva con una ammonizione dura: “Il governo di Sicilia è stato fatale a tutti i suoi governatori, dall’anno 1470 fino al 1571“. Scipione di Castro era ben consapevole del fatto che la potenza attribuita ad un Vicerè spagnolo era in realtà assai relativa perchè soggetta a numerose pressioni, vincoli ed ostacoli che spesso finivano con danneggiare ogni idea di buona politica. Il passo che segue è una notevole testimonianza di quanto avveniva nel Regno di Sicilia all’epoca; in particolare, si sofferma sul rapporto tra potere politico ed Inquisizione ed esamina le lotte tra Vicerè ed inquisitori travolti da favoritismi ed opportunismo.
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“Sogliono havere per l’ordinario li reggitori di Sicilia qualche rivolta fastidiosa con gli inquisitori per causa della giurisdizione. Done poi nascono li mali ufficij, che si fanno nella corte fra loro, et nel regno certe spetie di fattioni. Perciò, che, scoperte che sono queste gare, quelli che stanno malsatisfatti del vicerè fan subito capo all’inquisitori. Et quelli che si tengono offesi dagli inquisitori fan professione di gran devoti del vicerè. Et dove ci è modo far queste divisioni per l’ordinario, il governo va molto inquieto.
Rabiosissime sono passate queste gare per tutto il tempo di Giovan di Vega, di don Garzia, del primo presidentato del duca di Terranova, et del marchese di Pescara. Giovan di Vega si risolse a carcerare due inquisitori. L’uno processò et carcerò con effetto (chi fu il vescovo di Patti), l’altro (chi fu Orvosco) comandò che fossi menato prigione da Palermo a Messina, ma fu mitigato dal duca di Bivona. Don Garzia di Toledo, sforzandosi gli amici suoi di persuadergli, che non andasse alla corte per molti rispetti, rispondeva, che non era di sì poca importanza il brutto procedere de gli inquisitori, che per narrarlo al re di presentia non havesse portato il pregio l’andar fino in India, non chè in Hispagna. Portò seco gran cosa contro gli inquisitori, ma non furon di minor peso quelle, che gli inquisitori mandarono contro di lui. Il duca di Terranova presidente del regno mentre don Garzia era in corte, col parere di tutto il consiglio mandò in galera un orefice insolentissimo, et perchè colui era familiare del Santo Offitio, gli inquisitori dipinsero il caso talmente nella corte, che di là venne ordine, che l’orefice fosse liberato subito, che il duca gli pagasse 200 scudi di sua borsa per gl’interessi, et di più, che facesse quella penitentia in pubblico, che dagli inquisitori gli fosse stata imposta. Col marchese di Pescara passò tant’oltre l’insolentia di Bezzerra [inquisitore del tempo], che fu sforzato scrivere al re, che Bezzerra et lui non potevano stare nel medesimo regno. La cause di queste dissensioni hanno quasi per l’ordinario la medesima origine.
Nel regno di Sicilia è stato introdotto da molti anni in qua il procedere contra ogni sorte di rei criminali, con quel modo che prima si usava solo con i grandi et famosi delinquenti, ch’essi chiamano procedere ex abrupto. Cio è tormentar il reo per il processo informativo, prima che gli si dia la copia de gl’inditij. Cosa sommamente abborrita nel tribunale del Santo Offitio dove si procede, iuris et ritus ordine servato. Et perchè tutti quelli che sono familiari overo offitiali del Santo Offitio, sono ancho sudditi a quello in criminale et in civile, si cerca in Sicilia di intrare nel numero di quelli con desiderio incredibile; parendo a chi è giunto a quel segno d’essere affatto libero d’ogni timor di giustizia. Tanto si assicurano di poter provare quel che vogliono se son posti prima a difensione, ch’a tormenti. Hor li vicerè senteno sopramodo il vederne fare tanto gran numero, per chè ce ne sono cavalieri, baroni, mercanti, artiggiani, villani, et d’ogni spetie, maggior quantità di quella che bisognerebbe per il servitio del Santo Offitio. Li quali familiari insolentemente si servono di quella esentione del tribunale reggio, che sempre sono gli autori di maggiori e di più temerarij delitti, che si commettono. Et si ben la sindicatione di Quintaniglia con la privatione di Bezzerra, con la condennatione di Retana in seimila scudi, et col castigo et privatione d’altri officiali ha rimediato in qualche parte, ci è tuttavia qualch’osso da rodere. Ma la migliore elettione sarà, non si rompere con loro, dar aviso alla corte di quel che non piacesse, aspettar di là il rimedio, et nel resto aiutarli, et favorirli sempre”.