Il duca di Osuna, viceré di Napoli

Il viceré Pedro Tellez Giron, III duca di Osuna, entrò a Napoli il 21 agosto del 1616, dopo esser sbarcato a Pozzuoli ed aver ricevuto il mandato dal Consiglio Collaterale a Posillipo. Era già stato in città cinque anni prima, durante il suo viaggio per recarsi in Sicilia, ospite del conte di Lemos. Stavolta però si presentava alla nobiltà cittadina tormentato da una ferita ad una gamba rimediata nelle Fiandre e mai sanata. Il dolore lo aveva costretto ad imbarcarsi su una lettiga, nell’impossibilità di camminare. Quell’acciacco mostrava Osuna per ciò che era, un soldato, un comandante, un valente combattente, giunto a Napoli con grandi propositi bellici. Dopo appena due mesi, infatti, Girolamo Frachetta, agente del duca d’Urbino, già ne scriveva: “I concetti di questo s.r. Viceré sono smisurati et degni d’un Alessandro Magno. Si è messo in animo di fabricare et armare galeazze, et spera prender Costantinopoli, racquistar Gerusalemme, pigliar l’Albania et cose maggiori… Vuol far venire qua 1500 Valloni, 500 Alemanni et 4000 Spagnuoli et tener in ordine 6000 regnicoli, per haver un esercito valente”.

Osuna si dedicò fermamente al rafforzamento dell’esercito e della marina, costruendo galeoni e galee e reclutando equipaggi per solcare l’Adriatico contro turchi e veneziani. Risolse così anche un grave problema di Napoli, l’abbondanza di soldati in città, circa diciottomila, mal pagati, mal vestiti, facinorosi e ubriaconi.

Ma, contro Venezia, il duca non si limitò alla guerra, a far assalire le loro navi cariche di merci e saccheggiare i loro magazzini. A quanto pare, ebbe un ruolo di rilievo nella “Congiura di Bedmar”. A Venezia, il marchese di Bedmar, ambasciatore spagnolo, aveva creato una fitta rete di spionaggio, mentre Osuna, assistito dal poeta Francisco de Quevedo, aveva assoldato dei francesi facendoli arruolare nella flotta veneziana per corrompere altri loro connazionali. Bedmar e Osuna pensavano così di poter dar vita ad una rivolta interna sostenuta da un attacco spagnolo via mare, nonostante la corte madrilena – in particolare Gaspar de Guzman, conte duca de Olivares, gentilumo al servizio di Filippo IV – fosse contraria al piano. Uno degli agenti di Osuna, però, Nicolò Renaul, fu scoperto, arrestato e giustiziato. L’ambasciata spagnola fu presa d’assalto e Quevedo si dette alla fuga travestito da mendicante. Dieci giorni prima dell’Ascensione, festa in cui venivano celebrati i matrimoni con il mare, la cospirazione fu debellata nel sangue: il Consiglio dei Dieci fece appendere per i piedi, a Piazza San Marco, decine di cadaveri e i canali della città si riempirono di corpi di uomini strangolati e squartati. Erano quasi tutti francesi che erano stati in passato mercenari al servizio del duca di Osuna. La vicenda è singolare e ancora avvolta in un alone di mistero e contrastanti ricostruzioni, quel che è reale è che Osuna rappresentò davvero un problema per Venezia nell’Adriatico.

Il duca si affidò ad ammiragli di valore come il palermitano Ottavio d’Aragona e Francesco de Rivera e con eclatanti imprese corsare condotte sino alle mura di Costantinopoli riuscì a controllare le acque adriatiche, facendo ricchi bottini che finanziarono nuove spregiudicate incursioni nelle coste balcaniche, ma anche splendide feste di corte. Si ricordano, in particolare, tre scontri navali di una certa importanza:

– la Battaglia di Capo Celidonia (14 luglio 1616), vicenda in cui Rivera sbaragliò un’intera flotta di 55 galee turche con una mezza dozzina di velieri, patendo solo 34 morti e 93 feriti. L’ammiraglio mandò a picco 23 galee nemiche e molte altre fuorno rese incapaci di navigare;

– il Bombardamento di Costantinopoli (ottobre 1616), quando Ottavio d’Aragona, approfittando dell’arrivo dell’inverno che avrebbe tenuto le navi ferme nei porti, con nove galee, passò, sventolando insegne ottomane, sin oltre i Dardanelli. Fece aprire il fuoco per poi allontanarsi all’arrivo di sessanta galee turche. I colpi dei cannoni non inflissero gravi danni alle fortezze nemiche ma l’impatto morale di quell’impresa fu enorme per la Spagna. I turchi erano stati beffati in casa propria. Ottavio d’Aragona, a notte fonda, lasciò lo stretto, a luci spente, profittando del vento e speronando le galee che bloccavano l’uscita. L’indomani i suoi uomini stavano saccheggiando Alessandria d’Egitto, mentre i turchi, invano, li cercavano nelle acque di Candia.

– la Battaglia di Ragusa (22 novembre 1617), quando la flotta veneziana di Lorenzo Venier in formazione di mezzaluna, formata da diciotto galeoni, trentaquattro galee e sei gleazze, fu tagliata dal galeone Nuestra Senora de la Concepcion, forte di sessantotto cannoni, e sopraffatta dal soccorso dei restanti quattordici galeoni napoletani e spagnoli salpati da Brindisi al seguito di Rivera, senza riuscire a manovrare per portarsi fuori la portata delle artiglierie. In totale, i veneziani subirono quattromila vittime, tra feriti, morti e annegati, circa trecento i napoletani. L’ammiraglio Rivera però perse un bottino più grosso perchè una violenta tempesta lo costrinse a rientrare a Brindisi, ma ciò che più contò fu l’aver schernito la proibizione che Venezia veneziana di aveva posto alla navigazione degli spagnoli nell’Adriatico, accusando il duca di Osuna di essere in combutta coi pirati croati.

Il duca aveva creato questa flotta a sue spese. Giunse a contare venti galeoni, ventiduee galee e trenta navi minori e l’intenzione di Osuna fu che essa fosse mantenuta in futuro dalla nobiltà napoletana. Ciò avrebbe garantito una più efficacia difesa costiera e meno spese per la corona, ma anche una più ampia autonomia del regno stesso. Tutto ciò fu mal visto dagli aristocratici.

Tanto fervore influenzò anche le politiche interne del duca. Il Regno di Napoli era logorato dalle invidie del patriziato, dalla corruzione, da una giustizia deficitaria, dal banditismo e dalla criminalità. Osuna provò a fronteggiare ogni emergenza, abolì gabelle su grano e farina, dispose una più celere esecuzione delle sentenze e, quando fu chiaro su chi ricadesse il peso economico delle sue imprese marinaresche, i membri dei seggi nobiliari non tardarono ad entrare in rotta di collisione con lui.

I nobili inviarono diversi emissari a Filippo III, anzitutto San Lorenzo da Brindisi. Il sovrano venne così a conoscenza delle lamentele degli eletti, ma forse capì che erano per lo più calunnie. Da tali accuse infondate, volte a mostrare che il duca volesse porsi a capo di un regno indipendente da Madrid, l’Osuna si difese egregiamente. Tuttavia, davanti a tante pressioni, il re volle convocarlo. Il duca lasciò temporaneamente Napoli, ma nel frattempo Filippo III spirò e sulla scena emersero nuovi protagonisti, bramosi di scalzare i vecchi favoriti di corte. In particolare, si distinse il conte duca di Olivares.

Fu allora che Osuna finì in rovina. Chiamato a rispondere alle accuse mosse contro di lui, davanti al Consiglio reale, fu imprigionato e morì nelle segrete del Castello di Barajas come criminale comune il 24 settembre 1624.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

Bibliografia: P. Giannone, Dell’istoria civile del regno di Napoli

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